La finzione di avveramento della condizione

in Giuricivile 2017, 5 (ISSN 2532-201X)

La creazione dello strumento tecnico della finzione si può attribuire al diritto romano, che fece ampio uso della fictio iuris.

Con finzione giuridica, segnatamente, si intende quella tecnica legislativa mediante il quale si rappresenta un determinato fatto come avvenuto, nonostante lo stesso non si sia verificato o sia avvenuto con modalità diverse.

In questo modo, si rende applicabile a una determinata situazione di fatto una norma altrimenti non applicabile, soddisfacendo ragioni di equità nonché di flessibilità dell’ordinamento.

La finzione può essere intesa come

  • finzione – retroattività, caratteristica della materia successoria (ad es. l’effetto dell’accettazione dell’eredità risale al momento nel quale si è aperta la successione, art. 459 c.c.; ancora, chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato, art. 521 c.c.);
  • inoltre, può atteggiarsi come finzione – sanzione, ove la legge considera avvenuto un fatto in realtà non verificatosi a causa del comportamento di un soggetto.
    Tra le ipotesi di finzione – sanzione, rientra la finzione di avveramento della condizione, ex art. 1359 c.c.

L’istituto

L’art. 1359 c.c. stabilisce la c.d. finzione di avveramento nell’eventualità in cui la condizione dedotta non si verifichi per il fatto di colui che aveva interesse contrario al suo compimento.

Com’è evidente, l’interesse contrario deve appartenere alla parte che abbia la possibilità di incidere sullo svolgersi dell’evento dedotto: la libertà attribuita al contraente, tuttavia, non comporta la possibilità di contravvenire alle regole di correttezza e buona fede.

A mente dell’art. 1359 c.c., perché la condizione operi è necessario il ricorrere di due presupposti:

1. Il beneficium

La parte che ha la possibilità di incidere sullo svolgersi dell’evento dedotto deve avere interesse al mancato avveramento della condizione, poiché da tale circostanza può trarre un vantaggio.

Tale interesse deve manifestarsi in pendenza della condizione, ma l’art. 1359 c.c. è stato ritenuto applicabile anche con riguardo ai comportamenti di chi, in concreto, abbia dimostrato con una successiva condotta di non avere più interesse al verificarsi di una condizione.[1]

2. L’imputabilità

Sebbene il testo della disposizione non precisi quale debba essere lo stato soggettivo di colui che agisce per impedire il verificarsi della condizione, l’interpretazione prevalente è nel senso che rilevi qualsiasi azione dolosa o colposa della parte che impedisce il realizzarsi della condizione.

Si ritiene, inoltre, che la fattispecie non sia riscontrabile in un semplice comportamento inattivo: l’eventuale inattività potrebbe ritenersi rilevante unicamente quando costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge.[2]

Parte della dottrina, per contro, ritiene che l’alterazione degli eventi possa essere sanzionata anche in caso di omissione. [3]

Il criterio di valutazione del comportamento discrezionale del contraente che ha la possibilità di incidere sull’avveramento della condizione è costituito dal principio di buona fede.[4]

Ad ogni modo, solo una volta appurato che il fatto imputabile al contraente portatore dell’interesse contrario all’avveramento si sia posto come condicio sine qua non del mancato avveramento, potrà porsi il problema dell’imputabilità.

Peraltro, grava sulla parte interessata all’avveramento l’onere di provare che la condizione è mancata per dolo o colpa della controparte, la quale potrà evitare le conseguenze dell’applicazione dell’art. 1359 c.c. dimostrando che, a prescindere dalla sua condotta, l’evento non si sarebbe comunque verificato.[5]

Parte della dottrina, occorre darne atto, ritiene sia necessario il ricorrere di un terzo presupposto di operatività, derivante da una lettura combinata dell’art. 1359 c.c. con l’art. 1358 c.c. e consistente nella concretizzazione del rischio per evitare il quale il contratto era stato stipulato.

Se così non fosse, si osserva, la finzione di avveramento porterebbe alla paradossale conseguenza di colpire anche l’altro contraente, che riceverebbe un pregiudizio dagli effetti dell’avveramento fittizio a fronte della mancata concretizzazione del rischio.[6]

Al ricorrere dei presupposti sopra indicati la condizione si considera come avverata: l’art. 1359 c.c., attraverso la fictio iuris, consente di ritenere il contratto efficace o risolto quando il fatto impeditivo del verificarsi della condizione sia determinato da un comportamento imputabile a titolo di dolo o colpa al soggetto controinteressato, in tal modo sanzionando le condotte contrarie a correttezza e buona fede che influiscono sulla pendenza della condizione, al fine di mantenere integre le ragioni dell’altra parte.[7]

Gli effetti dell’avveramento retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, ai sensi dell’art. 1360 c.c.

