Il Trust: analogie e differenze con il negozio fiduciario

in Giuricivile, 2020, 9 (ISSN 2532-201X)

di Ciro Maria Ruocco e Carmelo D’Auria – Tradizionalmente sono due le grandi civiltà giuridiche presenti sul nostro pianeta: la prima, di origine romanistica, viene detta dagli studiosi di diritto comparato “civil law” e riguarda principalmente i paesi latini e neolatini, la seconda, detta “common law”, riguarda il Regno Unito e tutti i territori che hanno fatto parte nel corso dei secoli dell’Impero britannico, con particolare attenzione agli Stati Uniti[1]. La principale differenza tra le due civiltà viene generalmente ritrovata nelle fonti del diritto, che per i paesi di civil law hanno natura legislativa, per cui le norme giuridiche sono create dal Parlamento e i giudici hanno solo il compito di applicarle al caso concreto, mentre nei paesi di common law, il diritto è di formazione giudiziaria, valendo la regola dello “stare decisis”, per la quale il giudice è vincolato ai precedenti giudiziari, ossia alle sentenze rese da altri giudici nel decidere casi analoghi. Tuttavia, esistono molteplici altre differenze più piccole che possono riguardare anche i singoli istituti.

Il trust è uno dei più tipici istituti di common law, particolarmente diffuso soprattutto negli ultimi decenni anche a livello internazionale, ma quasi sconosciuto e certamente di difficile comprensione per un giurista di civil law: non è possibile in alcun sistema giuridico di tradizione romanistica trovare una figura che sia il corrispondente del trust di common law. Il trust è stato oggetto di molte decisioni sia delle Corti statunitensi che britanniche ed è sempre stato definito in modo differente: una obbligazione derivante da un rapporto di fiducia e imposta a un soggetto affinché egli amministri un bene in sua proprietà nel rispetto di tale fiducia; un modo di detenere la proprietà, vincolato ad un dovere di utilizzare il bene in proprietà o di impiegarne gli utili in base alle direttive impartite da un soggetto da cui il diritto di proprietà è derivato al soggetto titolare; un diritto di proprietà, reale o personale, in capo ad un soggetto per il beneficio di un altro[2]. Tratto comune a tutte queste definizioni è l’esistenza di un soggetto, proprietario di un bene, che egli amministra ma di cui non gode, poiché il godimento è riservato a un altro soggetto. Da questa originaria intelaiatura del trust, l’istituto si è molto evoluto soprattutto in ambiti commerciali, giungendo a risultati sorprendenti come l’investment trust o il trust for sale.

Le origini del trust

Le origini storiche del trust sono da ricercare nell’Inghilterra medioevale. Il suo antecedente storico è lo use, termine che ha una grande varietà di significati, non solo nel linguaggio quotidiano, ma anche in quello giuridico. Per quanto ci interessa, lo use indicava il possesso di un bene immobile nell’interesse di un altro soggetto (ad opus di qualcun altro). Nella prassi lo use era usato dai nobili per evitare di pagare maggiori tributi per la loro proprietà terriera: con lo use il primo soggetto trasferiva ad un secondo la proprietà del bene, obbligando quest’ultimo ad usarlo (appunto use) per gli scopi del primo. Al fine di ridurre questa forma di elusione fiscale, il re Enrico VIII nel 1535 emanò lo Statute of Uses, con il quale dichiarava che il reale proprietario del bene trasferito in use era non colui che amministrava il bene, ma colui per i cui scopi il bene era amministrato. A seguito di questa norma, l’impiego dello use fu drasticamente ridotto. Però, lo Statute non incise su una figura più complessa, l’use upon a use, che prevedeva due fattispecie consecutive di use: con un primo use il proprietario originario del bene trasferiva la proprietà in capo ad un altro soggetto e con un secondo use trasferiva il godimento dello stesso bene in capo ad un terzo soggetto. Così il destinatario del primo use era proprietario del bene, ma lo doveva amministrare per il beneficio di un terzo. Questa seconda operazione era chiamata trust. In origine, però, l’obbligo del proprietario era solo morale: il trust non era in alcun modo tutelabile secondo la legge (at law). Solo negli anni successivi, grazie ai decreti del Cancelliere delle Corti, che interveniva contro gli abusi del proprietario, obbligandolo a riconoscere il valore del trust, questa figura ebbe valore giuridico[3], anche se solo di equity.

