Dopo l’arresto del 2017, la Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 11012/2021, è tornata nuovamente a occuparsi della dibattuta questione della liceità degli accordi prematrimoniali, con i quali i futuri sposi regolano convenzionalmente in via preventiva i loro rapporti patrimoniali e personali, in vista di un’eventuale crisi coniugale.
Il caso in esame
Il giudizio traeva origine dalla proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 218/2016, con la quale il giudice del gravame confermava la misura dell’assegno divorzile stabilito dal giudice di prime cure, sulla scorta dell’accordo intervenuto fra i coniugi in sede di separazione consensuale, teso alla disciplina dei rapporti economici del futuro divorzio.
Il ricorrente eccepiva, in particolare, la nullità per illeceità della causa dell’accordo concluso con la coniuge in sede di separazione consensuale, atteso che il diritto all’assegno divorzile, per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile, di talché resta sottratto dal perimetro operativo riservato all’autonomia privata. Oltre a ciò, il ricorrente assumeva l’insussistenza del presupposto richiesto dall’art. 5 L. n. 898/1970 per la concessione dell’assegno divorzile, ovvero l’inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.
In ordine a tali fatti, la Corte di Cassazione – tenuto conto delle attribuzioni patrimoniali intervenute in sede di separazione e del conseguente decremento reddituale del ricorrente, nonché dei precedenti arresti giurisprudenziali – accoglieva il ricorso, ritenendo l’accordo intervenuto in sede di separazione nullo per illeceità della causa, in quanto stipulato in violazione del principio fondamentale di indisponibilità dei diritti derivanti dal matrimonio di cui all’art. 160 c.c.
Con la pronuncia in scrutinio, i giudici di legittimità (ri)affermano, dunque, la radicale nullità degli accordi “in contemplation of divorce” per illeceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità dello status di coniuge e dell’assegno di divorzio.
Sulla legittimità degli accordi in vista della crisi coniugale
La Corte di Cassazione – adita dal coniuge per la dichiarazione di nullità dell’accordo pattuito in sede di separazione consensuale – con l’ordinanza n. 11012/21, accoglie la tesi della nullità assoluta per contrarietà all’ordine pubblico, prospettando una soluzione coerente con i precedenti giurisprudenziali secondo cui, gli accordi preventivi tra i coniugi, volti a disciplinare le conseguenze economiche dello scioglimento del matrimonio, producono l’effetto di condizionare il comportamento delle parti in giudizio, inducendole a un “mercimonio” di posizioni giuridiche soggettive indisponibili.
Tale posizione trova, peraltro, conforto in una risalente dottrina, secondo cui “la mancanza dell’intervento statale rende privo di ogni efficacia giuridica un accordo interconiugale di separazione”[1]. Accanto a tale orientamento, ve ne sono altri, più recenti, che sostengono, per converso, l’ammissibilità della regolazione preventiva dei rapporti familiari in vista di un’eventuale crisi, ritenendo ancor più giustificata sul terreno patrimoniale la previsione di accordi preventivi di una crisi prefigurata come evento possibile[2].
Ora, a ben vedere, il caso di specie fa riferimento a un accordo intervenuto in sede di separazione, e dunque, in presenza di una crisi coniugale già in atto (“in contemplation of divorce”), specificatamente indirizzato a definire le conseguenze economiche del divorzio.
Il presente contributo, traendo spunto dall’ordinanza in commento, si propone invece di offrire una succinta analisi degli accordi “in contemplation of marriage” ovvero in vista della separazione o del divorzio[3].
Come è noto, con tali accordi i futuri sposi predeterminano per via negoziale le conseguenze patrimoniali della separazione e del divorzio.
Nel nostro ordinamento, l’applicabilità dei paradigmi dell’autonomia privata alla regolazione dei rapporti patrimoniali in vista di un’eventuale crisi coniugale, è stata spesso negata sull’assunto dell’indisponibilità dello status di coniuge[4]. Il ragionamento su cui poggia tale ricostruzione, presuppone un interesse pubblico alla stabilità della famiglia, che verrebbe irrimediabilmente incrinata allorché si consentisse ai futuri sposi di fare affidamento giuridicamente tutelato sulle pattuizioni private stipulate prima del matrimonio o pendente il medesimo, volte a regolare – in tutto o in parte – la fase patologica della crisi coniugale. Al riguardo, autorevole dottrina ben evidenzia i timori legati al riconoscimento degli accordi in vista di un eventuale scioglimento del matrimonio, i quali – oltre a rappresentare un possibile incentivo al divorzio – sarebbero idonei a coartare la volontà del coniuge economicamente più debole, inducendolo a non difendersi adeguatamente pur di percepire il vantaggio economico dedotto nell’accordo[5]. In tale prospettiva, sembra dirimente lo squilibrio genetico ravvisabile in tale pattuizione, conseguente all’alterazione della libertà contrattuale del contraente debole, privo di sufficienti mezzi economici, disposto quindi a contrarre a condizioni inique.