L’opinione tradizionale ricollega la norma in commento all’art. 1358 c.c.[8].

Altri, viceversa, ritengono che il comportamento contrario a buona fede nelle condizioni potestative debba essere inquadrato nella violazione del generale obbligo di buona fede nell’esecuzione dei contratti, disciplinato dall’art. 1375 c.c. e non nella disciplina della condizione.[9]

2. La natura giuridica

Come accennato, l’opinione tradizionale collega l’art. 1359 c.c. alla regola di correttezza contenuta nell’art. 1358 c.c., che troverebbe nella finzione di avveramento la sua sanzione specifica.[10]

Tale tesi, pertanto, attribuisce alla disposizione natura eccezionale, con conseguente divieto di interpretazione analogica.[11]

Altro orientamento ha rinvenuto il fondamento della norma nell’interpretazione della volontà delle parti, ricollegando alla teoria della presupposizione il meccanismo della finzione di avveramento, mediante il quale la legge fornirebbe rilevanza a una implicita manifestazione di volontà. [12]

Merita di essere segnalato, infine, l’orientamento[13] che incentra la riflessione sul problema dei limiti imposti alle parti nell’esercizio dei propri diritti, evocando la figura dell’abuso del diritto.

Ciascuna parte ha il potere di muoversi all’interno della vicenda condizionale, fino ad influenzare la stessa evoluzione causale dell’evento condizionante.

In relazione a tale possibilità, si tratterà, di volta in volta, di valutare se la parte abbia agito nel rispetto o meno dei limiti delle sue facoltà, sanzionando[14] l’eventuale comportamento illegittimo attraverso un meccanismo – la finzione di avveramento, appunto – che consente di riportare la vicenda al suo naturale svolgimento e garantisce alla parte interessata all’avveramento della condizione di non subire l’alterazione della propria situazione negoziale.[15]

3. Ambito di applicazione

L’opinione più diffusa ritiene applicabile l’art. 1359 c.c. alle condizioni sia sospensive sia risolutive, nonché alle condizioni positive.[16]

È discussa, invece, l’applicabilità della fictio alla condizione negativa, ovvero quella condizione in cui l’evento dedotto è il non accadimento di un certo fatto: per le ipotesi in cui la parte interessata all’avveramento della condizione intervenga per provocare l’evento dedotto si configurerebbe, infatti, una finzione di non avveramento.[17]

La giurisprudenza prevalente aderisce all’impostazione negativa, ritenendo che la norma non possa trovare applicazione laddove la condizione si sia verificata per effetto dell’attività del contraente avente interesse all’avveramento.[18]

Inoltre, secondo una parte della dottrina, l’art. 1359 c.c. sarebbe applicabile anche quando la condotta diretta ad impedire l’adempimento della condizione sia precedente alla conclusione del contratto e, quindi, contraria al dovere di comportarsi secondo buona fede nelle trattative sancito dall’art. 1337 c.c.[19]

Secondo l’orientamento maggioritario, l’art. 1359 c.c. non sarebbe invece applicabile in caso di mancato avveramento di una condicio iuris[20].

La giurisprudenza prevalente afferma, infatti, che nel caso in discorso la volontà legislativa o della p.a. non può essere sostituita dalla condotta della parte che aveva interesse contrario al verificarsi della condizione.

In alcuni casi, tuttavia, si è sostenuta l’applicabilità della fictio alla condizione legale costituita dal rilascio di una concessione amministrativa ove risulti accertato che, senza il comportamento della parte interessata al non avveramento, la concessione sarebbe stata emanata.[21]

Da ultimo, si è confermato quest’orientamento, negando, tuttavia, la qualificazione di condicio iuris alla condizione costituita dal rilascio di una concessione amministrativa.

Tale clausola, infatti, è stata qualificata come condizione di fatto mista, il cui avveramento dipende dal comportamento della parte e da quello, discrezionale, della P.A.[22]

4. Condizione potestativa

La finzione di avveramento non si applica in caso di condizione potestativa, attesa l’incompatibilità tra la libertà di cui gode la parte in ordine alla verificazione dell’evento dedotto in condizione e l’obbligo comportamentale ex art. 1359 c.c.

