
La Sezioni Unite Civili, con l’ordinanza n. 11519/2025, pubblicata il 2 maggio (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), sono intervenute su una questione di rilievo in materia deontologica forense, chiarendo i presupposti applicativi dell’art. 34 CDF (Codice Deontologico Forense). La Suprema Corte, in particolare, ha precisato se, la proposizione di un’azione giudiziaria per il pagamento del compenso professionale da parte dell’avvocato nei confronti dell’assistito, senza previa rinuncia agli incarichi pendenti, integri o meno illecito disciplinare, e se la permanenza di tale condotta possa incidere sul computo del termine prescrizionale dell’azione disciplinare. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile”, di Lucilla Nigro, offre un supporto utile per gestire ogni fase del contenzioso civile.
Formulario commentato del nuovo processo civile
Il volume, aggiornato alla giurisprudenza più recente e agli ultimi interventi normativi, il cd. correttivo Cartabia e il correttivo mediazione, raccoglie oltre 200 formule, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali. Il formulario si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile.
L’opera fornisce per ogni argomento procedurale lo schema della formula, disponibile anche online in formato editabile e stampabile.
Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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Lucilla Nigro, 2025, Maggioli Editore
94.00 €
89.30 €

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L’articolo 34 del Codice Deontologico Forense
L’articolo 34 del Codice Deontologico Forense prevede che l’avvocato, per agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, deve rinunciare a tutti gli incarichi ricevuti. La violazione di tale dovere comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Il caso
La vicenda prende le mosse da una contestazione disciplinare rivolta a due avvocati. A loro carico veniva ipotizzata la violazione dell’art. 34 del Codice Deontologico Forense. Tra il 2014 e il 2017, i professionisti avevano promosso un procedimento monitorio contro una propria assistita, al fine di ottenere il pagamento del compenso. Tuttavia, non avevano rinunciato agli incarichi professionali ancora in corso.
In precedenza, le parti avevano sottoscritto un accordo stragiudiziale, con cui la cliente riconosceva il debito. Nonostante ciò, i legali avevano comunque iscritto ipoteca giudiziale a tutela del credito.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva distinto il diverso grado di coinvolgimento dei due avvocati irrogando a uno, la sanzione del richiamo verbale ai sensi dell’art. 22, n. 4, CDF, e, all’altra, quella dell’avvertimento, in misura attenuata rispetto alla censura prevista dall’art. 34 CDF. Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 290 del 2024, aveva confermato la decisione del CDD, respingendo l’impugnazione presentata dai legali.
I due avvocati avevano, allora, proposto ricorso per cassazione sollevando tre profili di doglianza: la violazione del principio di correlazione tra accusa e decisione; l’applicazione retroattiva del precedente Codice Deontologico; e infine la maturata prescrizione dell’azione disciplinare.
Il principio deontologico e la nozione di conflitto di interessi
Le Sezioni Unite hanno confermato l’impostazione del CNF, ribadendo la portata precettiva inderogabile dell’art. 34 CDF. La norma, come precisato sopra, nella sua formulazione vigente, impone all’avvocato di rinunciare previamente a tutti gli incarichi ricevuti dal cliente prima di promuovere azioni giudiziarie nei suoi confronti per ottenere il pagamento del compenso.
Secondo la Corte, l’obbligo è funzionale ad evitare ogni potenziale conflitto di interessi, che sussiste anche quando l’avvocato, pur non essendo più attivamente coinvolto nel contenzioso, non abbia formalmente rinunciato al mandato. Tale situazione di contrapposizione, anche solo latente, determina infatti un’incompatibilità deontologica insanabile. Né rileva, ai fini dell’esimente, il consenso eventualmente prestato dal cliente o la natura non contenziosa della scrittura privata di riconoscimento del debito.
Il rilievo pubblicistico dell’obbligo deontologico e la non applicabilità dell’overruling
La Suprema Corte, rigettando il secondo motivo di ricorso, ha chiarito che l’art. 34 CDF tutela interessi di natura pubblicistica, in quanto finalizzato a garantire l’imparzialità e la lealtà del rapporto fiduciario tra difensore e assistito. Da ciò discende l’impossibilità per le parti di derogare convenzionalmente alla disposizione.
La Cassazione ha respinto, altresì, la censura relativa alla violazione del principio di overruling e al fatto che, nel caso di specie, troverebbe applicazione il precedente codice disciplinare, che non sottendeva interessi pubblicistici, e le cui norme erano derogabili in virtù di accordi. Il nuovo codice, infatti, è entrato il vigore il 15 dicembre 2014 e i giudizi seguiti dallo studio professionale erano iniziati prima di tale data.
La Corte, a tal proposito, ha precisato che l’obbligo di rinuncia all’incarico per la proposizione di azioni giudiziarie nei confronti del cliente, era già presente nel previgente codice e costituiva diritto vivente anche prima della riforma del 2014. Non si è quindi in presenza di un mutamento giurisprudenziale imprevedibile, tale da legittimare un affidamento incolpevole da parte dei professionisti e da giustificare il richiamo all’istituto dell’overruling (del quale abbiamo parlato qui).
La prescrizione dell’azione disciplinare
Sul piano temporale, i ricorrenti avevano dedotto la maturazione del termine prescrizionale di cui all’art. 56 della legge n. 247/2012, invocando la cessazione della condotta nel 2017. Tuttavia, le Sezioni Unite, in linea con il CNF, hanno individuato la cessazione dell’illecito disciplinare nella data del 27 dicembre 2018, momento in cui l’assistita ha estinto il debito con il pagamento della somma residua concordata. Tale pagamento ha segnato la fine della contrapposizione di interessi e, quindi, della condotta disciplinarmente rilevante.
Essendo stata formulata un’incolpazione “aperta” e stante la natura permanente della condotta, il termine prescrizionale ha iniziato a decorrere da tale data, risultando ancora pendente al momento dell’adozione della sentenza del CNF. Ne consegue la non fondatezza del motivo, anche alla luce dell’impossibilità per la Cassazione di sindacare in sede di legittimità l’accertamento di fatto sulla cessazione dell’illecito, in assenza di vizi logici o giuridici.
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Conclusioni
L’ordinanza n. 11519/2025 delle Sezioni Unite riafferma con chiarezza i limiti invalicabili della condotta forense nei casi di azione per il recupero del credito contro l’assistito. L’avvocato, pur titolare del diritto a ottenere il pagamento del proprio onorario, deve necessariamente tutelare l’equilibrio fiduciario e il rispetto dei principi deontologici, evitando ogni forma anche solo potenziale di conflitto di interessi.
La decisione si inserisce in un solco interpretativo consolidato che esclude la possibilità di giustificare l’azione giudiziale con il consenso dell’assistito o con considerazioni di natura privatistica. Il rispetto formale della rinuncia al mandato si pone così come condizione indefettibile per la legittimità dell’azione per il recupero del compenso.
Sotto il profilo sistematico, l’ordinanza ribadisce il ruolo delle regole deontologiche nella tutela della funzione sociale dell’avvocatura, quale presidio di indipendenza, imparzialità e decoro della professione forense.