Ciò detto, va nondimeno rimarcato l’atteggiamento di una parte della giurisprudenza incline, invece, a riconoscere piena legittimità agli accordi prematrimoniali, in cui il fallimento del matrimonio, anziché assurgere a elemento “causale”, viene degradato a mero evento accidentale da cui dipende il prodursi degli effetti giuridici del negozio. Più precisamente, la condizione sospensiva apposta al contratto, finirebbe per indirizzare la libertà personale verso fini non riprovevoli come, appunto, la regolamentazione preventiva degli effetti giuridici derivanti dallo scioglimento del matrimonio. In tal guisa, l’evento dedotto in condizione non influirebbe sulle scelte personali dei coniugi, in quanto il suo avveramento – pur dipendendo dalla volontà di una delle parti – non è meramente arbitrario, ma sintomatico di un progressivo indebolimento dell’intensità del vincolo matrimoniale. Ebbene, nella delineata prospettiva, l’elemento accidentale apposto al contratto viene quindi considerato lecito, quale espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, volta a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c.[6]
Questa tesi è peraltro abbracciata da un eminente esponente della dottrina, il quale ritiene la condizione apposta al contratto sussumibile nell’alveo delle clausole premiali, con cui le parti prevedono la corresponsione di un vantaggio economico all’esecuzione di una determinata prestazione di carattere personale. Nell’approccio qui delineato, sarebbe dunque lecita la clausola apposta al contratto prematrimoniale, mediante cui, un coniuge promette all’altro l’adempimento di una prestazione di carattere patrimoniale, qualora quest’ultimo – innanzi a una possibile crisi coniugale – presti scientemente il suo consenso alla dissoluzione del vincolo matrimoniale, posto che “l’esecuzione della prestazione di carattere personale non viene “garantita” dalla presenza di una forma di coazione giuridica o dall’assicurazione del pagamento di una penale da parte del soggetto eventualmente inadempiente”[7].
Fin qui, le principali posizioni interpretative e gli orientamenti emersi, rispettivamente, in seno alla dottrina e alla giurisprudenza.
Ora, poste tali doverose premesse, a me sembra che, pur a fronte dell’inerzia del legislatore, l’istituto degli accordi prematrimoniali, possa considerarsi pienamente lecito.
L’obiezione della tradizionale indisponibilità dei diritti e doveri dipendenti dal matrimonio di cui all’art. 160 c.c. può valere, infatti, solo per le intese pattuite in costanza di matrimonio o in sede di separazione, atte a regolare i rapporti giuridici post-coniugali. L’art. 160 c.c., invero, recita “gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”.
Ciò detto, è fuor dubbio che la fattispecie degli accordi prematrimoniali esuli dall’ambito di applicazione della disposizione testé citata, costituendo espressione del principio di sovranità dei nubendi, ai sensi dell’art. 1322 c.c., volta a definire, prima del matrimonio, le conseguenze di un’eventuale crisi coniugale. Orbene, muovendo da simili premesse, le pattuizioni prematrimoniali rappresenterebbero, dunque, lo strumento attraverso cui i nubendi definiscono – ora per allora – l’assetto dei loro interessi di ordine patrimoniale, prevedendo la possibilità di rinegoziarli qualora appaiano inattuali al momento dello scioglimento del matrimonio. Così, ai futuri sposi verrebbe consentito di predeterminare in via negoziale le conseguenze patrimoniali della separazione e del divorzio, al pari di quanto accade nei rapporti commerciali, sempre più ispirati a una regolamentazione preventiva delle possibili sopravvenienze incidenti sull’equilibrio funzionale del negozio giuridico. In tal senso depone altresì autorevole dottrina, la quale – traendo spunto dalla normativa europea relativa ai rapporti endofamiliari – sostiene con fermezza la necessità di affrontare i problemi posti dalla crisi di coppia, alla stregua dei principi di autoresponsabilità e autonomia contrattuale[8].
In tale ottica, appare comunque ineludibile la necessità di sottoporre, in via preventiva, l’accordo prematrimoniale a un pregnante controllo giudiziale, onde appurare eventuali profili di iniquità, ovvero significativi mutamenti patrimoniali fra il momento della stipula e quello dell’esecuzione, o ancora, l’assenza di qualunque vizio formale e/o sostanziale.
