Assegno divorzile: il rilievo del contributo alla conduzione familiare nella determinazione

La Prima Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 31087/2025, è tornata sul rilievo che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare assume ai fini della determinazione dell’assegno divorzile. L’ordinanza, poi, ha ribadito che il ricorso per cassazione non consente di rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici di merito, attraverso la contrapposizione di una diversa ricostruzione.

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Il nuovo processo di famiglia

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Michele Angelo Lupoi
Avvocato del Foro di Bologna e Professore ordinario di diritto processuale civile dell’Università di Bologna, ove insegna diritto processuale civile e altre materie collegate, tra cui un Laboratorio per la gestione dei conflitti familiari.
Direttore della Summer School organizzata dall’Università di Bologna a Ravenna su Cross-border litigation and international arbitration. Partecipa a numerosi convegni e seminari in Italia e all’estero in qualità di relatore. Fa parte del Comitato editoriale della Rivista trimestrale di diritto e procedura civile ed è editor dell’International Journal of Procedural Law. Responsabile della sezione dell’Emilia Romagna della Camera degli avvocati internazionalisti, ha pubblicato monografie, articoli e saggi in materia di diritto di famiglia, diritto processuale civile, diritto internazionale processuale.

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Il contesto della controversia

La questione nasce dall’impugnazione della ex moglie, che chiedeva un aumento dell’assegno divorzile riconosciuto dal Tribunale. Il diritto all’assegno era già coperto da giudicato, poiché l’ex marito non aveva contestato la spettanza della prestazione nel proprio atto difensivo. Rimaneva quindi da valutare soltanto la misura dell’importo.

Durante la lunga relazione matrimoniale, la richiedente aveva dedicato tempo ed energie alla cura della casa e del figlio, assicurando risparmi significativi al nucleo familiare e contribuendo, in termini indiretti, al mantenimento del tenore di vita. Questo elemento, tuttavia, non era stato pienamente valorizzato dal Tribunale, che aveva quantificato l’assegno senza considerare adeguatamente la portata del contributo reso alla vita familiare.

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La valutazione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha compiuto un esame approfondito della situazione economico-patrimoniale delle parti. Ha rilevato che l’ex moglie viveva in affitto, percepiva redditi modesti dalla propria attività lavorativa e aveva liquidità limitata, derivante dalla vendita di una quota immobiliare.

L’ex marito, invece, disponeva di un’abitazione di proprietà e, pur avendo subito una diminuzione dei redditi negli anni della pandemia, non presentava elementi tali da far ritenere quella riduzione un dato strutturale. La Corte ha ritenuto plausibile che, con il superamento della fase economica emergenziale, i redditi potessero riassestarsi su livelli più elevati.

Questa valutazione non è stata fondata su presunzioni in senso tecnico, bensì su elementi concreti e su una lettura complessiva del quadro probatorio.

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Il tentativo di ribaltare le valutazioni di merito

L’ex marito, nel ricorso in Cassazione, ha contestato la prognosi reddituale formulata dalla Corte d’Appello e ha sostenuto che il giudice avesse applicato presunzioni prive dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c. La Cassazione ha chiarito che tali critiche non coglievano il nucleo della decisione.

Il giudice di merito non aveva affatto fatto ricorso a presunzioni semplici, ma aveva tratto la propria valutazione dall’esame realistico e complessivo della situazione economica delle parti. L’apprezzamento del contributo familiare, del divario patrimoniale e delle condizioni abitative rientra, infatti, nella discrezionalità del giudice di merito.

La Corte ha ricordato che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un tentativo di ottenere una diversa lettura dei fatti, sostituendo l’apprezzamento operato nelle fasi di merito con una versione alternativa della vicenda.

Il ruolo della funzione compensativa dell’assegno

L’ordinanza richiama implicitamente i principi affermati dalle Sezioni Unite nel 2018: l’assegno divorzile ha natura composita, ma la funzione compensativa riveste un peso determinante quando il contributo fornito dal coniuge alla formazione del patrimonio familiare è evidente.

Nel caso esaminato, il sacrificio professionale e personale della richiedente era stato determinante per l’andamento della vita familiare. La diminuzione temporanea del reddito dell’ex marito non poteva comprimere la componente compensativa dell’assegno, né giustificare una riduzione del suo importo.

Solo un mutamento significativo e stabile delle condizioni economiche delle parti può legittimare una revisione futura dell’assegno, non una semplice prospettiva di miglioramento o peggioramento economico.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile

La Cassazione ha confermato la decisione d’Appello, ribadendo che l’apprezzamento dei fatti e delle prove compete al giudice di merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e congrua. Le censure articolate dal ricorrente miravano, di fatto, a ottenere una revisione del merito, possibilità che l’art. 360 c.p.c. non consente.

La Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, attribuendo rilievo al contributo fornito dalla richiedente alla vita familiare e alla persistenza di un evidente divario economico tra le parti, nonostante la temporanea flessione dei redditi dell’ex marito.

Conclusioni

La decisione conferma il peso decisivo della funzione compensativa dell’assegno divorzile e ribadisce i confini del giudizio di legittimità. Alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento.

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