Assegno divorzile nelle unioni civili: quando spetta e come si calcola

La Prima Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), è intervenuta nuovamente sulla disciplina dell’assegno conseguente allo scioglimento dell’unione civile, offrendo una disamina puntuale dei presupposti applicativi. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione della duplice funzione, assistenziale e compensativo-perequativa, che informa l’istituto, mutuandone i principi dall’elaborazione in materia di assegno divorzile. 

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Formulario commentato della famiglia e delle persone

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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022, è attualmente Giudice ordinario di pace.

 

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La fattispecie

La controversia in esame riguarda la richiesta di un assegno periodico avanzata da una delle parti a seguito dello scioglimento della loro unione civile, formalizzata alcuni anni fa, preceduta da una convivenza di fatto. A una prima pronuncia del Tribunale di Pordenone, che aveva riconosciuto un assegno mensile di 550 euro era seguito il rigetto della domanda da parte della Corte d’Appello di Trieste.

Il primo ricorso in Cassazione aveva condotto a una pronuncia delle Sezioni Unite (35969 del 27 dicembre 2023), la quale aveva stabilito il principio secondo cui, nella valutazione dei presupposti dell’assegno, la durata del rapporto deve estendersi anche al periodo di convivenza che ha preceduto l’unione.

A seguito del rinvio, la Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, riconosceva nuovamente l’assegno. Tale decisione si fondava sulla valorizzazione della significativa disparità patrimoniale tra le parti e sulla presunta perdita di chance lavorative subita dalla richiedente a causa del trasferimento per la convivenza.

I motivi di ricorso in Cassazione

È avverso tale ultima sentenza che è stato proposto il ricorso oggetto della presente analisi, affidato a tre motivi:

  • l’omesso esame di un fatto decisivo (la circostanza che la richiedente fosse già disoccupata al momento del trasferimento);
  • la violazione di legge in merito alla mancata prova della perdita di chance di stabilizzazione lavorativa;
  • e, infine, l’erronea applicazione dei criteri perequativo-assistenziali, data la giovane età, l’assenza di figli e la titolarità di un lavoro a tempo indeterminato da parte della beneficiaria.

La decisione della Corte

La Suprema Corte ha chiarito preliminarmente che alle unioni civili si applicano, per espresso richiamo legislativo, i principi elaborati per l’assegno divorzile matrimoniale, con le dovute specificità. L’assegno nelle unioni civili non conosce la fase separativa e si configura fin da subito come “divorzile”, presupponendo la cessazione del vincolo e l’avvio di vite autonome.

La Cassazione, tuttavia, ha ravvisato nella decisione impugnata un errore di diritto nell’applicazione della normativa di riferimento. Il giudice del rinvio, secondo la Cassazione, ha erroneamente sovrapposto il presupposto della disparità economica con l’accertamento della funzione assistenziale dell’assegno.

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La funzione assistenziale

La Corte, nel distinguere nettamente l’assegno divorzile da quello di mantenimento tipico della separazione, ribadisce che la funzione assistenziale del primo non è volta a garantire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di rapporto, criterio ormai superato. Essa persegue, invece, lo scopo di assicurare i mezzi adeguati a una vita autonoma e dignitosa al soggetto economicamente più debole, in una prospettiva di solidarietà post-coniugale. Tale requisito sussiste unicamente qualora la parte richiedente sia priva di risorse sufficienti e si trovi nell’impossibilità oggettiva di procurarsele, malgrado ogni diligente sforzo improntato al principio di autoresponsabilità.

Laddove ricorra la sola funzione assistenziale, l’assegno resta tendenzialmente parametrato ai criteri propri dell’obbligazione alimentare. Nel caso di specie, il giudice di merito si era limitato a un calcolo aritmetico delle differenze reddituali e patrimoniali, omettendo di verificare in concreto se la condizione della richiedente, titolare di un impiego a tempo indeterminato nel settore pubblico, fosse realmente tale da non consentirle di raggiungere autonomamente una soglia di esistenza dignitosa.

La funzione compensativo-perequativa

In subordine, l’assegno può trovare fondamento nella sua funzione compensativo-perequativa, la quale interviene per riequilibrare lo squilibrio economico derivante da scelte di vita condivise che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative professionali di una parte in funzione del nucleo familiare e della carriera dell’altra. La Cassazione chiarisce che, ai fini del riconoscimento di tale funzione, non è sufficiente la mera allegazione di una rinuncia a occasioni professionali-reddituali. La perdita di una chance costituisce sì una entità patrimoniale a sé stante, ma da sola non basta a integrare i presupposti per l’assegno. È onere del richiedente dimostrare che tale sacrificio sia stato funzionale a “fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell’altra parte”.

In altre parole, deve emergere un nesso causale tra la condotta ablativa di una parte e il beneficio che ne è derivato per la conduzione della vita comune o per lo sviluppo professionale e patrimoniale del partner. Ciò si verifica quando la condotta di ciascuno è coerente con l’impianto solidaristico proprio non solo del matrimonio ma anche dell’unione civile. Anche questo accertamento, secondo la Corte, è mancato nella sentenza impugnata, la quale ha rilevato la perdita di una chance senza tuttavia indagarne la destinazione e la ricaduta solidaristica all’interno della dinamica della coppia, intesa come comunità di affetti e di vita comune.

Conclusioni: il principio di diritto enunciato

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza con rinvio, enunciando un principio di diritto che funge da guida per il nuovo esame: l’assegno di scioglimento dell’unione civile, non diversamente da quanto avviene per il matrimonio, può essere riconosciuto ove ricorra la sua funzione assistenziale o quella perequativo-compensativa.

  • La prima, autonoma, si fonda sull’inadeguatezza dei mezzi e sull’impossibilità di procurarseli, e giustifica un assegno parametrato alle esigenze esistenziali.
  • La seconda, che assorbe la prima, ricorre quando lo squilibrio dipenda da scelte di vita comuni e sacrifici funzionali al contributo dato alla famiglia e al patrimonio dell’altro; in tal caso, l’assegno è commisurato a tale contributo.

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