La rapida diffusione virus COVID-19 sta notevolmente influenzando i mercati internazionali nonché le grandi catene produttive che utilizzano quotidianamente nei propri cicli di produzione componenti provenienti dalla Cina.
Altresì la deviazione di numerose rotte commerciali nonché le limitazioni alla circolazione di merci e persone imposte nelle zone focolaio del virus impongono una serie di riflessioni concernenti le possibili ripercussioni di tali fenomeni sui rapporti contrattuali tra imprese.
Il principale quesito, con riferimento al diritto dei contratti, attiene alla riconducibilità o meno del Coronavirus all’interno della definizione di “forza maggiore”, come di recente paventato dalle autorità cinesi per fare fronte a numerosi ritardi nelle consegne ed inadempimenti da parte di imprese operanti nella regione dell’Hubei nei confronti dei propri partner commerciali.
Circostanza, quest’ultima, che a seguito della recente diffusione del virus in diverse regioni del nord Italia, potrebbe rivestire particolare importanza nella gestione dei rapporti contrattuali tra le imprese operanti all’interno delle zone colpite dal contagio ed i propri clienti, fornitori ed acquirenti.
La forza maggiore e l’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti internazionali e nel diritto italiano
In linea di massima, occorre precisare che la disciplina generale del contratto così come delineata dal codice civile non fornisce una precisa definizione del concetto di “forza maggiore” sicché, considerando altresì le difformità sussistenti tra le diverse legislazioni nazionali sul tema, è ormai prassi del commercio internazionale quella di inserire all’interno dei contratti di vendita una clausola ad hoc di cd. Force Majeure che delinei precisamente le ipotesi di forza maggiore.
Generalmente si fa riferimento ad eventi incontrollabili ed imprevedibili al momento della stipula dell’accordo quali, a titolo esemplificativo, epidemie, calamità naturali quali terremoti, alluvioni, uragani, atti terroristici e di guerra.
Ulteriore conferma di quanto asserito è rinvenibile all’interno Convention on Contracts for the International Sale of Goods (cd. CISG o Convenzione di Vienna) la quale, all’Articolo 79, delinea il concetto di forza maggiore, prevedendo l’esonero di responsabilità per la parte che dimostri l’estraneità di un dato evento alla sua sfera di controllo, la non prevedibilità dello stesso al momento della conclusione del contratto nonché l’assoluta insormontabilità della circostanza impeditiva.
Dunque, al ricorrere delle predette circostanze, il debitore che normalmente sarebbe da considerarsi inadempiente è invece ritenuto privo di qualsivoglia responsabilità nei confronti del creditore.
Alla clausola di forza maggiore si affianca la cd. hardship clause, anch’essa di frequente utilizzo nella contrattualistica internazionale, che trova applicazione nell’ipotesi in cui la prestazione di una delle parti diventi eccessivamente onerosa (ad esempio per variazioni in aumento dei dazi doganali, rincari del costo di materie prime o, come di recente sta avvenendo, a causa della chiusura dei collegamenti con alcune aree/cancellazione e sospensione di voli aerei) a causa di circostanze sopravvenute alla conclusione del contratto tali da determinare uno squilibro ingiustificato tra prestazione e controprestazione e, di conseguenza, un sacrificio sproporzionato di una parte a vantaggio dell’altra.
La ratio principale della clausola di hardship, differentemente da quella di force majeure, è quella di permettere alle parti di rimodulare/rinegoziare/ridefinire gli obblighi dedotti in contratto al fine di adeguare le rispettive prestazioni alle nuove circostanze di fatto risultanti dai predetti eventi, impedendo dunque che il pregiudizio oggettivo alla corretta esecuzione del contratto venga sopportato soltanto da una delle parti.
Ad ogni modo, all’interno dell’ordinamento italiano, il concetto di forza maggiore sembra poter essere desunto dall’art. 1467 c.c., il quale concede al debitore la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto qualora la prestazione da lui dovuta sia diventata eccessivamente onerosa a causa di fatti straordinari ed imprevedibili nonché estranei alla sua sfera di controllo.
Il requisito di straordinarietà, secondo copiosa giurisprudenza sul tema, riveste carattere obiettivo, dovendo necessariamente trattarsi di un evento anomalo, quantificabile sulla base di elementi oggettivi quali la sua intensità e dimensione.
L’imprevedibilità, invece, riguardando la capacità conoscitiva della parte contraente, ha natura soggettiva la cui valutazione deve avvenire sulla base di un parametro generalmente individuato nel comportamento di una persona media che versi nelle medesime condizioni dell’obbligato.
In aggiunta a quanto sopra occorre altresì considerare che, ai sensi dell’art. 1256 c.c., qualora la prestazione dedotta all’interno del contratto diventi definitivamente impossibile per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue e la parte obbligata è liberata dall’adempimento della relativa prestazione. un cd. factum principis.
Circostanza, quest’ultima, che assume particolare rilievo nelle ipotesi in cui l’adempimento di determinati obblighi assunti diventi impossibile in conseguenza di ordini imposti da parte di pubbliche autorità (cd. factum principis), essendo l’intervento delle medesime assolutamente estraneo alla sfera di controllo del debitore.
Il tema è di stretta attualità a seguito della predisposizione da parte del governo di decreti emergenziali che, relativamente ad alcune aree maggiormente colpite dal contagio, hanno disposto la sospensione di determinate attività (spettacoli teatrali, musei, chiese, manifestazioni sportive e, in generale, la maggior parte dei luoghi di aggregazione accompagnata alla generale sospensione della didattica), nonché la chiusura di esercizi commerciali entro una determinata fascia oraria.
Considerazioni conclusive
Le considerazioni svolte hanno cercato di mettere in luce come il confine tra le ipotesi di forza maggiore e quelle di hardship non rappresenti una linea di demarcazione netta ed incontrovertibile ed anzi dimostri, in talune circostanze, un sostanziale appiattimento tra le due nozioni.
Ai fini della corretta individuazione del fenomeno e delle sue eventuali conseguenze giuridiche occorre, infatti, procedere ad una analisi case by case delle singole vicende negoziali.
In tale contesto occorre rilevare come la diffusione del Coronavirus possa, da un lato, rendere l’adempimento di talune prestazioni definitivamente impossibile a causa di circostanze oggettive ed in alcun modo superabili come ad esempio la chiusura totale dei collegamenti con determinate aree ovvero la sospensione precauzionale della produzione finalizzata alla prevenzione del contagio.
Dall’altro lato, preme evidenziare come in talune altre ipotesi gli effetti spiegati dal virus sulle vicende legate al commercio internazionale non rendano del tutto impossibile l’esecuzione delle prestazioni contrattuali ma soltanto maggiormente onerose, come ad esempio nel caso in cui debbano essere utilizzate forme diverse di consegna o vengano stimate tempistiche maggiori per finalizzare la produzione.
In ogni caso, non vi è una precisa regola cui attenersi.
Ogni operatore commerciale che abbia subito un impatto dalla diffusione del Coronavirus, sia esso fornitore o acquirente, dovrà innanzitutto procedere alla verifica delle specifiche disposizioni del relativo contratto al fine di stabilire se vi sia una precisa individuazione delle ipotesi di forza maggiore (o di hardship) e delle relative conseguenze.
Ed è soltanto all’esito di tale valutazione che potranno essere concretamente determinati gli effetti derivanti dall’inadempimento di determinate prestazioni nonché dell’effettiva portata di una serie di eventi sull’equilibrio contrattuale.