La fiducia in civil law

Nel linguaggio giuridico dei sistemi di civil law, il termine “fiducia” viene usato per indicare o la proprietà fiduciaria o il negozio fiduciario[4]. La proprietà fiduciaria è caratterizzata dal fatto che la facoltà di godere e di disporre di un bene è attribuita al proprietario, ma per soddisfare interessi altrui. Il contratto fiduciario, invece, prevede il trasferimento della proprietà di un bene da un soggetto a un altro a patto che il secondo soggetto se ne serva per un determinato fine e che, raggiunto tale fine, ritrasferisca la proprietà al primo soggetto. I due fenomeni sono slegati tra di loro, nel senso che non è detto che la proprietà fiduciaria nasca da un contratto fiduciario e non è detto che il contratto fiduciario debba produrre come effetto una proprietà fiduciaria. In senso tecnico esiste proprietà fiduciaria solo quando il vincolo di destinazione del bene a favore di un altro soggetto o interesse ha natura reale, come il trust in common law[5]. Infatti, il vincolo fiduciario è di regola opponibile ai creditori del proprietario fiduciario, in quanto in mancanza di tale opponibilità, non si avrebbe un patto fiduciario, ma solo un rapporto puramente obbligatorio, come tale ovviamente inopponibile ai creditori del proprietario. Poiché in civil law esiste il principio della tipicità dei diritti reali, la proprietà fiduciaria è ammessa solo nei casi previsti dalla legge: esempi sono le società fiduciarie che assumono l’amministrazione di titoli per conto di altri e, nonostante diventino intestatarie di questi titoli, è certo che i creditori della società fiduciaria non li possano aggredire[6]; le società di gestione di fondi comuni di investimento mobiliare che assumono l’amministrazione e la disponibilità dei beni costituenti il fondo, ma il fondo stesso è tenuto distinto dal patrimonio proprio della società e su di esso non sono ammesse azioni dei creditori sociali; le fondazioni fiduciarie, che sono diverse dalle fondazioni persone giuridiche, perché con esse il disponente trasferisce in proprietà il bene a un altro soggetto, imponendo sul bene stesso un vincolo di destinazione che limita le facoltà di godimento e di disposizione (questa fondazione è anche diversa dagli atti di liberalità sub modo, poiché il vincolo di destinazione ha qui carattere reale)[7]. Fuori da questi casi tipici in cui generalmente leggi dei paesi di civil law ammettono la possibilità di una proprietà fiduciaria, il contratto traslativo attribuisce anche al fiduciario una proprietà di diritto comune nel senso che il pactum fiduciae resta un vincolo solo interno non opponibile ai terzi.

Il negozio fiduciario

Secondo la tradizione si è in presenza di un contratto fiduciario quando la causa del contratto eccede lo scopo che le parti perseguono attraverso il contratto stesso. Questo eccesso risulta proprio nel patto fiduciario, che ha la funzione di riportare il contratto nei limiti dello scopo originario dei contraenti. La dottrina tedesca ha individuato due tipi di fiducia cum amico, che sono il Verwertungstreuhand (vendita a scopo di mandato a vendere: Tizio vende un bene a Caio a patto che Caio, a sua volta, lo venda a Sempronio) ed il Verwaltungstreuhand (vendita con mandato ad amministrare: Tizio vende un bene a Caio con il patto che Caio provveda all’amministrazione e, su richiesta di Tizio, glielo ritrasferisca). Oltre a questa fiducia esiste la fiducia cum creditore: il debitore vende un bene al creditore con il patto che, al momento dell’estinzione del debito, il creditore rivenderà lo stesso bene al debitore; si tratta della vendita a scopo di garanzia o Sicherungsübereignung[8]. Il limite del patto fiduciario è che ha efficacia solo obbligatoria, ma non reale: esso non è opponibile ai terzi. A parte questo limite, il pactum fiduciae in Italia è perfettamente valido, ma spesso viene dichiarato nullo dalla giurisprudenza quando in realtà è il mezzo per eludere il divieto di patto commissorio (art. 1344 c.c.). La Cassazione è piuttosto rigorosa in materia di fiducia cum creditore: sia la vendita con patto di riscatto, sia quella con patto di retrovendita, utilizzate a scopo di garanzia, vengono considerate nulle[9].

