Il concordato preventivo con continuità aziendale tra tutela dell’impresa e miglior soddisfacimento dei creditori

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L’introduzione positiva della fattispecie concordataria di cui all’art. 186-bis l.f. ha posto e pone tutt’ora l’interprete di fronte ad interrogativi cogenti che attengono agli interessi sottesi dalla norma in questione.

Già il titolo di tale contributo, dopotutto, vuole dare al lettore un indizio circa la portata di un conflitto tra interessi contrapposti, quelli del mercato e dei creditori, che il legislatore delle riforme ha tentato di comporre.

Non si vuole dunque in tal sede procedere ad una specifica analisi strutturale della norma bensì svolgere delle considerazioni inerenti più che altro ai profili funzionali del concordato preventivo in continuità aziendale, all’assetto d’interessi che tale istituto regola.

Si preferisce seguire questo filo conduttore per due ordini di motivi.

Il primo, di natura pratica, si fonda sulla concreta impossibilità di esaminare tutti gli aspetti del concordato in questione, vista la notevole produzione dottrinale e la ricchezza di pronunzie giurisprudenziali inerenti il tema qui trattato.

Il secondo invece, che definirei portante, porta a focalizzarsi sulle vicende che hanno interessato la disposizione in parola al fine di mostrare quanto oggi non possano più essere dati per scontati alcuni dei principi cardine del sistema concorsuale, assistendosi ad una continua ed inesorabile evoluzione del Diritto Fallimentare verso la tutela di interessi che non avevano rilevanza nella Legge Fallimentare delle origini.

I contrasti originati dall’interpretazione dell’art. 186-bis l.f. mettono a nudo la fragilità odierna dei tradizionali “pilastri” della disciplina tra i quali vi è (purtroppo) anche quello della par condicio creditorum, non più considerato come “sole” attorno al quale debbano gravitare le procedure concorsuali.

Con queste pagine ci si prefigge di ridare centralità all’interesse dei creditori, respingendo tutti quei tentativi di manipolazione, frammentazione e disarticolazione del dato normativo, compiuti da quanti vogliano a tutti i costi offrire tutele e diritti alle imprese in crisi.

L’imperversare della grande depressione economica che ha afflitto il nostro paese ha portato infatti il legislatore ad intervenire sempre più spesso sul testo della Legge Fallimentare, in maniera talvolta maldestra, poco chiara e comprensibile.

L’imprecisione e l’oscurità delle norme hanno poi posto le basi affinché una larga parte della dottrina e della giurisprudenza spingesse, si passi l’ossimoro, verso uno sviluppo recessivo dell’orizzonte di interessi tutelati dalle procedure concorsuali.

Non si può infatti che parlare di involuzione del sistema dal momento in cui si tenta di dare prevalenza, in questo campo, alle ragioni economiche piuttosto che a quelle giuridiche, calpestando e facendosi beffa dei diritti individuali intorno ai quali dovrebbe essere costruito uno stato di diritto.

La rinunzia della Legge alla regolamentazione del mercato e dell’economia ha costituito uno dei traguardi più importanti del pensiero liberale, operata in un’ottica di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive.

Tale rinunzia, tuttavia, non può essere in alcun modo concepita unilateralmente: il diritto deve tendenzialmente evitare di regolare l’economia e l’economia dovrebbe evitare di condizionare il mondo del diritto.

Sicuramente una simile affermazione potrebbe sembrare irrazionale, illogica, irrealistica, visto lo stato delle cose.

Non si vuole tuttavia condannare qualsiasi intervento legislativo o opera interpretativa che tenga conto dei profili economici poiché ciò rasenterebbe il limite della pazzia e della razionalità.

Si vuole qui tuttavia rimarcare il fatto che, nonostante si sia rinunciato ad imbrigliare l’economia nelle maglie del diritto, al fine di meglio tutelare l’individuo, non si può in alcun modo permettere che le ragioni economiche condizionino il pensiero giuridico al punto tale da compromettere i diritti fondamentali degli individui stessi.

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