Il diritto di pegno e le varie forme di pegno nell’ordinamento interno

Sommario: 1. Disciplina ordinaria del pegno c.d. regolare – 2. Il pegno irregolare – 3.     I c.d. pegni anomali – 3.1 Il pegno rotativo – 3.2   Il pegno su cosa futura – 3.3 Il pegno omnibus3.4 Il pegno dematerializzato – 3.5 Il pegno senza spossamento

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1. Disciplina ordinaria del pegno c.d. regolare

La figura del pegno, che nel sistema previgente era diversificata tra codice civile e codice di commercio, è stata unificata dal legislatore del 1942, che l’ha collocata sistematicamente nel libro VI della tutela dei diritti, così sottolineandone le affinità con l’ipoteca.

Nonostante l’assenza di una specifica nozione, il pegno regolare può definirsi come un diritto reale su beni mobili del debitore o di un terzo, che il creditore acquista mediante un accordo con il proprietario allo scopo di garantire un’obbligazione (art. 2784 c.c.)[1].

La dottrina, sottolineando una serie di ambiguità nel termine “pegno” – suscettibile di indicare al contempo il diritto di garanzia in generale, il diritto del creditore pignoratizio, il bene oggetto della garanzia oppure il contratto costitutivo del diritto – ha fornito diverse ricostruzioni.

Secondo un’autorevole impostazione, esso consiste nel diritto che il debitore o un terzo concede sulla propria cosa mobile, in modo che essa rimanga asservita al futuro soddisfacimento del creditore che, in caso di inadempimento dell’obbligazione, potrà trovare soddisfacimento su essa con preferenza rispetto agli altri creditori, a prescindere dal fatto che, medio tempore, il bene sia divenuto di proprietà di un terzo.

Emerge così il carattere dell’accessorietà del pegno, il quale, avendo funzione di garanzia dell’obbligazione, ne presuppone l’esistenza e la validità. Tale legame ha però carattere funzionale, essendovi invece autonomia sotto il profilo strutturale.

Altro tratto peculiare è il c.d. diritto di seguito o sequela, per cui il diritto del creditore garantito permane sulla res anche in caso di alienazione, sicché il titolare del diritto potrà farlo valere contro chiunque, purché il bene sia rimasto nel possesso del creditore o, in caso di concustodia, sia stato consegnato all’acquirente senza il suo consenso.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2799, il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché il creditore non sia integralmente soddisfatto. La norma, posta a tutela del creditore, non è imperativa, dunque può essere derogata per volontà delle parti.

Al lato interno, quello della garanzia, relativo ai rapporti tra i contraenti, si affianca un profilo esterno, quello dell’opponibilità del titolo, che consiste nel diritto di prelazione, ossia nel fatto che il creditore sia soddisfatto con preferenza rispetto ai creditori chirografari o titolari di un diritto di prelazione di grado inferiore.

Vi è poi il divieto di subpegno, in quanto l’art. 2792 c.c. preclude alle parti di costituire un pegno su un pegno già concesso, norma sulla cui derogabilità si discute.

Chi la ritiene convenzionalmente derogabile, afferma che locuzione “senza il consenso del costituente” sarebbe riferita non solo all’uso ma anche al subpegno, e richiama la disciplina dei titoli di credito, dove è ammesso che la girata in garanzia sia seguita da un’altra girata in garanzia.

Quanto all’oggetto, ai sensi dell’art. 2784 comma 2 c.c., esso può consistere in:

  • beni mobili, intesi come cose corporali, determinate o determinabili;
  • universalità di mobili, in relazione alle quali il diritto grava sul complesso delle cose e non su queste singolarmente. Un’ipotesi peculiare è il c.d. pegno d’azienda, che riguarda i soli beni mobili che fanno parte del complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa;
  • crediti, anche se la dottrina non lo considera un vero e proprio diritto reale di garanzia, nonostante la funzione e la disciplina li rendano assimilabili;
  • altri diritti aventi per oggetto beni mobili (ad esempio, i diritti d’autore).