Non mancano, tuttavia, indirizzi di segno opposto, sostenuti da chi ritiene che anche l’esercizio della libertà di decidere circa l’avveramento o il mancamento della condizione sarebbe sottoposto al limite costituito dal dovere di correttezza di cui all’art. 1358 c.c., come tale sanzionabile dalla finzione di avveramento.[23]

Infine, corollario della massima che considera incompatibile la fictio con la condizione potestativa, è costituito dall’inapplicabilità della finzione di avveramento alla condizione potestativa mista per la parte rimessa alla volontà del contraente.

La questione si pone, in particolare, allorché sia dedotta in condizione l’emanazione di un provvedimento amministrativo (beninteso, la fictio sarebbe applicabile quando il provvedimento sia indicato solo dalle parti, e non anche dalla legge, come presupposto per l’efficacia dell’atto giuridico).[24]

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[1] Cass. civ. n. 13457/04.

[2] Cass. civ. n. 6423/2003; n.  9511/1999.

[3] Così, SACCO, Il contratto, Tr. Sacco, II, 155

[4] Cass. civ. n. 12/2014; Cass. civ. n. 18450/2005.

[5] ROMANO, Cod. Perlingieri, IV, I, 652.

[6] Si pensi al contratto di vendita di un immobile stipulato sotto condizione risolutiva del mancato trasferimento in altra sede lavorativa. Se l’alienante, interessato al mancato avveramento della condizione, influisce sul trasferimento, impedendolo, per effetto della fictio di avveramento il contratto di vendita si intenderà risolto, con la paradossale conseguenza che l’acquirente continuerà lavorare presso la stessa sede ma, a fronte del contratto risolto, si ritroverà senza casa.

[7] BIANCA, Il contratto, 556; Cass. Civ. n. 10265/1998

[8] MAJORCA, in Digesto IV, Disc. Priv.; Sez. civile, voce Condizione, p. 313.

[9] MIRABELLI, Dei contratti in generale, p. 253.

[10] SCONGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, p. 308; BRUSCUGLIA, Pendenza della condizione e comportamento secondo buona fede, p. 31; BIANCA, Diritto civile, 3, p. 235.

[11] B. Windscheid, Diritto delle Pandette, I, p. 313.

[12] G. GROSSO, La finzione di avveramento della condizione, pp. 10 ss; TRIMARCHI, La finzione di avveramento e la finzione di non avveramento della condizione, Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 823.

[13] RESCIGNO, L’abuso del diritto, Riv. dir. civ., 1965, I, 205.

[14] Ritorna, dunque, anche nella prospettiva dell’abuso, la considerazione dell’aspetto sanzionatorio della fictio: la sanzione consiste nell’eliminazione delle conseguenze dell’atto abusivo. Così, M. COSTANZA, in Comm. cod. civ. Scialoja – Branca, IV, p. 106.

[15] Cfr. F. CAROCCIA, Riv. notariato, fasc.5, 2011, pag. 1036

[16] (MAIORCA, Condizione, in Digesto civ., III, Torino, 1988, 315; RESCIGNO, Cond. Enc. D., 798; conforme la giurisprudenza, Cass. civ. n. 2747/1989.

[17] BIANCA, op. cit., 528; BRUSCUGLIA, Pendenza della condizione e comportamento secondo buona fede, 110; TRIMARCHI, op. cit., 809

[18] Come già si è avuto modo di osservare, l’art. 1359 c.c. è norma eccezionale in quanto prevede una fictio iuris, che non è suscettibile di interpretazione analogica, con la conseguenza che non può considerarsi non avverata la condizione nell’opposta ipotesi dell’avveramento della condizione per fatto imputabile alla parte che aveva interesse all’avveramento dello stesso. Che una parte abbia provocato o contribuito a provocare l’avveramento della condizione non giustifica quindi l’esclusione degli effetti connessi a tale avveramento, né comporta per sé una responsabilità per danni, dato che non viene lesa alcuna aspettativa contrattuale. In questi termini, BIANCA, op. cit., p. 557.

[19] FACCIOLI, Il dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale, p. 37 ss.

[20] RESCIGNO, op. cit.., 775 ss.; ROPPO, Il contratto, Tr. Iudica e Zatti, 636 ss.; in giurisprudenza v. Cass. civ. n. 2875/1992; contra BIANCA, op. cit., p. 563; in giurisprudenza Cass. civ. n. 2255/1987; n. 675/1982.

[21] Cass. civ. n. 2168/1998

[22] Cass. civ. n. 13457/2004.

[23] CARUSI, Condizioni e termini, Tr. Roppo, III, 323 ss.; ROPPO, op. cit., 634.

[24] Così, M. COSTANZA, op. cit., p. 120, 121.

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