Cessione del credito e art. 111 c.p.c.: presupposti per la pronuncia direttamente in favore del cessionario

La cessione di un credito, specialmente nel contesto di complesse operazioni di cartolarizzazione di crediti deteriorati (NPL), rappresenta una prassi commerciale sempre più diffusa. Quando, però, il relativo giudizio di accertamento è già pendente, si innescano complesse questioni di natura processuale in merito alla legittimazione delle parti e ai limiti di una pronuncia di condanna.

La disciplina di riferimento è l’art. 111 c.p.c., che regola la successione a titolo particolare nel diritto controverso. Sebbene la norma preveda che il processo prosegua tra le parti originarie, il successore ha la facoltà di intervenire per far valere le proprie ragioni.

Ma quali sono i confini di tale intervento? Una recente sentenza della Corte di Appello di Napoli, la n. 3992/2025, pubblicata il 30/07/2025, offre un’importante occasione per riesaminare i presupposti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità affinché l’intervento del cessionario possa concludersi con una pronuncia emessa direttamente in suo favore. La decisione ribadisce con chiarezza come, in assenza del consenso del cedente e a fronte della contestazione del debitore, la domanda del cessionario non possa trovare accoglimento, a prescindere dalla prova, pur fornita, della cessione stessa.

Il caso in esame

La vicenda processuale origina da un decreto ingiuntivo ottenuto da un istituto di credito per un’esposizione debitoria complessiva di oltre 173.000 euro, derivante da un saldo passivo di conto corrente, un conto anticipi su fatture e un mutuo chirografario. Avverso tale decreto, la società debitrice e i suoi fideiussori proponevano opposizione, contestando l’illegittimità delle condizioni economiche applicate. Nel corso del giudizio di primo grado, dopo l’espletamento di una CTU contabile, una società terza interveniva in giudizio dichiarandosi cessionaria del credito azionato dalla banca, ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario.

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Cessione del credito bancario deteriorato e tutela del debitore

Cessione del credito bancario deteriorato e tutela del debitore

La pluralità di cessioni in blocco ex art. 58 T.U.B. dei crediti bancari è diventato il sistema di gestione dei crediti NPL (Non-Performing Loans) e degli UTP (Unlikely To Pay) da parte delle banche che da anni – in luogo della gestione interna – preferiscono cedere a società terze massimizzando la perdita economica, al fine di effettuare la pulizia dei propri bilanci con risparmio dei costi di gestione e con notevoli benefici fiscali.

Tali società acquistano i crediti di difficile esazione, assumendosi i rischi del recupero.

L’attuale instabilità e incertezza, economica e finanziaria, ha riportato il tema dei Non-Performing Loans al centro delle attenzioni e discussioni anche sul fronte istituzionale.

Il presente Fascicolo, passando per un inquadramento normativo complessivo della materia della gestione dei crediti bancari inesigibili, disvela le criticità e le opacità che emergono in merito alle operazioni di cessione dei crediti, alle modalità del recupero del credito, alla gestione degli stessi, per poi focalizzarsi, nell’ambito tecnico-processuale, sul profilo probatorio e sulle questioni, tanto dibattute in giurisprudenza, afferenti alle legittimazioni sulle cartolarizzazioni di chi ha ceduto e di chi ha acquistato il credito deteriorato e/o inesigibile.

Monica Mandico
Avvocato Cassazionista di Mandico & Partners, del Foro di Napoli. Ha svolto incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione ed è legale accreditato presso Enti no profit e Onlus. È componente della Commissione per la nomina di Esperto Negoziatore presso la C.C.I.A.A. di Napoli. Autrice di libri su diritto bancario e finanziario, sovraindebitamento e GDPR.

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Il Tribunale di Napoli, tuttavia, accoglieva solo parzialmente l’opposizione, rideterminando il credito in circa 122.000 euro e condannando gli opponenti al pagamento di tale somma in favore della banca originaria (cedente). La domanda dell’interventrice (cessionaria) veniva invece integralmente rigettata. Il giudice di prime cure, infatti, pur a fronte della produzione dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, riteneva non sufficientemente provata la titolarità del credito in capo alla società intervenuta, poiché l’avviso non specificava in modo chiaro i criteri di individuazione dei crediti ceduti, rendendo impossibile stabilire se quello di causa vi fosse ricompreso.

Avverso tale decisione, la società cessionaria proponeva appello, lamentando l’errata valutazione delle prove fornite a dimostrazione dell’avvenuta cessione, tra cui la presunzione di conoscenza derivante dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la disponibilità di tutta la documentazione identificativa sul proprio sito internet.