Con riferimento alla costituzione, bisogna distinguere tra titulus, titolo di costituzione del pegno, e modus, elemento ulteriore che fonda il diritto e varia a seconda del tipo di pegno, con funzione pubblicitaria in senso ampio.

Per quanto concerne il titolo, nel silenzio della legge, la dottrina ammette la costituzione per contratto, mentre sono dibattute ulteriori modalità di costituzione, segnatamente quella per atto unilaterale, per testamento e per legge.

Mentre il codice Pisanelli parlava di “contratto col quale il debitore dà al creditore una cosa mobile” (art. 1878), sicché era pacifico si trattasse di un contratto reale, oggi la natura giuridica è dibattuta, anche se tendenzialmente se ne esclude la realità.

Innanzitutto la distinzione tra titulus e modus ha valenza generale, quindi la traditio non perfeziona il contratto ma è un adempimento ulteriore che rende indisponibile il bene per il debitore e attribuisce rilevanza all’esterno ad un accordo già perfetto tra le parti e, inoltre, si è notevolmente sviluppata la figura del pegno senza spossessamento.

Ai fini della validità del contratto non sussiste alcun vincolo formale, dunque si ammette la conclusione orale e, secondo alcuni, anche per facta concludentia.

Circa il diritto di prelazione, per il pegno sui mobili è richiesta una scrittura con data certa che indichi il credito e la res (art. 2787 comma 3) e per il pegno di crediti, sia l’atto scritto che la notifica al debitore o l’accettazione del debitore con scrittura avente data certa (art. 2800).

La forma scritta è invece prevista ai fini dell’efficacia e dell’opponibilità a terzi.

Il pegno si estingue per perimento della cosa oggetto di garanzia, per rinuncia al credito o alla garanzia da parte del creditore pignoratizio, per confusione e per prescrizione.

Diritti, poteri, obblighi e facoltà del creditore

Con riferimento a diritti, poteri e facoltà del creditore, egli può innanzitutto tutelarsi, in caso di perdita del bene, mediante l’esercizio, iure proprio, delle azioni possessorie di spoglio e manutenzione nonché, nomine alieno, dell’azione di rivendicazione, se spettante al costituente.

Inoltre, ha una limitata facoltà di godimento, nel senso che se la cosa oggetto di pegno è fruttifera può, salvo patto contrario, fare suoi i frutti, imputandoli prima a spese e interessi e poi al capitale (art. 2791).

Analoga regola è posta dall’art. 2802 c.c. in tema di pegno di crediti. Prima di vendere la res per soddisfare il proprio interesse, il creditore è tenuto ad intimare al debitore il pagamento del debito, avvertendolo che, altrimenti, procederà alla vendita (art. 2797).

È peraltro ammessa la vendita anticipata, prima della scadenza del credito, concretandosi questa in una forma di tutela cautelare cui si applicano analogicamente gli artt. 700 ss c.p.c.

Il creditore è tuttavia sottoposto anche ad obblighi, in particolare quello di custodire la cosa ricevuta in garanzia e di non usarla senza il consenso del costituente, salvi casi di necessità.

Secondo quanto disposto dall’art. 2794 c.c., quando il credito garantito sia esattamente adempiuto, il pegno si estingue, sicché il costituente può esigere la restituzione.

Tuttavia il comma 2 prevede, in capo al creditore, il diritto di ritenzione della cosa data in pegno, qualora egli vanti un nuovo credito nei confronti del medesimo debitore, sorto dopo la costituzione del pegno e scaduto prima del pagamento del debito anteriore.

Trattasi del c.d. pegno gordiano, una forma di autotutela che consiste nel potere del creditore possessore di rifiutare la restituzione del bene al debitore fino al momento dell’estinzione della nuova obbligazione[2].

2. Il pegno irregolare

Tale figura ricorre quando il pegno ha ad oggetto cose fungibili (solitamente una somma di denaro) di cui il creditore acquista la disponibilità. Si parla di cauzione o di deposito cauzionale.

Se il debitore adempie, il creditore è tenuto a restituire il tantundem eiusdem generis et qualitatis, quindi non il medesimo bene ma una quantità corrispondente; in caso contrario, deve restituire una misura pari all’eventuale eccedenza tra il valore che le cose consegnategli hanno al momento della scadenza del credito garantito e l’importo di questo.

