La prolungata convivenza matrimoniale non è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale se non viene eccepita dal coniuge.
La Suprema Corte ribadisce l’orientamento giurisprudenziale prevalente che stabilisce la non contrarietà all’ordine pubblico della sentenza ecclesiastica in assenza di opposizione dell’altro coniuge (Cassazione civile, I sezione, n. 7925/2020 del 20/04/2020)
Il caso in esame
La questione riguarda un matrimonio concordatario durato per circa venti anni e terminato per divergenze tra i coniugi. Uno dei coniugi proponeva, nel 2015, l’annullamento del matrimonio canonico per esclusione del consenso del coniuge al momento della celebrazione delle nozze. Veniva, dunque, successivamente richiesto alla Corte di Appello competente la delibazione della sentenza ecclesiastica per non contrarietà della stessa all’ordine pubblico.
La controparte non si costituiva e la Corte delibava la sentenza. Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale. A fondamento del ricorso si esponeva che la convivenza ultratriennale doveva essere considerata una eccezione in senso lato, ossia rilevabile d’ufficio dal giudice, e non in senso stretto solo dalla controparte. La Cassazione ha respinto il ricorso.
La decisione della Corte
A fondamento della decisione i Giudici della Suprema Corte hanno ribadito “la non rilevabilità di ufficio del limite di ordine pubblico alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario costituito dalla convivenza triennale delle parti come coniugi”. In sostanza, “l’eccezione relativa alla convivenza triennale come coniugi, ostativa alla positiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rientra tra quelle che l’ordinamento riserva alla disponibilità della parte interessata”.
Allo stesso tempo, i magistrati hanno ritenuto di chiarire che “non vi sono ragioni per ritenere che la rilevabilità solo ad eccezione di parte del limite di ordine pubblico in discussione contrasti con il diritto al giusto processo della parte rimasta contumace, considerato il carattere volontario della contumacia stessa, dichiarabile solo in presenza della prova della rituale notifica della domanda giudiziale”.
Osservazioni giuridiche
La sentenza della Corte di Cassazione ripropone un annoso dibattito relativo alle c.d. eccezioni in senso stretto ostative alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale.
Se una delle parti non solleva l’eccezione nel primo scritto difensivo, nel rispetto dei termini processuali di costituzione, la sentenza in commento e la giurisprudenza pressoché unanime ritiene che il giudice non abbia il dovere di evidenziare d’ufficio la durata ultratriennale della convivenza matrimoniale come violazione dell’ordine pubblico. L’elemento di novità della sentenza n. 7925/20 in commento è costituita, invece, dall’eccezione sollevata nel ricorso dal Procuratore Generale.
Nell’atto viene contestato il mancato riconoscimento d’ufficio, da parte del giudice, della convivenza ultratriennale, ritenendo la convivenza prolungata ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica, per contrarietà all’ordine pubblico. Nel caso in commento si evidenziava anche la violazione del diritto al giusto processo per il contumace, come riconosciuto dalla normativa comunitaria nelle decisioni in materia matrimoniale.
Si tratta, a ben vedere, di una apertura verso la richiesta di un riconoscimento ex officio del principio della violazione dell’ordine pubblico per le convivenze ultratriennali, attualmente precluso se non proposto ad istanza di parte. La presenza nel nostro ordinamento sia dell’eccezione in senso stretto, riservata esclusivamente alla parte, sia dell’eccezione in senso lato, in cui entra in gioco il potere di rilievo di ufficio da parte del giudice ha sollevato e solleva ancora oggi, come detto, diversi problemi interpretativi. I testi degli art. 167 e 345 c.p.c. esaltano e drammatizzano il problema dei caratteri distintivi tra eccezione in senso lato ed eccezione in senso stretto, riguardo ai quali non si segnalano orientamenti giurisprudenziali univoci.[1] L’art. 112 c.p.c.[2] non indica un criterio di distinzione tra le due categorie di eccezioni, limitandosi a presupporlo.
Invero, l’orientamento prevalente, seguito dalla Suprema Corte, si ispira ai principi delle sentenze delle Sezioni Unite le nn. 16379 e 16380 del 2014[3], riassunti nella sentenza del Supremo Consesso, la n. 6611 del 2015. La Corte, in quest’ultima sentenza evidenzia, espressamente, che chi intenda opporsi alla domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica ha l’onere di eccepire il limite d’ordine pubblico – costituito dalla convivenza matrimoniale – sollevando tale eccezione nella comparsa di risposta allegando i fatti ed i comportamenti specifici dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione si fonda anche “mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi che già emergano dalla sentenza delibanda”. L’omissione o la tardività dell’eccezione in senso stretto non possono essere verificate dal Giudice d’ufficio. La Corte, con la pronuncia in commento, non si discosta da tale interpretazione ritenendo che l’eccezione, ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica, rientri tra quelle che l’ordinamento riserva solo alla parte interessata. Evidenzia, inoltre, che tale situazione sia analoga alla fattispecie dell’impedimento al divorzio costituito dall’eccezione dell’interruzione della separazione come previsto dall’art. 3 della Legge 898/70.
