Assegno divorzile: non basta la sperequazione dei redditi tra ex coniugi

in Giuricivile, 2021, 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. Civ., sez. VI-1, sent. 28.01.2021 n. 1786

Nel gennaio 2021 si è verificata una svolta giurisprudenziale relativa alla quantificazione dell’assegno divorzile, ma partiamo prima dalla definizione di cos’è l’assegno divorzile e di quale sia la sua funzione.

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L’assegno divorzile

L’assegno divorzile è rappresentato dall’obbligo di uno dei coniugi al versamento periodico all’altro coniuge di un assegno, qualora quest’ultimo non disponga di mezzi adeguati o comunque non riesca a procurarseli per ragioni oggettive. Il versamento dell’assegno può essere mensile, può essere corrisposto in un’unica soluzione, anche con l’assegnazione di un bene o può essere corrisposto “ una tantum”.[1]

Il diritto all’assegno divorzile da parte del coniuge più debole sotto il profilo economico, può essere valutato solo in sede di divorzio, infatti in tale sede il giudice potrà valutare se sussistano o meno i presupposti per la sua attribuzione e per la determinazione del relativo importo. È importante sottolineare che la funzione dell’assegno è di natura assistenziale, e riguarda un diritto indisponibile; infatti il suo  scopo è di rispondere ad una specifica situazione di debolezza economica per proteggere coniuge più vulnerabile.

L’assegno divorzile ha natura complessa: possiede una componente assistenziale, per cui bisogna stimare il pregiudizio che può causare ad uno dei coniugi lo scioglimento del vincolo matrimoniale; una componente di tipo risarcitorio, infatti si deve accertare la causa che abbia determinato la rottura del rapporto; ed infine una componente compensativa, per cui bisogna valutare gli apporti di ciascun coniuge alla vita familiare.[2] Lo stesso può essere concesso quando sussista anche una sola di queste tre componenti.

L’assegno, riguardando beni indisponibili, si estingue quando colui che lo percepisce contrae nuove nozze o qualora colui che è obbligato a versarlo muore o fallisce con l’impresa; se l’obbligato non versa l’importo stabilito è possibile agire con una procedura esecutiva nei suoi confronti o nei confronti di chi è suo debitore (ad esempio il datore di lavoro o una banca), per ottenere il pagamento dovuto.

Nel caso di mancato pagamento dell’assegno, possono essere soggetti a pignoramento anche lo stipendio o la pensione del debitore obbligato in sede civile, infatti l’art. 156 c.c. prevede delle tutele specifiche a favore del coniuge più debole o della prole nei casi di inadempimento.[3]

Tale inadempimento in sede penale costituisce reato; pertanto ai sensi dell’art. 570 c.p., modificato dal D. Lgs. n. 154/2013, viene sanzionato chiunque “si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge” con la pena della reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 fino a 1.032, stabilendo altresì l’applicabilità congiunta di dette pene a chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

L’assegno può essere oggetto di rinuncia e secondo la Suprema Corte di Cassazione una volta che in sede di divorzio l’ex coniuge ha rinunciato allo stesso, non lo può più rivendicare in un momento successivo.[4] Bisogna però considerare che tale rinuncia non è di tipo assoluto, infatti nonostante i coniugi, in presenza di sufficienti redditi propri, possono legittimamente rinunciare a qualsiasi pretesa relativa al loro mantenimento, tale accordo non può mai rappresentare una rinuncia in senso stretto. Ciò in ragione del fatto che il diritto all’assegno del coniuge economicamente più debole può essere fatto valere in qualunque momento, una volta che vengono meno le condizioni di autosufficienza economica.

Le novità

Con la sentenza n. 1786 il 28 gennaio 2021, la Cassazione ha chiarito che nel giudizio sull’assegno divorzile, il giudice del merito deve valutare sia le condizioni, i redditi e l’età di entrambi i coniugi e, nella registrata sperequazione tra gli stessi, deve necessariamente verificare se essa sia riconducibile a scelte comuni di vita. In base a tale valutazione bisognerà poi stabilire in modo realistico quali sarebbero state le aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole e se queste siano state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo essenziale contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio.

La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi infatti non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita durante il periodo coniugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale, relativo soprattutto al riconoscimento delle aspettative professionali sacrificate per dedicarsi alla cura della famiglia.


[1] La corresponsione una tantum del mantenimento divorzile può essere realizzata attraverso un’ attribuzione di tipo patrimoniale o mediante il trasferimento di diritti immobiliari, per esempio la cessione di una quota di un bene ovvero di tutto il bene o la costituzione di un diritto reale limitato.  In particolare la Corte d’Appello di Firenze Sez. I, 2 marzo 2009 ha affermato che la sentenza di divorzio può contenere una clausola con cui uno dei coniugi cede all’altro una quota di immobile comune, in quanto in un ambito di generale sistemazione dei rapporti dipendenti dal matrimonio, non può essere impedito di inserire nel ricorso congiunto per divorzio anche quel profilo che, consenta di realizzare compiutamente il regolamento di interessi che concluda la fase della vita coniugale .

[2] Secondo le disposizioni dell’articolo 5 della legge sul divorzio (L. 898/1970) il tribunale, quando pronuncia la sentenza di divorzio, determina anche la misura dell’assegno divorzile tenendo conto di svariati fattori , come ad esempio: il reddito dei due coniugi, le ragioni della decisione e la durata del matrimonio.

[3] L’art. 156 c.c. recita: “In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto”.

[4] Cass. sent. n. 36392/2019

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