La qualificazione “irregolare” deriva, evidentemente, dal fatto che, trattandosi di beni fungibili, al creditore passa la proprietà delle cose ricevute, con l’obbligo di restituire il valore corrispondente[3].

La giurisprudenza ha precisato che “la natura giuridica del pegno irregolare comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano – diversamente che nell’ipotesi di pegno regolare – di proprietà del creditore stesso, che ha diritto a soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli art. 2796-2798 c.c. (che postula l’altruità delle cose ricevute in pegno), bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori”[4].

La distinzione tra le due figure rileva anche in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, escluso laddove si tratti di pegno irregolare: invero, le somme di denaro depositate su conto corrente costituite in pegno irregolare a garanzia di un’obbligazione dell’imputato entrano immediatamente nella proprietà del creditore.

L’individuazione delle due fattispecie non si basa sul nomen attribuito contrattualmente, né sulla circostanza che la somma di denaro sia depositata su un conto corrente intestato al debitore e continui a maturare interessi.

Piuttosto bisogna guardare se, in caso di inadempimento del debitore, il creditore ha la facoltà di soddisfarsi immediatamente e direttamente sulla cosa oggetto del pegno secondo l’art. 1851 c.c. ovvero deve attivare una forma di vendita pubblica ai sensi degli artt. 2796 e 2797 c.c[5].

Di recente, la Cassazione[6] ha affermato che il pegno di saldo in conto corrente bancario a favore della banca è irregolare solo quando sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre della somma, altrimenti si rientra nella disciplina del pegno regolare.

In tal caso, non acquisendo la banca garantita la somma, non ha l’obbligo di restituire al debitore il tantundem, sicché “difettando i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 l. fall. ed è assoggettabile a revocatoria fallimentare”.

3. I c.d. pegni anomali

In ragione dell’esigenza di meccanismi più agili rispetto a quelli ordinari, nella prassi bancaria e commerciale sono sorte forme anomale di pegno, che si distinguono per quanto concerne i beni oggetti del diritto ovvero i crediti in relazione ai quali la garanzia viene costituita.

  • Il pegno rotativo

In origine contestato da dottrina e giurisprudenza, il pegno rotativo è ad oggi pacificamente ammesso, nonché espressamente riconosciuto a livello legislativo (si vedano, dapprima, i d.lgs. 58/1998 e 213/1998 e, poi, il d.lgs. 170/2004).

Le ragioni che stanno alla base di tale figura derivano dalla necessità di individuare una garanzia che consenta il mutamento nel tempo della cosa data in pegno, senza che tale sostituzione imponga, di volta in volta, una nuova costituzione del diritto.

Le originarie ritrosie erano dovute sia alla difficile compatibilità dell’istituto con la disciplina codicistica che all’esigenza di evitare frodi tra costituente e debitore in danno degli altri creditori, pregiudicati se la sostituzione fosse avvenuta con una cosa di minor valore.

Per superare tali ostacoli alcuni consigliarono di considerare le sostituzioni successive come un’unitaria operazione economica, altri di configurare tale sostituzione come una surrogazione reale.

Sul versante giurisprudenziale si segnala la sentenza n. 5264/1998 della Corte di Cassazione[7], che ha affermato che “il c.d. patto di rotatività, con il quale il creditore ed il debitore convengono che i beni oggetto del pegno possano essere in un secondo momento sostituiti in tutto od in parte, è valido a condizione che la sostituzione avvenga entro i limiti di valore dei beni originariamente consegnati”.

La pronuncia, dunque, non pone in rilievo i beni in quanto tali, ma il valore economico degli stessi, coerentemente con quella che è la funzione di garanzia del pegno.

All’anno successivo risale un’altra importante sentenza[8], in cui si legge che il pegno rotativo non crea un nuovo rapporto, ma “dà luogo ad una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall’accordo delle parti e si perfeziona con la sostituzione dell’oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori sostituzioni e quindi nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente dati in pegno”.

