Con l’ordinanza n. 13817 del 6 luglio 2016, la sesta sezione civile della Corte di Cassazione, in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, ha chiarito che è imputabile all’imprenditore insolvente l’omesso controllo della personale casella di posta elettronica certificata (Pec).
Con riferimento al caso in oggetto, la Suprema Corte si è pronunciata in merito alla mancata apertura della comunicazione relativa all’avviso dell’udienza di comparizione delle parti, regolarmente trasmessa a mezzo pec.
Sul punto, la Suprema Corte, richiamando un recente precedente di legittimità, relativo alla notificazione del ricorso di fallimento tramite invio telematico, ha affermato che, al fine del perfezionamento della ridetta comunicazione, “occorre avere riguardo unicamente alla sequenza procedimentale stabilita dalla legge” (Cass. n. 22352/2015).
In altri termini, la comunicazione a mezzo pec si considera perfezionata solo a seguito del conseguimento della ricevuta di accettazione e di consegna, che attestano, rispettivamente, l’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata da parte del mittente e l’avvenuta ricezione dello stesso all’indirizzo elettronico del destinatario, nonché l’avvenuta consegna al destinatario di un messaggio tramite testo leggibile.
Ciò chiarito, la Corte di legittimità ha precisato che il debitore non può opporsi alla disciplina in oggetto eccependo l’omessa comunicazione dell’avviso per il tramite dei tradizionali mezzi per esigenze di migliore comodità, atteso che, in qualità di esercente un’attività d’impresa è positivamente obbligato a munirsi di un indirizzo pec, assicurandosi del suo regolare funzionamento.
A tale riguardo, la Suprema Corte ha affermato che la disciplina in oggetto, nonostante sia rispondente ad esigenze di celerità del processo, non è immune da garanzie di ricezione.
In tale modo la Corte afferma che “tali critiche, imperniate tutte sulla ritenuta indispensabilità della notifica dell’istanza di fallimento e del pedissequo decreto di convocazione in camera di consiglio al debitore, con le modalità alternative a quelle dell’invio della casella pec, sono manifestamente infondate ove non ricorrono le particolari circostanze nell’art. 15, co. 3 L.F., novellato (ossia, quando per qualsiasi ragione la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo)”.
Alla luce di quanto affermato, la Corte ha pertanto rigettato il ricorso e condannato il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.