L’osservazione del Procuratore Generale si orienta, invece, verso una interpretazione più coerente del principio di ordine pubblico. La posizione appare maggiormente condivisibile. Il “confine” tra le eccezioni in senso stretto e quelle in senso lato riguarda, a parere dello scrivente, la materia del contendere. Di qui, dunque, il problema interpretativo. Qualora, infatti, il fatto corrisponda ad un interesse generale, non azionabile solo dal privato, la connessa eccezione dovrebbe essere rilevata anche dal giudice in funzione della giustizia della decisione e del perseguimento degli interessi pubblicistici.
Sul punto, quindi, non è apprezzabile l’orientamento confermato con la sentenza in commento. Senza voler entrare in contrasto con il ragionamento seguito dalle Sezioni Unite, v’è da dire che mal si concilia una contrarietà all’ordine pubblico[4] con la rilevabilità della dedotta contrarietà ad opera della sola parte. Sembra davvero incredibile che la non delibabilità di una pronuncia per contrarietà all’ordine pubblico possa essere aggirata dalla concorde richiesta di entrambi i coniugi, soprattutto quando vi sono dei figli. Sembra, inoltre, non plausibile ritenere che la contrarietà all’ordine pubblico possa non essere rilevata dal Giudice o dal Pubblico Ministero[5] a tutela dei figli minori[6]. Qualora, infatti, il fatto corrisponda ad un interesse generale non azionabile solo dal privato, la connessa eccezione dovrebbe essere rilevata anche dal giudice in funzione della giustizia della decisione e del perseguimento degli interessi pubblicistici. Infatti, il concetto di ordine pubblico attiene a tutte quell’insieme di norme fondamentali dell’ordinamento giuridico riguardante principi etici e politici nonché di leggi la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l’esistenza di tale ordinamento.
[1] “ Il convenuto, ai sensi dell’art. 167 comma 1 c.p.c., deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda…”(Cfr. Cass. Civ. ordinanza del 28/09/2017 n. 22701”
[2] Art. 112 c.pc. “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti.” La giurisprudenza della Suprema Corte, in ripetute sentenze, ha stabilito che le eccezioni sono tutte rilevabili d’ufficio, ad eccezione di quelle in cui vi sia una eventuale specifica previsione normativa in tal senso, ovvero nel caso in cui la manifestazione della volontà della parte sia prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (ex multis Cass. Sez. Un. 25/05/2001 n. 226 e Cass. 27/07/2015 n. 15712)
[3] La Suprema Corte con la sentenza a sezioni unite 17 luglio 2014 n. 16380, “nel confermare la non delibabilità, per contrarietà all’ordine pubblico, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio tutte le volte che la convivenza “come coniugi” si sia protratta per almeno tre anni, ha tuttavia chiarito che tale ostacolo alla delibazione costituisce materia di eccezione in senso stretto, dunque non è rilevabile d’ufficio allorché la delibazione sia stata chiesta congiuntamente dai coniugi, tanto più che i caratteri stessi della convivenza ostativa alla delibazione, come delineati dalle Sezioni Unite, sono tali da assegnare un ruolo prevalente alla consapevole, concorde manifestazione di volontà delle parti”.
[4] Per riprendere la definizione fornita dalla Corte Costituzionale, l’ordine pubblico, sono le regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società, ed è imposto soprattutto a presidio della sovranità dello Stato, quale affermata nel comma secondo dell’art. 1, e ribadita nel comma primo dell’art. 7 della Costituzione. (Corte Costituzionale, 02.02.1982, n. 18).
[5] Autorevole dottrina conferma, infatti, le perplessità di tale scelta della Cassazione la quale sminuisce il ruolo del Pubblico Ministero o del Giudice ed imponendo alla Corte di Appello, in assenza come detto, di formale opposizione, di attribuire efficacia civile ad una decisione che sarebbe di per sé contraria all’ordine pubblico. In tal modo si consente alla parte privata il riconoscimento della sentenza ecclesiastica, collocando l’ordine pubblico nella disponibilità di soggetti privati con poteri superiori a quelli del P.M. o del giudice. In tal senso M. Canonico La delibazione delle sentenze di nullità matrimoniale: orientamenti giurisprudenziali e nuove questioni, in Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 23 del 2019 ISSN 1971- 8543
[6] Il giudice ecclesiastico mancherebbe di quel complesso di caratteristiche di garanzia formale e sostanziale che condiziona tutti i tipi di accezioni da parte dello Stato. Infatti, i giudici ecclesiastici non sono “magistrati” nel senso letterale del termine, in quanto non sono dotati della garanzia formale di indipendenza ma operano in una situazione che è molto simile a quella che caratterizza i procedimenti arbitrali.