La giurisprudenza ha poi precisato i requisiti necessari richiesti ai fini dell’opponibilità ai terzi.

È innanzitutto necessaria la presenza della c.d. clausola rotativa, la quale deve prevedere che le sostituzioni rispettino i limiti del valore del bene oggetto della garanzia originaria. Inoltre, la sostituzione deve essere reale, cioè deve verificarsi lo spossessamento. In terzo luogo, la consegna deve essere accompagnata da una scrittura avente data certa che indichi il credito e la cosa. Tale ultimo requisito è stato poi abbandonato.

Sulla stessa linea si pone la giurisprudenza recente, che ne condiziona la liceità al fatto che le parti sottoscrivano un accordo scritto con cui esprimano la volontà di assoggettare a garanzia una certa quantità di beni mobili e che la rotatività lasci invariato il valore economico dei titoli corrispondente alla capienza della garanzia prestata[9].

  • Il pegno su cosa futura

L’oggetto consiste in una cosa non ancora esistente in natura o comunque non ancora giuridicamente dotata di autonoma esistenza, che entrerà a fare parte del patrimonio del debitore soltanto se e quando verrà ad esistenza.

Nonostante incertezze, la dottrina ad oggi prevalente è favorevole, sebbene non sia rinvenibile alcuna norma sul punto. Alla luce della scissione tra momento genetico del diritto e momento di costituzione dello stesso, varie sono state le giustificazioni prospettate.

Ad avviso di alcuni si tratterebbe di un contratto preliminare: in un primo momento le parti si obbligano a stipulare il contratto definitivo, che sarà concluso solo in un secondo momento, quando la cosa potrà dirsi esistente. È dunque richiesta una duplice manifestazione di volontà.

Altra parte della dottrina, avallata dalla giurisprudenza di legittimità, ha invece parlato di fattispecie a formazione progressiva, dove l’accordo originario avrebbe effetti meramente obbligatori e si perfezionerebbe quando la cosa viene ad esistenza e, quindi, consegnata. La manifestazione di volontà è unica e risale al momento originario, mentre ciò che si verifica in futuro ha carattere materiale.

Più precisamente, la Cassazione[10] ha chiarito che “il pegno di cosa futura rappresenta una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall’accordo delle parti (in base al quale vanno determinate la certezza della data e la sufficiente specificazione del credito garantito), avente meri effetti obbligatori, e si perfeziona con la venuta ad esistenza della cosa e con la consegna di essa al creditore. In tale fattispecie la volontà delle parti è già perfetta nel momento in cui nell’accordo sono determinati sia il credito da garantire che il pegno da offrire in garanzia, mentre l’elemento che deve verificarsi in futuro, per il completamento della fattispecie, è meramente materiale, consistendo esso (oltre che nella venuta ad esistenza della cosa) nella consegna di questa al creditore, ovvero a un terzo designato dalle parti, come espressamente prevede l’art. 2786 comma 2 c.c.”.

  • Il pegno omnibus

Tale forma di pegno viene costituito dal cliente al fine di garantire la banca anche per i crediti futuri ed eventuali, ancorché non liquidi ed esigibili, che la banca potrà vantare nei suoi confronti. In tale ipotesi l’indeterminatezza riguarda il credito garantito.

Secondo la Cassazione la clausola contenente un generico riferimento ad ogni altro eventuale credito presente e futuro, diretto o indiretto, è nulla per violazione dell’art. 2787 c.c., norma che richiede che il credito garantito sia indicato con sufficiente precisione nella scrittura avente data certa, di modo che esso sia identificabile.

In particolare “perché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva del pegno, in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi idonei a consentirne la identificazione. A tal fine, l’eventuale ricorso a dati esterni all’atto di costituzione del pegno richiede che l’atto contenga un indice di collegamento da cui possa desumersi l’individuazione dei menzionati dati, sicché non vi è luogo alla prelazione se, per effetto della estrema genericità delle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato soltanto mediante l’ausilio di ulteriori elementi esteriori”[11].

