Danno da nascita indesiderata: i soggetti legittimati a chiedere il risarcimento

in Giuricivile, 2018, 8 (ISSN 2532-201X)

Quando si parla di nascita indesiderata, è doveroso, dopo aver fornito qualche precisazione terminologica nel merito, chiedersi se, oltreché la madre, altri soggetti sono legittimati ad agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno per la nascita di un figlio malformato.

Le wrongful birth – comunemente chiamate – sono quelle azioni legali promosse direttamente dai genitori nei confronti del personale sanitario e/o sociosanitario a causa della mancata, inesatta o omessa diagnosi di malformazioni fetali che ha precluso in generale ai genitori (e in particolare alla gestante) la possibilità di scelta di procedere alla procedura volta all’interruzione della gravidanza (diritto della gestante previsto ai sensi degli artt. 4 e 6, L. 194/1978)[1].

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Chi sono i soggetti legittimati a chiedere il risarcimento del danno?

In materia di legittimazione ad agire, larga preminenza è riconosciuta alla gestante, intesa come parte di un rapporto qualificato; in virtù di tale rapporto, può pretendere dal medico una condotta diligente nell’esecuzione della propria prestazione.

La coppia (nella specie la partoriente), in caso di inesatta diagnosi prenatale o di omissione di informazioni, vede leso il suo diritto ad una procreazione cosciente e responsabile. La privazione del diritto ad optare per la procedura interruttiva[2], comporta non solo la violazione dell’art. 1 della Legge 194 del 1978, ma anche dei valori costituzionali ivi ricompresi.[3] Ciò la legittima ad agire per il risarcimento del danno.[4]

Molto discussa è stata la posizione del padre del nato disabile.

Preliminarmente occorre evidenziare che, il dolore e la sofferenza per la nascita di un figlio menomato non coinvolge soltanto la madre, ma anche il padre che, secondo il nostro ordinamento, è ugualmente chiamato ad assumersi doveri ed obblighi finalizzati al raggiungimento di una pianificazione familiare felice e serena.

Essendogli fatto divieto di intervenire sulla questione di interrompere o meno la gravidanza, ben differente risulta essere la sua posizione in relazione all’aspetto risarcitorio; per lungo tempo, interpretando rigorosamente il tenore della norma, non si è riconosciuta al padre una legittimazione ad agire per essere rifuso del danno causatogli a causa della nascita del bambino malforme. Gli artt. 6 e 7, L. 194/1978, infatti, a riguardo fanno espresso ed esclusivo riferimento alla madre – nella scelta di interrompere la gravidanza – e non anche al padre.

A conferma di quanto detto, la Corte di Cassazione civile, con sentenza n. 1421 del 1998 ha negato la possibilità per il padre di configurare un diritto al risarcimento del danno.

L’apertura nei suoi confronti al risarcimento si è avuta con la sentenza della Corte di Cassazione civile del 2004, n. 14488: questa ha affermato come il contratto tra gestante e medico sia un “contratto con effetti protettivi a favore di terzo”[5] e, inoltre, ha sottolineato come nel caso in cui la gestante sia privata del suo diritto di scelta, vi siano delle ripercussioni anche nei confronti del padre, il quale non è da ritenersi soggetto estraneo al contratto. Tale esito negativo va a riflettersi – oltre che nella sfera della donna – anche nella sua sfera psichica ed emotiva.[6]

Anche l’opinione espressa con la sentenza della Corte di Cassazione civile del 2005, n. 20320 ha confermato il riconoscimento del padre al ristoro dei danni subiti a causa della nascita del figlio menomato: egli sarà soggetto ad una vita ingiusta e piena di sofferenze a causa della sua disabilità.

Recentemente, con l’ordinanza del 5 febbraio 2018, n. 2675 è stato confermato l’orientamento giurisprudenziale oramai consolidato (prima con la Cass. civ. 14488/2004 e poi con la Cass. civ., 20320/2005) in forza del quale, “il padre rientra tra coloro in virtù dei quali la mancata o inesatta esecuzione della prestazione può qualificarsi come inadempimento, con tutte le conseguenze sul piano risarcitorio”.[7]

Allo stato, come tale, anche il padre rientra tra i soggetti legittimati attivamente al risarcimento del danno da wrongful birth.

