Società in house providing e società pubbliche sono soggette a fallimento

Le società pubbliche partecipate dagli enti locali ivi comprese le società in house providing sono assoggettabili a fallimento. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 3196 del 7 febbraio 2017.

La scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza.

In caso contrario, sarebbero infatti violati i principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto, nonché disattesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.

Proprio dall’esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato, può ricavarsi a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica.

Società pubbliche e procedure concorsuali: le normative vigenti

Per arrivare a tale conclusione, la Suprema Corte ha in primo luogo operato un’attenta disamina delle normative in materia.

In primo luogo l’art.1 della Legge Fallimentare nel disegnare l’area di esenzione dalle procedure concorsuali parla espressamente di “enti pubblici”, non di società pubbliche.

Anche l’art.1 co. 3 d.lgs. n. 175 del 2016 afferma che “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.

Infine l’art.14 d.lgs. cit. ha definitivamente precisato che “le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi”.

Società in house providing: definizione e fallibilità

Come noto, le società in house providing rappresentano una nuova forma di gestione dei pubblici servizi aventi rilevanza economica. Si considerano tali le società:

  1. con capitale interamente pubblico;
  2. sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
  3. che realizzano la parte più importante della loro attività con l’ente o con gli enti pubblici che le controllano.

Ebbene, secondo la Suprema Corte anch’esse devono ritenersi fallibili.

Il profilo pubblicistico delle società in house appare infatti ispirato dal mero obiettivo di escludere l’affidamento diretto della gestione di attività e servizi pubblici a società partecipate alle norme sulla concorrenza: ma non costituiscono un soggetto sovraqualificato rispetto al tipo societario eventualmente assunto.

Pertanto, le norme speciali che regolano la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non possono incidere sul modo in cui essa opera nel mercato, né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell’affidamento di terzi contraenti previste dalla disciplina civilistica.

E nemmeno può invocarsi l’assenza di scopo lucrativo dal momento che qualora sia stato adottato il modello societario, la natura giuridica e le regole di organizzazione della partecipata restano quelle proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice civile: “ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale non è infatti il tipo dell’attività esercitata, ma la natura del soggetto”.

Di conseguenza, se l’ente pubblico sceglie di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico delle società di capitali, dovrà assumersi i rischi connessi alla eventuale insolvenza.

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