A sostegno di tale linea argomentativa, incline a riconoscere l’autonomia dei coniugi nella regolamentazione dei propri rapporti patrimoniali, va d’altronde considerata la previsione ex art. 162 co. 3 c.c. secondo cui, le convenzioni matrimoniali possono essere stipulate in ogni tempo (quindi, anche prima del matrimonio) per disciplinare il regime patrimoniale della famiglia, nonché la facoltà per i coniugi di separarsi, divorziare o modificare le condizioni di separazione o di divorzio senza l’intervento del giudice, mediante apposite intese raggiunte innanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 12 L n. 162/2014) ovvero tramite il ricorso allo strumento della negoziazione assistita (art. 6 L. n. 162/2014). Tra gli istituti di risoluzione “aconflittuale” delle controversie endofamiliari va poi annotato il procedimento di divorzio su domanda congiunta ex art. 4 L. 898/1970.
Le esemplificazioni qui annoverate, rappresentano estrinsecazioni negoziali di un impegno reciproco volto a definire consensualmente gli effetti derivanti dal vincolo coniugale o, viceversa, i rapporti patrimoniali conseguenti alla sua dissoluzione.
A ciò si aggiunga la posizione assenziente di alcuni esponenti della dottrina, secondo i quali, così come i coniugi possono addivenire a risolvere il rapporto coniugale in sede di separazione consensuale omologata da parte dell’autorità giudiziaria, non vi sarebbe alcuna ragione per negare la facoltà di stipulare simili intese finanche prima della celebrazione del matrimonio[9].
Detto ciò, è sicuramente auspicabile un intervento legislativo in materia di accordi prematrimoniali che – sulla base dell’esperienza degli ordinamenti più evoluti[10] – possa fornire una disciplina coerente con le aspirazioni nutrite da quella parte della dottrina che attende un definitivo superamento della visione – tutt’ora dominante – dell’invalidità degli accordi “di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio”[11]. Del resto, non può negarsi che l’iniziativa economica privata è libera (art. 41 Cost.), ma la legge svolge un ruolo fondamentale di supporto integrativo all’estrinsecazione dell’autonomia negoziale.
[1] L. Barassi, “La famiglia legittima nel nuovo codice civile”, Giuffré, Milano, 1941, pag. 153.
[2] P. Rescigno, “Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma”, in Rivista di diritto civile, 1998, pag. 113.
[3] E. Quadri, “In margine ad una recente iniziativa parlamentare in materia di “accordi prematrimoniali””, in Giustizia civile, 2018, fasc. 2, pag. 301 evidenzia una certa confusione concettuale tra la figura degli accordi prematrimoniali e quelli specificatamente indirizzati, durante il matrimonio e in presenza di una crisi coniugale già in atto, a definirne le conseguenze economiche.
[4] Ved. inter alia Cass. civ. n. 6461/1981.
[5] M. R. Marella, “Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno”, in AA.VV., Separazione e divorzio, diretto da Ferrando, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, diretta da W. Bigiavi, Torino, 2003, pagg. 161 e ss.
[6] Ved. Cass. civ. n. 23713/2012; n. 19304/2013.
[7] G. Oberto, “”Prenuptial agreements in contemplation of divorce” e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale”, in Rivista di diritto civile, 1999, fasc. 2, pt. 2, pag. 220.
[8] G. Oberto, “I patti prematrimoniali nel quadro del diritto europeo”, in il Corriere Giuridico, 6/2020, pag. 797.
[9] E. Smaniotto, “Contratti prematrimoniali e tutela di interessi meritevoli e non contrari all’ordine pubblico e al buon costume”, in I Contratti, n. 3/2013, pag. 225 nota n. 12.
[10] Uno dei sistemi giuridici, entro i quali gli accordi prematrimoniali in vista della separazione e del divorzio hanno acquisito maggiore pregnanza, è fuor dubbio quello degli Stati Uniti. Al riguardo, ved. E. Al Murden, “I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano”, in Famiglia e diritto, n. 5/2005; A. Las Casas, “Accordi prematrimoniali, status dei conviventi e contratti di convivenza in una prospettiva comparatistica”, in I contratti, n. 10/2013.
[11] E. Quadri, “La nuova legge sul divorzio. I profili patrimoniali”, Napoli, 1987, pag. 73.
[12] H. J. S. Maine, in “Ancient Law”, London, 1861