La questione giuridica: la successione a titolo particolare ex art. 111 c.p.c.

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione e applicazione dell’art. 111 del codice di procedura civile. La ratio di tale norma è improntata al principio di stabilità del processo e di tutela della parte non cedente.

Per evitare che la durata del giudizio possa essere strumentalmente allungata o complicata da continui cambi di interlocutore, il legislatore ha stabilito che, in caso di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, il processo prosegua tra le parti originarie. L’alienante (il cedente del credito) mantiene la sua posizione processuale e la sua legittimazione ad agire e resistere, operando però come sostituto processuale del successore. Sebbene, dunque, la titolarità sostanziale del diritto si sia trasferita al cessionario, la legittimazione processuale rimane incardinata in capo al cedente, i cui atti processuali produrranno effetti diretti nella sfera giuridica del cessionario.

Il successore a titolo particolare, tuttavia, non è un mero spettatore. L’art. 111 c.p.c. gli consente di intervenire nel giudizio. L’intervento, però, non comporta un’automatica modifica della domanda o la sua sostituzione alla parte originaria.

Affinché il giudizio possa concludersi con una pronuncia di merito direttamente favorevole al successore intervenuto, è necessario che si verifichino determinate condizioni. In assenza di esse, un accertamento sulla titolarità del diritto in capo al cessionario costituirebbe un’inammissibile mutatio libelli, ossia una modifica sostanziale della domanda (petitum) e delle ragioni giuridiche a suo fondamento (causa petendi). Tale modifica, se non accettata esplicitamente dalle controparti, violerebbe il principio del contraddittorio.

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La decisione della Corte di Appello di Napoli

La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza in commento, ha dichiarato l’appello inammissibile, basando la propria decisione su un’argomentazione squisitamente processuale che assorbe e rende irrilevante ogni valutazione nel merito sulla prova della cessione.

Richiamando un consolidato e recente orientamento della Corte di Cassazione (tra cui Cass. civ., Sez. I, 04/03/2024, n. 5728), il collegio partenopeo ha ribadito che la pronuncia di condanna in favore del successore a titolo particolare intervenuto in giudizio è subordinata a due presupposti indefettibili:

  • l’espressa adesione del cedente (la parte originaria) all’intervento e alla richiesta del cessionario;
  • la mancata contestazione da parte del debitore ceduto in merito all’effettivo verificarsi della successione.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato come entrambe le condizioni fossero palesemente assenti. Da un lato, la banca cedente, dopo l’intervento della società cessionaria, si era di fatto disinteressata del giudizio, astenendosi dal partecipare alle udienze successive senza però mai prestare un’esplicita adesione all’operazione o alla richiesta di condanna in favore della nuova parte. Dall’altro lato, i debitori opponenti avevano tempestivamente e specificamente contestato l’avvenuta cessione del credito nei loro confronti sin dalla prima udienza utile.

In questa situazione, conclude la Corte, consentire una pronuncia direttamente in favore della cessionaria avrebbe significato un’inammissibile modificazione della domanda, poiché avrebbe costretto i debitori a difendersi su un tema — l’accertamento della titolarità del credito in capo all’interventrice — non previsto nell’originario perimetro del contendere. Di conseguenza, l’appello è stato ritenuto inammissibile, poiché il suo fine ultimo, ossia ottenere una condanna a proprio nome, era giuridicamente irraggiungibile date le circostanze processuali.

Conclusioni

La pronuncia della Corte di Appello di Napoli si allinea alla più rigorosa interpretazione dell’art. 111 c.p.c. fornita dalla Suprema Corte. Essa riafferma un principio fondamentale per la stabilità del processo: l’intervento del successore nel diritto controverso non può stravolgere l’oggetto della lite originariamente introdotta, a meno che non vi sia il consenso di tutte le parti coinvolte. La decisione offre un importante monito per gli operatori del diritto e, in particolare, per le società cessionarie di crediti.

L’acquisto di un credito litigioso richiede non solo un’attenta due diligence sulla fondatezza del diritto, ma anche una valutazione strategica della posizione processuale. Per poter ottenere una sentenza direttamente a proprio favore, non è sufficiente provare la cessione, ma è cruciale assicurarsi l’adesione esplicita del cedente all’intervento. In mancanza, la via maestra resta quella di attendere una pronuncia in favore del cedente (quale sostituto processuale) per poi procedere in via esecutiva come successori nel diritto accertato dalla sentenza.

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