Si vuole evitare che, tramite collusioni tra debitore e creditore pignoratizio, gli altri creditori si vedano sottratto definitivamente il bene concesso in garanzia dal patrimonio del debitore. La dottrina prevalente condivide la conclusione della nullità per violazione di una norma imperativa di legge, anche se non sono mancata voci che hanno segnalato l’inadeguatezza della disciplina del codice civile rispetto alle esigenze della prassi bancaria.

Secondo una lettura minoritaria tale clausola sarebbe invece efficace nei rapporti interni tra le parti, ma inefficace rispetto ai terzi.

  • Il pegno dematerializzato

Se mediante lo strumento dei titoli di credito si attua l’incorporazione del diritto nei titoli, la dematerializzazione configura il fenomeno opposto, quindi la totale soppressione del supporto cartaceo oppure l’eliminazione della materiale consegna del titolo ai fini della circolazione del credito.

Nel nostro ordinamento la definitiva interruzione del collegamento tra il diritto incorporato in un titolo e la consistenza cartacea dello stesso è stata sancita dal d.lgs. 213/1998, che ha posto una serie di questioni giuridiche tra cui quella della costituzione di garanzie e vincoli su questi strumenti finanziari dematerializzati, non più sottoposti all’ordinaria disciplina codicistica dei titoli di credito.

Alla luce della loro natura, si assiste all’impossibilità di procedere ad uno spossessamento del datore del pegno del titolo dematerializzato con la consegna al creditore del documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa. Di conseguenza, l’unico modo di costituire la garanzia è rappresentato dalla registrazione del vincolo pignoratizio nell’apposito conto dell’intermediario (art. 34).

Per questa ragione parte della dottrina ha ritenuto di non essere alla presenza di un pegno anomalo, bensì di un nuovo pegno, la cui costituzione è regolata da questa disciplina speciale, mentre gli effetti seguono le norme del codice civile in materia di beni mobili, in quanto applicabili.

Pertanto, ai fini della prelazione, non è più necessaria la scrittura con data certa ex art. 2787 comma 3 c.c., che viene sostituita dalla registrazione nel conto.

Come anticipato, è stata questa normativa ad aver positivizzato il pegno rotativo, ove l’art. 34 comma 2 ammette la costituzione di un vincolo che consenta la sostituzione dell’oggetto della garanzia durante il rapporto.

Posto che la consegna del bene, quale elemento essenziale ai fini della costituzione del diritto reale di pegno, non rileva di per sé ma perché priva il debitore della disponibilità del bene, la sua sostituzione con un altro di uguale valore soddisfa comunque l’interesse del creditore e, se non sia di valore maggiore, non lede neppure i diritti degli altri creditori.

La reale utilità dell’istituto in commento consiste nel fatto che non richiede la novazione del rapporto originario ma la surrogazione reale. In questo senso si veda anche l’art. 46 del Regolamento Consob n. 11768/1998, integrativo della disciplina sugli strumenti dematerializzati, per cui il patto di rotatività non comporta né la novazione del rapporto costitutivo né la variazione della data di costituzione del vincolo[12].

Secondo la giurisprudenza tradizionale “la costituzione del pegno su titoli dematerializzati avviene mediante la registrazione in appositi conti tenuti dall’intermediario, così come, nell’ordinaria disciplina del pegno dei beni mobili, la costituzione del vincolo avviene con la consegna al creditore della cosa o del documento”[13].

Da un punto di vista funzionale le due tecniche sono uguali, in quanto mirano a privare il costituente della possibilità di disporre liberamente dello strumento finanziario vincolato, trasferendolo a terzi di buona fede, e ad attribuire al creditore pignoratizio la possibilità di trarne utilità e soddisfare il proprio credito in caso di inadempimento del debitore, distinguendosi quanto al campo di applicazione, beni mobili piuttosto che strumenti finanziari dematerializzati.

Nella citata pronuncia il Tribunale ha altresì considerato la diversa registrazione nel registro dei vincoli ai sensi dell’art. 87 T.U.F., relativo agli strumenti finanziari rappresentati dai titoli ed immessi nel sistema di gestione accentrata.

