Contratto preliminare di vendita ad effetti anticipati: la giurisprudenza

in Giuricivile, 2018, 10 (ISSN 2532-201X)

Con riferimento al contratto preliminare, il quale di norma è un contratto ad effetti obbligatori con cui le parti si obbligano reciprocamente alla futura stipula del contratto definitivo, merita particolare analisi la figura del preliminare di vendita ad effetti anticipati.

Questa tipologia contrattuale, invalsa nella prassi delle compravendita immobiliare, consiste nella stipula di un preliminare con cui le parti anticipano l’esecuzione delle prestazioni finali (che consistono, nel caso della vendita, nel pagamento del prezzo e/o nella consegna del bene), fermo restando che l’effetto traslativo vero e proprio, id est il trasferimento del diritto di proprietà, si produrrà solo al momento della stipula del contratto definitivo.

Con riferimento a tale tipo di contratto, è bene rilevare che, dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate in ordine a due profili.

La natura giuridica

Un primo profilo problematico, riguardava la natura giuridica attribuibile al preliminare di vendita ad effetti anticipati.

Secondo un primo orientamento, condiviso da parte della dottrina (GAZZONI), il preliminare di vendita ad effetti anticipati era da qualificarsi alla stregua di un contratto di vendita ad efficacia reale differita. Da tale impostazione ne seguiva che il preliminare, veniva considerato quale contratto definitivo obbligatorio avente causa autonoma, e difettava  del solo effetto traslativo, effetto il quale avveniva con un successivo atto traslativo avente causa solutoria dell’obbligazione di dare precedentemente assunta dal promittente venditore.

Viceversa, secondo un secondo orientamento, sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, il preliminare di vendita ad effetti anticipati non rappresentava un tipo di vendita obbligatoria, bensì costitutiva simpliciter una specie del contratto preliminare semplice, da cui se ne differenziava sotto il profilo delle modalità temporali di esecuzione della prestazione. Di conseguenza, da tale assunto ne derivava che anche preliminare ad effetti anticipati, come il preliminare semplice, era da qualificarsi quale negozio preparatorio avente causa complessa, a cui seguiva il successivo contratto definitivo avente non solo causa solutoria ma anche causa propria, connessa al controllo delle sopravvenienze successive alla stipula del preliminare.

Posizione del promissario acquirente immesso nel godimento del bene

Con riferimento al preliminare di vendita ad effetti anticipati è bene evidenziare inoltre che dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto circa la possibilità del promissario acquirente, immesso nel godimento anticipato del bene, di usucapire quest’ultimo, diventando così proprietario a titolo originario.

Sul punto, è bene osservare che la problematica succitata, le cui conseguenze pratiche erano tutt’altro che irrilevanti, trovava due soluzioni diametralmente opposte.

Infatti, secondo un primo orientamento minoritario (Cassazione 22.07.2003, n. 11415, Cassazione 07.07.2000, n. 9106) – sostenuto da quella parte della dottrina che riconduceva il preliminare ad effetti anticipati alla vendita obbligatoria – il promissario acquirente immesso nel godimento del bene era da qualificarsi quale possessore ex art. 1140 cc.

Sub specie, tale tesi riteneva che la consegna immediata del bene rappresentasse un titolo idoneo e sufficiente a costituire una situazione possessoria: ne seguiva pertanto che il promissario acquirente, qualificato come possessore, era “ legittimato a godere ad modum domini della cosa” (GAZZONI), potendo quindi usucapire.

Invero, secondo tale orientamento “Il principio, secondo cui la natura del rapporto di fatto che si costituisce con la consegna del bene in virtù di convenzione, dipende da quella degli effetti-reali o obbligatori-del contratto, con conseguenti elusioni, in questa seconda ipotesi, del possesso ad usucapionem, non trova applicazione allorché le parti, nello stipulare un contratto preliminare di compravendita, abbiano pattuito la clausola accessoria della consegna immediata del bene con funzione anticipatoria del successivo trasferimento della proprietà al quale tende il negozio; ciò in quanto, in una tale ipotesi, viene attribuito il possesso e non la detenzione della cosa” (Cassazione 22.07.2003, n. 11415).

Viceversa secondo un prevalente orientamento, (Cass., sez. II, 14 novembre 2006, n.24290) il promissario acquirente immesso nel godimento anticipato della res conseguiva la piena disponibilità del bene nel pieno della consapevolezza che l’effetto traslativo non si era ancora verificato. Per tali ragioni, mancava nella situazione de qua, l’animus possidendi, requisito soggettivo del possesso. Pertanto, secondo i fautori di tale tesi, la relazione tra promissario acquirente ed il bene non poteva essere qualificata come possesso, bensì solo come mera detenzione.

L’intervento delle Sezioni Unite

La Suprema Corte, con un’interessante pronuncia (Cass, S.U., 27 marzo 2008 sent. n. 7930), è intervenuta sul tema, operando un’esaustiva disamina della fattispecie in questione.

Innanzitutto, la Corte, analizzando la natura giuridica del preliminare di vendita ad effetti anticipati, ha chiarito che le parti quando pattuiscono contestualmente alla sottoscrizione del preliminare, l’anticipata consegna dell’immobile e l’anticipata corresponsione del prezzo, non concludono un contratto atipico, bensì stipulano due contratti tipici, avvinti da collegamento negoziale, riconducibili al contratto di comodato e al contratto di mutuo gratuito.

In particolare, l’immissione in godimento del bene del promissario acquirente avverrebbe a titolo di comodato, mentre la corresponsione delle somme di denaro al promittente venditore costituirebbe invece un contratto di mutuo gratuito.

Ciò posto, con particolare riguardo alla posizione del promissario acquirente immesso nel godimento anticipato del bene, si è osservato che lo stesso, “non può essere qualificato come possessore in grado di acquisirne la proprietà a titolo di usucapione, non avendo egli l’animus possidendi che, essendo uno stato di fatto, non può essere trasferito” (Cass, S.U., 27 marzo 2008 sent. n. 7930).

Inoltre, la Corte ricollegando la situazione giuridica del promissario acquirente quale mera detenzione chiarisce inoltre che “Tale detenzione, per trasformarsi in possesso utile ai fini dell’occupazione ventennale, necessita uno specifico atto di interversio possessionis. Quest’ultimo, peraltro non è un semplice atto di volizione interna, ma deve chiaramente manifestarsi all’esterno attraverso il compimento di atti che consentano di desumere, anche al possessore, che il detentore ha iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine proprio” (Cass, S.U., 27 marzo 2008 sent. n. 7930).

Conclusioni

Dall’inquadramento normativo operato dalla Suprema Corte con la pronuncia succitata, è possibile osservare come in definitiva, la relazione del promissario acquirente con la cosa, sia da qualificarsi come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, ove non sia dimostrata una “interversio possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141 cc.

Praticante Avvocato. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Ferrara con Tesi in Diritto Amministrativo su "Le sorti del contratto di appalto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione: i poteri del giudice alla luce del Codice del processo amministrativo".

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