Occorre ora domandarsi se tra i legittimati a chiedere il risarcimento del danno per la nascita del figlio menomato rientrino anche i fratelli e le sorelle dello stesso.

Tradizionalmente, la giurisprudenza riteneva che i fratelli e le sorelle del nato diversamente abile non rientrassero nella categoria dei soggetti terzi tutelati nel contratto stipulato tra sanitario e gestante e pertanto, non risultando destinatari di alcun obbligo informativo da parte del medico, non potessero lamentare la lesione di un proprio diritto;[8] tuttavia, con il recente orientamento della Corte di Cassazione del 2012, n. 16754 è stato esteso il diritto al risarcimento anche in capo a costoro.

In via specifica, la Corte descrive il pregiudizio da loro subito, per inadempimento medico, come “l’inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap” e come la “diminuita possibilità di godere di un rapporto parenterale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione”.[9]

Siffatta Corte nel proseguo afferma che: “La responsabilità del medico per mancata diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita indesiderata sussiste, oltre che nei confronti della madre, anche in quelli del padre e dei fratelli e sorelle del neonato, che sono tutti soggetti protetti dal rapporto contrattuale intercorrente tra il sanitario e la gestante”.[10]

Note conclusive

Da questa breve disamina emerge come gli orientamenti oramai consolidati in materia ammettono una legittimazione nei confronti dei parenti stretti del nato menomato (madre, padre, fratelli e sorelle) – qualora il medico risulti essere negligente, imprudente e imperito nell’esercizio della professione – ad agire in giudizio per chiedere il ristoro del pregiudizio da loro subito.

Ciò, però, sembra non escludere una apertura nei confronti dei parenti non in linea diretta con il nascituro, estendendo nei loro confronti gli effetti protettivi del contratto, e di conseguenza attribuendogli la qualifica di terzi protetti.


[1] Cfr. artt. 6 e 7, L. 194/1978 intitolata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

[2] Si veda, M. Franzoni, Trattato della responsabilità civile, ed. II, tomo I, 2010, Milano, p. 1017.

[3] Ricordiamo l’art. 2 Cost. (diritto all’autodeterminazione), l’art. 3 Cost. (pieno sviluppo della persona a livello sociale, culturale e biologico), l’art. 13 (libertà personale) e gli artt. 31-32 Cost. (diritto alla salute e alla maternità). In questi due ultimi articoli si desume la tutela alla diagnosi e all’assistenza prenatale.

[4] È necessario precisare però che, la condotta omissiva dei medici nel diagnosticare la malattia non diagnosticata del feto, non ha determinato la malattia di cui egli risulta affetto.

[5] La Cassazione del 2004, n. 14488 specifica altresì l’irrisarcibilità dei danni provocati a seguito di un esatto adempimento del sanitario che non avrebbe potuto evitare. Cfr. Cass. civ., 29 luglio 2004, n. 14488.

[6] Quanto detto trova molte conferme anche in dottrina.

[7] Cfr. Questa sentenza prosegue affermando come: “Considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre, il quale deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli”. Cfr. Cass. civ., 5 febbraio 2018, n. 2675 in Altalex, Wolters Kluwer, ed. 2018 (con nota di M. E. Bagnato); Cass. civ., 5 febbraio 2018, n. 2675.

[8] Cfr. Cass. civ., 14 luglio 2006, n. 16123, in Dir. e Fam., 1/2007, p. 137; C. A. Mussi, Nascita indesiderata per omessa diagnosi di malformazioni del feto e risarcimento del danno iure proprio del nascituro in I contratti, 3/2014, pp. 301-302.

[9] Non si nega che questa apertura della Corte potrebbe essere dannosa in quanto potrebbe comportare l’estensione della tutela dei terzi protetti ad altri membri della famiglia (ricomprendendo gli ascendenti o altri soggetti che, pur rientrando nella cerchia familiare non sono consanguinei). Cfr. Cass. civ., 2 ottobre 2012, n. 16754, cit., p. 335 e ss.; G. Tesi, Responsabilità medica e contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi. La particolare ipotesi del danno da nascita indesiderata, p. 47.

[10] Cfr. Cass. civ., 2 ottobre 2012, n. 16754.

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