Due sono quindi i regimi: la registrazione su un conto, in caso di dematerializzazione, su un registro, nel caso di strumenti cartolarizzati.

Tuttavia, la Consob dettava un regime unitario, per cui i vincoli sugli strumenti finanziari immessi nel sistema di gestione accentrata in regime di dematerializzazione si costituivano mediante registrazione su appositi conti e si trascrivevano nel registro dell’intermediario.

Tale duplice adempimento presentava il medesimo contenuto, essendo medesime le indicazioni necessarie (quali data dell’iscrizione, specie e quantità degli strumenti finanziari, ecc…), sicché l’unico modo per dare un senso a questa bipartizione era individuare due funzioni differenti.

Posto che l’art. 34 decreto Euro era chiaro nell’affermare che la costituzione degli strumenti dematerializzati avvenisse mediante l’annotazione in conto, alcuni conclusero per la funzione pubblicitaria dell’annotazione nel registro dei vincoli, idonea a rendere il pegno opponibile ai terzi. Forti furono però le critiche, giacché, tra le altre cose, era difficile pensare ad un vincolo validamente costituito ma improduttivo di effetti nei confronti dei terzi fino all’iscrizione nel registro dell’intermediario.

Intervenne allora il legislatore con il d.lgs. 170/2004, che ha introdotto nell’art. 87 T.U.F. il rinvio alle disposizioni dell’art. 34 d.lgs. 213/1998, rendendo la registrazione l’unica modalità di costituzione del pegno.

Ad oggi, dunque, due sono le disposizioni rilevanti del Testo Unico, ossia l’art. 87 in tema di strumenti finanziari cartolarizzati e l’art. 83octies, introdotto dal d.lgs. 27/2010, relativo agli strumenti dematerializzati: se gli strumenti finanziari sono rappresentati da titoli e, solo dopo la creazione del vincolo, vengono immessi nel sistema di gestione accentrata, il pegno si costituisce secondo le regole generali dell’art. 1997 c.c., mentre se gli strumenti sono dematerializzati (in quanto emessi come tali ovvero nati come cartolarizzati ma immessi dall’emittente nel sistema di gestione accentrata prima della creazione del vincolo) la costituzione avviene con l’annotazione in conto.

Del resto, neppure il regolamento adottato dalla Banca d’Italia e dalla Consob con provvedimento del 22 febbraio 2008, si riferisce più al duplice adempimento, ma si limita a disporre l’accensione da parte dell’intermediario di appositi conti dove registrare gli strumenti finanziari gravati da vincoli. Inoltre, sancendo che gli effetti dell’iscrizione dei vincoli sorti anteriormente all’immissione degli strumenti finanziari nella gestione accentrata (quindi quando gli strumenti erano ancora cartolarizzati), retroagiscono al momento della costituzione del vincolo, dimostra che la costituzione coincide con l’adempimento scritturale[14].

Di recente la Cassazione ha affermato che il patto che preveda la facoltà del creditore pignoratizio di provvedere autonomamente alla riscossione dei titoli concessi in pegno alla scadenza e di impiegare tali importi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura, e così a ogni successiva scadenza, con l’avvertenza che gli importi riscossi e i titoli acquistati restino soggetti all’originario vincolo di pegno, è incompatibile con il pegno irregolare.

Infatti, la riscossione dei titoli alla scadenza (e non la loro vendita in qualsiasi momento) e l’acquisto di titoli della stessa natura rendono evidente la mera surrogazione dell’oggetto di un pegno regolare e non l’attribuzione alla banca della facoltà di disporre dei titoli.

Peraltro, l’inclusione dei titoli in un certificato cumulativo non esclude tale natura “atteso che la dematerializzazione, pur superando la fisicità del titolo, non è incompatibile con il pegno regolare, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali, attraverso meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione e senza neppure la creazione del supporto cartaceo”[15].

Una simile conclusione è in linea con l’impostazione per cui il nuovo regime introdotto dal d.lgs. 213/1998, seppur permette di superare la fisicità del titolo, “non elimina anche la necessità dell’individuazione del titolo stesso a norma dell’art. 1378 c.c. Infatti le registrazioni in apposito conto, previste dall’art. 87 t.u.f. e dall’art 34 l. cit. sostituiscono il vincolo di garanzia con una tecnica alternativa ma funzionalmente equivalente allo spossessamento del costituente, di guisa che il contratto è qualificabile secondo il tipo legale del pegno”[16].

