Deposito cauzionale e acconto: la Cassazione ribadisce il primato della volontà delle parti

Una recente ordinanza della Suprema Corte riafferma i criteri di interpretazione contrattuale, sottolineando come la qualificazione giuridica di una somma versata in un preliminare di compravendita debba fondarsi sulla chiara ed inequivocabile intenzione dei contraenti, senza che il giudice o l’amministrazione finanziaria possano riqualificarla sulla base di presunzioni o sospetti di elusione fiscale non formalmente contestati. La pronuncia offre spunti decisivi sulla distinzione tra deposito cauzionale e acconto prezzo, con importanti riflessi in materia fiscale. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile”, di Lucilla Nigro, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon, offre un supporto utile per gestire ogni fase del contenzioso civile.

Formulario commentato del nuovo processo civile

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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

 

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Somme nel preliminare di compravendita: rilievo fiscale e criterio letterale

La distinzione tra le diverse somme che possono essere versate alla stipula di un contratto preliminare di compravendita – acconto, caparra o deposito cauzionale – non è una mera disquisizione teorica, ma porta con sé conseguenze fiscali di notevole rilievo, in particolare ai fini IVA e dell’imposta di registro. Con l’ordinanza n. 23857 del 25 agosto 2025, la V Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione) è intervenuta per tracciare nuovamente i confini tra queste figure, censurando l’operato di una Commissione Tributaria Regionale che aveva riqualificato un deposito cauzionale in acconto prezzo.

La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio cardine del nostro ordinamento: nell’interpretazione di un contratto, il criterio letterale è lo strumento prioritario e fondamentale, e la comune intenzione delle parti, quando espressa in modo chiaro e univoco, non può essere superata da una diversa valutazione del giudice basata su elementi presuntivi, come la cospicua entità della somma o la supposta macchinosità del meccanismo di restituzione.

La vicenda processuale e la decisione dei giudici di merito

La controversia trae origine da due contratti preliminari di compravendita immobiliare stipulati da una società, la quale aveva versato alle promittenti venditrici una somma complessiva di oltre 4 milioni di euro, qualificata espressamente nei contratti come “deposito cauzionale“. Successivamente, i contratti venivano risolti consensualmente. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, procedeva a riqualificare tali somme come acconti sul prezzo, non fatturati, e contestava alla società le relative sanzioni per omessa regolarizzazione degli acquisti.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana riformava la decisione, avallando la tesi dell’Ufficio. Secondo i giudici d’appello, al di là del nomen juris utilizzato, la reale natura delle somme era quella di acconto prezzo. Tale conclusione si fondava su una serie di indizi:

  • La notevole entità dei versamenti, quasi pari al prezzo totale degli immobili8.
  • La genericità della funzione di garanzia, non essendo chiarito in che modo tali versamenti garantissero l’adempimento né che fossero a copertura di un eventuale risarcimento del danno.
  • Un procedimento di restituzione ritenuto “estremamente macchinoso ed economicamente incoerente“, che prevedeva il pagamento dell’intero prezzo al rogito e solo successivamente la restituzione della cauzione.

La CTR concludeva che l’operazione fosse stata costruita al fine di “eludere l’applicazione dell’imposta di registro“.

Il ricorso in Cassazione

La società contribuente ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, affidandosi a due motivi principali. Con il primo, lamentava la violazione delle norme sull’interpretazione del contratto (art. 1362 c.c. e ss.), sostenendo che i giudici di merito avessero erroneamente disatteso il chiaro tenore letterale delle clausole, che non presentavano alcun carattere di ambiguità. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il criterio letterale è il mezzo prioritario e fondamentale per ricostruire la volontà dei contraenti e può essere superato solo fornendo una compiuta motivazione sulla sua equivocità.

Con il secondo motivo, la ricorrente denunciava l’omesso esame di fatti decisivi, come l’esplicita previsione della restituzione delle somme al rogito, la successiva risoluzione dei contratti che confermava la natura di deposito e le ragioni economiche (la crisi del mercato immobiliare) che giustificavano la richiesta di una solida garanzia.

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La decisione della Suprema Corte: il primato della volontà negoziale

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi, cassando la sentenza impugnata con rinvio. Gli Ermellini hanno innanzitutto ribadito il loro consolidato orientamento in materia di ermeneutica contrattuale: se le espressioni usate nel testo rivelano con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti, un’interpretazione diversa non è ammissibile.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che i giudici d’appello non si fossero attenuti a questi principi, sovrapponendo la propria opinione alla volontà delle parti. La sentenza chiarisce la distinzione funzionale tra le varie dazioni di denaro:

  • La caparra confirmatoria(art. 1385 c.c.) ha funzione di liquidazione convenzionale e forfettaria del danno in caso di inadempimento.
  • Il deposito cauzionale ha la funzione di garantire un eventuale obbligo di risarcimento del danno effettivamente subito, consentendo al creditore di soddisfarsi su di esso.

La funzione di garanzia, nel caso di specie, era chiaramente esplicitata nei preliminari. Gli argomenti usati dalla CTR per giustificare la riqualificazione sono stati ritenuti non risolutivi: l’entità cospicua di una somma, ad esempio, non è di per sé un elemento decisivo per negare la natura di cauzione.

Infine, e questo è un punto cruciale, la Cassazione ha smascherato il vizio di fondo del ragionamento della CTR: l’aver condotto l’esame della vicenda nella prospettiva di una sospetta elusione fiscale. La Corte ha evidenziato che l’amministrazione finanziaria non aveva mai formalmente contestato un’ipotesi di elusione ai sensi delle norme vigenti (prima l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, ora l’art. 10-bis della L. n. 212/2000). Di conseguenza, la riqualificazione del contratto non poteva fondarsi su un mero sospetto di intento elusivo, ma avrebbe dovuto basarsi esclusivamente sulla corretta applicazione delle norme civilistiche sull’interpretazione del contratto.

La decisione in sintesi

Ecco infine una pratica e breve checklist per orientarsi nell’applicazione dei principi affermati dalla Cassazione con l’ordinanza n. 23857/2025.

Qual è il criterio principale per qualificare una somma versata in un preliminare di compravendita?

Il criterio prioritario è quello letterale: se il contratto indica chiaramente la natura della somma (acconto, caparra o deposito cauzionale), il giudice non può attribuirle un significato diverso, salvo che il testo presenti ambiguità.

Il giudice può riqualificare un deposito cauzionale in acconto prezzo?

No, non in assenza di elementi concreti e univoci che dimostrino una diversa volontà delle parti. La mera entità elevata della somma o la complessità del meccanismo di restituzione non sono sufficienti.

Quali sono le conseguenze fiscali della qualificazione?

Se la somma è un acconto prezzo, è soggetta ad IVA e imposta di registro; se è una cauzione, ha funzione solo di garanzia e non incide sul regime impositivo, salvo che venga trattenuta a titolo di risarcimento.

L’amministrazione finanziaria può contestare un intento elusivo?

Sì, ma deve farlo con una contestazione formale basata sull’art. 10-bis dello Statuto del contribuente (o sulla previgente normativa). Non è sufficiente fondarsi su presunzioni o sospetti.

Qual è l’insegnamento principale di questa ordinanza?

La volontà contrattuale espressa in modo chiaro resta vincolante e non può essere superata da ricostruzioni giudiziali o fiscali basate su valutazioni presuntive: il primato spetta alla libertà negoziale e alle regole di ermeneutica contrattuale.

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