Nell’analisi dei benefici economici per i figli maggiorenni delle vittime del dovere, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 8628 del 2024, ha sottolineato la necessità di rimettere in discussione il principio formulato dalle precedenti Sezioni Unite per dar voce al fondamentale principio di solidarietà. La questione, incentrata sull’estensione dei diritti dei familiari superstiti delle, solleva interrogativi sull’interpretazione delle disposizioni normative e sul sostegno alle famiglie colpite.
Corte di Cassazione- Sez. Lav. ord.inter. n. 8628 del 02-04-2024
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La questione
Il caso in esame riguardava un ricorso presentato dal Ministero della Difesa avverso una decisione della Corte d’Appello di Genova che aveva riconosciuto il diritto a ricevere gli assegni vitalizi a carico dei figli maggiorenni di un militare deceduto. Tale statuizione aveva ad oggetto le disposizioni normative previste dalle leggi n. 407/1998 e n. 206/2004, quali prevedono benefici economici per i superstiti delle vittime del dovere.
In particolare, la Corte d’Appello aveva ritenuto che, in base alle modifiche introdotte dalla legge n. 244/2007, i benefici spettassero anche ai figli non conviventi e, dunque, economicamente autosufficienti. La decisione si basava sull’interpretazione estensiva della legge del 2007 non solo per le vittime di terrorismo, ma anche alle vittime del dovere, inclusi i figli maggiorenni non fiscalmente a carico.
Contro questa sentenza, il Ministero della difesa ha presentato ricorso per cassazione, ponendo la questione dell’individuazione dei familiari superstiti aventi diritto agli assegni vitalizi, in particolare se tra questi debbano essere inclusi i figli maggiorenni non a carico della vittima in presenza del coniuge superstite.
I motivi di ricorso
I motivi di ricorso presentati dal Ministero della difesa contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello sono due:
- Con il primo motivo, il Ministero ha lamentato la violazione degli artt. 12 e 14 delle preleggi, l’art. 81 Cost., l’art. 2 della l. n. 407 del 1998, gli artt. 5 e 6 della l. n. 206/2004 e l’art. 2 commi 105 e 106 della l. n. 244 del 2007 e, infine, l’art. 5 della l. n. 466 del 1980. In particolare, il primo motivo di ricorso contestava l’interpretazione in base al quale i benefici degli assegni vitalizi spettassero anche ai figli maggiorenni non a carico, in presenza del coniuge superstite;
- Con il secondo motivo di ricorso, presentato in via subordinata al primo, il Ministero ha constatato l’errore interpretativo della Corte distrettuale nell’assimilare la nozione dei figli maggiorenni non conviventi a quella di figli non a carico.
Le argomentazioni della Corte
I giudici di legittimità hanno affrontato l’esame dei due motivi di ricorso presentati dal Ministero della difesa in via congiunta, partendo dall’analisi della sentenza n. 11181 del 2022 in cui la Corte di legittimità aveva affrontato un caso analogo. Il principio di diritto che emergeva dal caso riguardava, secondo quanto disposto dalla l. 244/2007, l’attribuzione del beneficio ai figli a carico fiscale della vittima all’epoca del decesso, se il coniuge superstite avente diritto fosse stato ancora in vita.
La Corte ha quindi sostenuto che la legge nr. 244 del 2007, nell’art. 2 comma 105, avesse solo l’obiettivo di estendere determinate prestazioni alle vittime del dovere e ai loro superstiti, senza modificare l’impianto originario di individuazione delle categorie di familiari superstiti aventi diritto, come delineato dall’art. 6 della legge nr. 466 del 1980. Di conseguenza, secondo questa interpretazione, l’estensione dei benefici riguardava esclusivamente gli aspetti “oggettivi” (i benefici in sé) e non anche quelli “soggettivi” (i familiari beneficiari).
Nel caso di specie, la pronuncia n. 11181 del 2022 manteneva una certa coerenza interpretativa con i principi sottolineati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 22753 del 2018, ovvero, pur riconoscendo lo scopo di uniformare i benefici spettanti alle vittime del dovere con quelle spettanti ai superstiti delle vittime della criminalità organizzata, ciò non escludeva la possibilità di modulazione differenziata della sfera dei superstiti beneficiari.
Il principio di solidarietà sociale
Nel caso concreto, la corte ha osservato il principio fondamentale della solidarietà sociale come faro per l’estensione dei benefici economici ai superstiti delle vittime del dovere.