  • Il pegno senza spossessamento

Recentemente è stata introdotta nel nostro ordinamento una disciplina organica del pegno non possessorio (d.l. 59/2016 conv. con modifiche in l. 119/2016), traendo spunto anche dai modelli di common law.

Nel nostro sistema le garanzie mobiliari non possessorie sono sempre state guardate con sfavore, in quanto occulte e pertanto ritenute lesive degli interessi dei terzi creditori del costituente. Analoga situazione si è verificata in In Francia, dove però sono state ammesse dapprima dalla prassi e dalla giurisprudenza e poi, nel 2006, dalla legge.

La nuova disciplina, contenuta nell’art. 1, permette la costituzione del pegno non possessorio da parte degli imprenditori iscritti nel registro delle imprese, al fine di garantire i crediti concessi a loro ovvero a terzi. Questi crediti, oltre che presenti o futuri nonché determinati o determinabili, devono essere inerenti all’attività di impresa.

In seguito alla modifica intervenuta in sede di conversione, l’imprenditore può figurare anche quale terzo datore di pegno, caso in cui è sempre richiesto il requisito dell’inerenza del credito, mentre non è menzionato quello dell’iscrizione nel registro delle imprese.

Con riferimento all’oggetto (comma 2), esso può consistere tanto nei beni mobili (non registrati), destinati all’esercizio d’impresa, quanto nei crediti derivanti o inerenti al predetto esercizio. I beni possono essere anche immateriali, specificazione da taluno ritenuta superflua, giacché rispetto ad essi il problema dello spossessamento non si porrebbe nemmeno.

Si è tuttavia osservato che la sostituzione della locuzione “pegno senza spossessamento” con quella di “pegno non possessorio” potrebbe essere indicativa della voluntas legis di comprendere, oltre alle ipotesi in cui si configura il possesso ma non c’è spossessamento, altresì quelle in cui, in ragione della natura della cosa, la questione non si pone.

Il comma 2, inoltre, configura il pegno come rotativo e fluttuante, salvo che sia diversamente disposto, ammettendosi la trasformazione, l’alienazione e la disposizione della res, con conseguente trasferimento del pegno al prodotto trasformato, al corrispettivo della cessione o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza la necessità di procedere alla costituzione di una nuova garanzia.

La legge però non richiama i requisiti individuati dalla giurisprudenza in tema di pegno rotativo, ossia la specificazione della sostituibilità dei beni e la previsione per cui la sostituzione sia limitata al valore del bene originario.

Peraltro, non sono state risolte neppure le questioni emerse in passato in tema di pegno rotativo, come ad esempio se la clausola sia ammessa solo per la sostituzione ovvero anche per l’integrazione nonché le conseguenze dell’abuso del patto di rotatività.

È fatta inoltra salva la possibilità per il creditore, speculare a quella di cui all’art. 2793 c.c., di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell’utilizzo del bene da parte del debitore o del terzo concedente il pegno, al fine di garantire la c.d. custodia utile, ossia evitare che la res sia distrutta o che il suo valore venga diminuito.

Per quanto concerne la validità della garanzia tra le parti e di opponibilità ai terzi, il legislatore ha individuato un sistema bifasico (commi 3 e 4):

  1. il contratto, ossia l’accordo costitutivo del pegno che, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto e contenere una serie di indicazioni (creditore, debitore, eventuale terzo concedente, descrizione del bene, del credito e dell’importo massimo garantito). L’azione di nullità non è non è soggetta ad alcun termine di decadenza, a differenza di quella risarcitoria per cui è previsto il termine di tre mesi (comma 9);
  2. l’iscrizione nel registro dei pegni non possessori, registro informatizzato presso l’Agenzia delle entrate, momento a partire dal quale il pegno prende grado ed è opponibile a terzi. In caso di conflitto prevale chi ha trascritto per primo, a prescindere dal momento di conclusione del contratto, salvo si tratti di finanziatore (comma 5).

