Chat private e licenziamento: la tutela della corrispondenza prevale sul potere disciplinare

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3405 del 18 luglio 2025, si è pronunciato sull’utilizzabilità, ai fini del licenziamento disciplinare, dei messaggi a contenuto offensivo e diffamatorio inviati dal lavoratore in chat private. La decisione consolida l’orientamento giurisprudenziale che estende la tutela ex art. 15 Cost. alle moderne forme di comunicazione elettronica, tracciando una netta distinzione tra comunicazioni private e pubbliche ai fini del controllo datoriale. 

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I fatti contestati: offese in chat private e sui social

Un lavoratore, con ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del Lavoro, ha chiesto l’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli e la condanna della parte convenuta alle conseguenze gradate di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015.

L’azienda nella quale lavorava aveva contestato al ricorrente, assunto nel 2021 come operario, una serie di comportamenti ritenuti disciplinarmente rilevanti. Le contestazioni riguardavano principalmente messaggi pubblicati in una chat di gruppo condivisa con alcuni colleghi. L’operario, infatti, utilizzando il numero di cellulare aziendale, aveva inviato messaggi contenenti espressioni ritenute offensive nei confronti del sindaco del comune, del comandante della polizia locale e del gruppo aziendale stesso.

Il lavoratore, poi, oltre alle offese in chat private, aveva pubblicato su un social network, in modalità pubblica, un post nel quale si era qualificato come dipendente dell’azienda e aveva utilizzato espressioni denigratorie nei confronti dei vigili urbani.

La difesa del lavoratore ha rilevato la non utilizzabilità, ai fini disciplinari, di tutti i messaggi audio e scritti contestati, invocando la tutela costituzionale della corrispondenza prevista dall’articolo 15 della Costituzione.

Il principio di inviolabilità delle comunicazioni private

Il Tribunale ha accolto la tesi difensiva, richiamando la consolidata giurisprudenza di Cassazione che equipara le chat private alla corrispondenza tradizionale. La Corte ha sottolineato come i messaggi scambiati in gruppi ristretti e destinati a rimanere riservati rientrino nella tutela dell’articolo 15 della Costituzione, che garantisce “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”.

Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170 del 2023, ha chiarito come posta elettronica e messaggi istantanei siano “del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa è, invece, assicurata:

  • per le mail, dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali;
  • per il messaggio istantaneo, dal fatto che questo è spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza ed è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione.

L’irrilevanza dell’uso del telefono aziendale

Il Tribunale ha, poi, considerato irrilevante l’utilizzo del cellulare aziendale per l’invio dei messaggi, precisando che non sussistevano elementi per ritenere che terzi avessero il diritto di accedere ai contenuti della chat o di trasmetterli al datore di lavoro, nemmeno in considerazione della natura aziendale del dispositivo utilizzato.

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La distinzione tra comunicazioni private e pubbliche

Il giudice, tuttavia, ha ritenuto pienamente utilizzabile ai fini disciplinari il post pubblicato sul social network in modalità pubblica. In questo caso, la comunicazione era diretta a “una indifferenziata platea di destinatari”, perdendo quindi la natura riservata che caratterizza  le chat private.

Il Tribunale ha osservato che le espressioni utilizzate nel post pubblico erano “oggettivamente e inequivocabilmente offensive”, non configurandosi come libera manifestazione del pensiero tutelata dall’articolo 21 della Costituzione, ma come “gratuite offese prive di alcun apprezzabile pensiero compiuto”.

La valutazione della proporzionalità

Nonostante il riconoscimento della rilevanza disciplinare del post pubblico, è stato ritenuto comunque sproporzionato il licenziamento. Escludendo, infatti, le condotte relative alle chat private, rimaneva contestabile solo il messaggio pubblico, che da solo non giustificava la sanzione espulsiva, pur in presenza di precedenti disciplinari.

Dichiarata l’illegittimità del licenziamento, il Tribunale ha applicato il regime sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 23/2015, condannando l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Milano conferma l’orientamento giurisprudenziale che estende la tutela costituzionale della corrispondenza alle moderne forme di comunicazione elettronica, ponendo limiti chiari all’utilizzabilità delle chat private ai fini disciplinari.

La decisione, tuttavia, evidenzia anche come rimanga pienamente operativo il potere disciplinare quando le comunicazioni assumono carattere pubblico, soprattutto quando il lavoratore si qualifica come dipendente dell’azienda.

Utilizzabilità di chat private ai fini del licenziamento disciplinare: in sintesi

Ecco infine una pratica e breve checklist per orientarsi nell’applicazione dei principi affermati dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Milano con la sentenza n. 3405/2025.

Le chat aziendali sono sempre protette dalla tutela costituzionale?

Non automaticamente. La tutela si applica quando le comunicazioni avvengono in ambito riservato, con modalità che escludono terzi dalla conoscenza. Se la chat è aperta a soggetti esterni o ha finalità pubbliche, la protezione viene meno.

L’uso del telefono aziendale fa venire meno la riservatezza delle comunicazioni?

No, il mero utilizzo di un dispositivo aziendale non comporta automaticamente la perdita della tutela costituzionale, se le comunicazioni mantengono carattere privato e riservato.

Quando un post sui social media può giustificare il licenziamento?

Quando è pubblicato in modalità pubblica e contiene espressioni oggettivamente offensive, soprattutto se il lavoratore si qualifica come dipendente dell’azienda. Tuttavia, deve sempre essere valutata la proporzionalità della sanzione.

Come si calcola l’indennità in caso di licenziamento illegittimo?

Secondo il D.Lgs. 23/2015, si considera la durata del rapporto, le dimensioni aziendali e le circostanze specifiche del caso. In questa fattispecie, per un rapporto di tre anni, sono state riconosciute 12 mensilità.

La presenza di precedenti disciplinari influisce sempre sulla decisione?

I precedenti sono rilevanti ai fini della recidiva, ma non possono giustificare un licenziamento basato prevalentemente su condotte non utilizzabili disciplinarmente. È necessaria una valutazione complessiva e proporzionata.

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