In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, il danno subito è un attacco allo stato attraverso il soggetto colpito, senza che quest’ultimo abbia necessariamente un rapporto o abbia fornito un servizio alle pubbliche amministrazioni. Viceversa, la tutela per i superstiti derivante dalle le vittime del dovere, nasce in virtù del servizio reso da quest’ultimi verso la pubblica amministrazione.
Nel contesto della decisione della Corte, la solidarietà sociale emerge come un principio fondamentale che sottende l’estensione dei benefici ai superstiti delle vittime del dovere. La Corte riconosce che le diverse provvidenze previste per le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere si fondano tutte sul principio di solidarietà sociale. Questo principio si manifesta nell’intento di fornire sostegno e ristoro a coloro che sono stati colpiti da eventi traumatici che, oltre a incidere profondamente sulla vita dei diretti interessati, offendono la collettività nel suo insieme.
Dunque, la Corte ha sottolineato come il principio di solidarietà sociale si traduca in un sistema di protezione che mira ad indennizzare i familiari delle vittime, riconoscendo loro benefici e assegni vitalizi per mitigare il pregiudizio subito a seguito del cambiamento delle loro condizioni di vita dovuto alla perdita del familiare deceduto.
La rimessione alle Sezioni Unite Civili
La Sezione Lavoro, nell’analisi di tutte le disposizioni normative coinvolte nella tutela delle vittime del dovere, ha espresso dubbi sulla solidità degli indirizzi interpretativi precedenti formulati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare, sotto il profilo dell’estensione dei benefici solo all’aspetto “oggettivo” senza annoverare anche l’aspetto “soggettivo”. In particolar modo, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le modifiche normative intervenute nel 2007 avrebbero dovuto allargare la platea dei soggetti beneficiari per includere altresì i “figli maggiorenni ancorché non conviventi”.
In definitiva, il Collegio ha osservato che l’interpretazione fino ad ora adottata dalla Corte di Cassazione non avesse tenuto pienamente conto della lettera e della finalità della legge nr. 244 del 2007, suggerendo quindi una possibile rilettura che potrebbe portare a riconsiderare i criteri di attribuzione dei benefici economici ai superstiti delle vittime del dovere.
In merito al secondo motivo di ricorso presentato dal Ministero della Difesa, i giudici non hanno condiviso l’osservazione relativa alla nozione dei figli maggiorenni non assimilabile ai figli non a carico.
Tuttavia, i giudici della Sezione Lavoro hanno interpretato la menzione dei “figli maggiorenni” nelle normative, in particolare nell’art. 5 della legge nr. 206 del 2004 come modificato dall’art. 2 comma 106 della legge nr. 244 del 2007, come un chiaro riferimento ai figli economicamente autonomi e non fiscalmente a carico del genitore al momento del decesso. Questa interpretazione è supportata dall’uso dell’espressione “ancorché non conviventi”, che rafforza l’idea che i figli maggiorenni, indipendentemente dalla loro convivenza con la vittima, siano considerati non a carico se sono economicamente autonomi.
In altre parole, la Corte ha ritenuto che il dato letterale contenente la dicitura dei “figli maggiorenni ancorché non conviventi” tra i beneficiari degli assegni vitalizi implicasse un’intenzione legislativa di allargare la categoria dei beneficiari a includere i figli che, pur avendo raggiunto la maggiore età e non vivendo più con la vittima, possano comunque aver subito un pregiudizio a seguito del decesso del genitore.
Conclusioni
Per questi motivi, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alla Prima Presidente affinché possa valutare l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite riguardo l’interpretazione dell’art. 2, comma 105, della legge n. 244 del 2007.
In particolare, il dubbio interpretativo ha ad oggetto sul se la disposizione in questione debba essere letta come un’estensione della disciplina già applicata alle vittime del terrorismo, inclusa l’identificazione dei beneficiari, alle vittime della criminalità organizzata e del dovere, oppure se si debba intendere che la legge estenda solo determinate prestazioni senza alterare il nucleo originario dei soggetti aventi diritto ai benefici economici, che sarebbe quindi ancora definito dall’art. 6 della legge n. 466 del 1980.
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Paolo Emilio De Simone
Magistrato presso il Tribunale di Roma, già componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n. 1/1989. Docente della Scuola Superiore della Magistratura, è autore di numerose pubblicazioni.