La predetta iscrizione sostituisce, ai fini dell’opponibilità a terzi, lo spossessamento. Si discute se abbia natura costitutiva o meno: da un lato non si può non considerare che, in sede di conversione, la “costituzione” è stata sostituita con il riferimento all’efficacia verso i terzi e che la legge parla di contratto costitutivo, ma dall’altro il termine iscrizione sembra alludere ad un effetto costitutivo, così come le analoghe disposizioni in tema di ipoteca.

Peraltro, è stato osservato che in tale forma di pegno, mancando lo spossessamento, “al consenso si affianca un elemento rivelatore esterno, in genera una pubblicità”.

Il comma 7 delinea varie modalità di escussione della garanzia in autotutela qualora si verifichi “un evento che determina l’escussione del pegno”, senza però precisare quali siano tali eventi, con la conseguenza che l’individuazione sarà rimessa alla libertà contrattuale delle parti.

Nella versione originaria mancava una norma che, a fronte alla mancata cooperazione del datore della garanzia, permettesse il trasferimento del potere di fatto sul bene pignorato al creditore pignoratizio. Ed in effetti, nonostante gli ampi poteri del creditore, egli non è legittimato ad impossessarsi materialmente del bene, a pena di incorrere in responsabilità penale per esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 e 393 c.p.).

A tal fine stato è introdotto il comma 7ter, che impone al datore della garanzia di consegnare il bene al creditore entro il termine di 15 giorni dalla notificazione dell’intimazione, decorso il quale questi può rivolgersi all’ufficiale giudiziario, che procederà all’esecuzione forzata, anche in assenza di titolo esecutivo e precetto.

Ciò, del resto, è coerente con il disposto dell’art. 2930 c.c., per cui, in caso di inadempimento di un obbligo di consegnare una cosa determinata, l’avente diritto può ottenere la consegna o il rilascio secondo le regole del codice di procedura. Il procedimento di intimazione segue, con alcune rilevanti differenze, la disciplina codicistica del pegno di cui agli artt. 2796 e 2797 c.c.

Inoltre, ai sensi del comma 7bis, il debitore o il terzo concedente sono titolari del diritto di opposizione, da esercitarsi entro 5 giorni dall’intimazione. Stante il rinvio espresso, si applica la disciplina del rito sommario di cognizione ex art. 702bis c.p.c.

Come anticipato, il comma 9 ammette, qualora la vendita sia avvenuta in violazione dei criteri di legge, l’azione risarcitoria del debitore da esercitarsi entro tre mesi. Nonostante la brevità del termine, la natura di responsabilità rimane quella da inadempimento ex art. 1218 c.c.

Infine, in caso di fallimento del debitore, il creditore può procedere all’escussione in autotutela solo se il suo credito sia stato ammesso al passivo con prelazione[17].

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[1] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, 483.

[2] F. Caringella – L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2016, 1584 ss.

[3] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, 484 s.

[4] Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2479.

[5] Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2015, n. 19500.

[6] Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2016, n. 16618.

[7] Cass. civ., sez. I, 28 maggio 1998, n. 5264.

[8] Cass. civ., sez. I, 27 settembre 1999, n. 10685.

[9] Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 2015, n. 25796.

[10] Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7257.

[11] Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2004, n. 5561.

[12] A. Busani – C. M. Canali, Strumenti finanziari dematerializzati: circolazione, vincoli e conferimento in fondo patrimoniale, su DeJure, in Riv. Notariato, fasc. 5, 1999, p. 1059.

[13] Trib. Milano, 8 luglio 2013.

[14] F. Accettella, La costituzione del pegno su strumenti finanziari dematerializzati, su DeJure, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 2014, p. 557.

[15] Cass. civ., sez. I, 17 febbraio 2014, n. 3674.

[16] Cass. civ., sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23268.

[17] F. Murino, Prime considerazioni sul c.d. pegno non possessorio, su DeJure, in Banca Borsa Titolo di Credito, fasc. 2, 2017, p. 231.

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