Gratuità del contratto e utilizzo delle clausole vessatorie: il caso Whatsapp – AGCM

in Giuricivile, 2018, 1 (ISSN 2532-201X)

L’apposizione di clausole vessatorie nei contratti è illegittima in quanto crea uno squilibrio ai danni di una parte contrattuale in favore dell’altra.

Talvolta, in alcune fattispecie contrattuali, l’una parte – quella più debole – sottoscrive le singole clausole vessatorie senza aver contezza di star obbligandosi a subire un trattamento sperequato rispetto all’altra parte contrattuale.

Tale fenomeno si registra ad esempio nei contratti del consumatore, stipulati tra un professionista ed un consumatore tramite la sottoscrizione da parte di quest’ultimo di moduli pre-formulati.

Questi non sono il frutto di una dialettica contrattuale in cui le parti si confrontano determinandone insieme il contenuto, ma sono confezionati ad hoc dal professionista. In tal modo il professionista, potendo somministrare al consumatore un contratto dal contenuto già chiaro e delineato, risulta essere la parte forte, mentre il consumatore è limitato alla spunta di caselle con un click od un tic per l’accettazione delle clausole e del contratto.

Al fine di evitare che il professionista inserisca clausole che danneggino la posizione contrattuale dell’altra parte ovvero favorisca la propria, il Codice Civile e il Codice dei Consumatori hanno prescritto l’inutilizzabilità di dette clausole.

Nulla quaestio in merito al divieto di inserimento di clausole vessatorie nei contratti a titolo oneroso. La questione sembrerebbe invece poco chiara per quanto attiene alla loro apposizione nei contratti a titolo gratuito.

Il caso in esame: la difesa

Il caso in esame prende spunto dalla difesa di Whatsapp Inc. contro AGCM. Nell’ottobre 2016 il Garante avviava un procedimento nei confronti del colosso della messaggistica (del quale abbiamo già approfondito il valore legale delle chat nel processo civile) al fine di accertare la vessatorietà di alcune clausole apposte nei termini di utilizzo rinnovati nell’agosto precedente.

La difesa contestava ad AGCM di aver tacciato di vessatorietà le clausole apposte nel contratto senza aver considerato la natura gratuita dello stesso, né il fatto che il servizio è offerto a livello mondiale, denotandosi la difficoltà per il professionista di poter adattare i termini contrattuali alle norme di ogni ordinamento.

Quand’anche le clausole fossero state vessatorie, non avrebbero creato uno squilibrio ai danni del consumatore. Il contratto, offrendo un servizio senza alcun corrispettivo in denaro, beneficia il cliente.

In tal caso l’apposizione di clausole vessatorie deve essere giustificata nell’ottica del bilanciamento di interessi poiché permette al professionista di offrire al consumatore un servizio vantaggioso ed uniforme in tutto il mondo. Inoltre, il contratto offre un servizio gratuitamente per cui il consumatore ne beneficia senza dover corrispondere alcuna somma in denaro.

Il parere AGCM

AGCM però ha giudicato diversamente la questione. Per l’Autorità non vi è infatti giustificazione all’utilizzo di clausole vessatorie, neppure nei contratti gratuiti.

Per quanto attiene al bilanciamento di interessi, il fatto che il servizio venga offerto a livello mondiale non deve ostare all’adeguamento dei termini di utilizzo alle singole giurisdizioni. Pertanto il professionista, seppur trovando notevoli difficoltà alla stipulazione di TU differenti per ciascun Paese, deve tener conto delle normative nazionali e, nel caso nostrano, anche di quelle comunitarie.

Per quanto attiene alla gratuità del contratto, si sostiene che il genus dei contratti gratuiti non può essere esente dal divieto di clausole vessatorie, per due ordini di ragioni:

  1. Il contratto Whastapp è gratuito ma non esclude che vi sia un interesse patrimoniale od economico.
  2. La disciplina contenuta nel Codice dei Consumatori vieta l’utilizzo di clausole vessatorie senza specificare i contratti che possono essere esenti da tale divieto.

Normativa

Il contratto Whatsapp è un contratto gratuito che comporta l’assenza di un corrispettivo in denaro per il servizio offerto.

Nonostante manchi di un corrispettivo, non è tuttavia escluso che il contratto gratuito sottenda un interesse patrimoniale o economico in capo al professionista.

Nel caso di specie, l’interesse economico concerne la vendita a terzi dei dati personali degli utenti.

In merito alla questione attinente all’utilizzo occulto dei social media, il provvedimento AGCM in esame (n. 26596) cita un orientamento della Commissione europea (vd. Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali), la quale ha riscontrato la scorrettezza di pratiche commerciali nella vendita di “account sponsorizzati a professionisti terzi”, nell’utilizzo di “clausole contrattuali standardizzate potenzialmente sleali”, nei “servizi di media sociali presentali ai consumatori come gratuiti, mentre richiedono i dati personali in cambio dell’accesso”.

Il contratto è pertanto gratuito in quanto offre un servizio gratuitamente, senza richiedere un corrispettivo in denaro, ma è finalizzato a percepire un interesse economico aliunde ossia con parti contrattuali diverse dal consumatore e in sede diversa da quella contrattuale.

L’illegittimità dell’utilizzo delle clausole contrattuali non può essere derogata dalla gratuità del contratto nel quale esse vengono inserite. A tal proposito è bene richiamare l’art. 33 c.1 del C.d.C. il quale prescrive che:

Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”

Il dispositivo esclude il genus dei contratti a titolo gratuito, lasciando intendere che si riferisca a qualsiasi tipo di contratto, sia questo a titolo oneroso sia questo a titolo gratuito.

Ai fini della confutazione della difesa di Whatsapp Inc. è rilevante il sintagma squilibrio dei diritti e degli obblighi.

A detta del professionista infatti, pur ammettendo la vessatorietà di alcune clausole, il loro utilizzo sarebbe stato legittimo in quanto avrebbe concorso al bilanciamento delle posizioni contrattuali che altrimenti sarebbero state sperequate in favore del consumatore. Una sperequazione di tipo economico a favore del consumatore, beneficiario di un servizio in maniera del tutto gratuita.

Lo squilibrio cui si riferisce il legislatore non ha natura economica. L’inserimento di clausole vessatorie nel contratto fa nascere una sperequazione in termini di diritti e obblighi. Cosicché vi sarebbe squilibrio anche nel caso in cui una parte usufruisse di un prodotto senza essere obbligato ad alcuna prestazione ma subendo un’alterazione in peius dei propri diritti ed obblighi, limitando i primi ed accrescendo i secondi.

Conclusione

Alla luce di quanto rilevato, si può pertanto sostenere l’illegittimità dell’utilizzo di clausole vessatorie anche nei contratti a titolo gratuito.

La gratuità del contratto non legittima il professionista all’inserimento di clausole che limitino i suoi obblighi o amplino i suoi diritti.


Bibliografia

CHECCHINI, Regolamento contrattuale e interesse delle parti, in Riv. dir. civ., I, 1991, 253.

ROPPO, Contratti standard. Autonomia e controlli delle attività negoziali d’impresa, Giuffrè, Milano, 1975. Civile Scialoja-Branca, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1954, p. 153G. ALPA, Il diritto dei consumatori.

PERLINGERI., Manuale di diritto civile, Napoli, 2014

Commissione europea, “Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali”, Bruxelles, 25.5.2016

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