La struttura e la funzione del trust

Nel corso dei secoli, sono molte e svariate le forme di trust che si sono presentate nella prassi, ma invariata è la struttura di base: il trust è una situazione giuridica tramite la quale uno stesso bene è contemporaneamente amministrato da chi è titolare (trustee) e goduto da chi è beneficiario (beneficiary). Per gli studiosi di civil law una situazione del genere è difficilmente ammissibile poiché di regola la proprietà non è scindibile, in quanto essa attribuisce il diritto di godere e di disporre del bene (art. 832 c.c.). In verità, anche negli stessi paesi di common law la natura del trust resta per certi aspetti controversa, ma tratto comune di ciascuna definizione offerta dalla giurisprudenza è la cd. dual ownership, ovvero la proprietà sdoppiata: un soggetto ha il potere di amministrazione ed un altro ha il beneficio del godimento. Con il trust, il settlor trasferisce al trustee un bene in trust, ovvero in una forma di proprietà che gli assicura la titolarità e l’amministrazione del bene, ma con un vincolo che lo obbliga ad amministrare il bene non per il proprio beneficio, ma per il beneficio di un terzo o per un determinato scopo. La particolarità del trust ed una delle maggiori differenze rispetto al pactum fiduciae di civil law è che qui il vincolo di destinazione ha natura reale, per cui i creditori del trustee non possono soddisfarsi sul bene dato in trust, ma su questo bene possono invece soddisfarsi i creditori del beneficiario, nonostante egli non sia titolare del bene. Addirittura, in caso di cessione del bene da parte del trustee (che essendo titolare e amministratore del bene può validamente disporne), il diritto del beneficiario si realizza sul prezzo ottenuto, sempre che la cessione sia a titolo oneroso ed in buona fede. In caso di cessione a titolo gratuito o in caso di mala fede dell’acquirente, quest’ultimo acquisterà automaticamente la titolarità del bene in trust, cioè dovrà rispettare tutti gli obblighi del cedente nei confronti del beneficiario oppure il beneficiario può scegliere di soddisfarsi sul valore in denaro del bene nei confronti del trustee.

La flessibilità del trust ne permette svariati usi. Quello più comune, spesso realizzato mortis causa, è destinare beni a qualcuno assegnandone però l’amministrazione ad un altro soggetto. Un trust particolare è quello for sale, istituito affinché i beni oggetto del trust vengano venduti dal trustee ed i ricavati vadano ai beneficiari. In ambito societario il trust può essere utilizzato per separare i patrimoni senza dover costituire una società: il trustee mantiene l’amministrazione del bene (come un c.d.a.) ed i beneficiari mantengono il controllo sull’amministrazione (come l’assemblea dei soci); il vantaggio della costituzione di un trust rispetto a quella di una società è nella maggiore flessibilità dei poteri e nella mancanza di personalità giuridica del trust. Anche nel mondo bancario il trust ha svariati usi: il depositante può creare un trust sui depositi in denaro presso una banca, nominando la banca come trustee, legandola ad una serie di obblighi di investimento determinati all’atto costitutivo (investment trust)[10].

Le caratteristiche del trust

Il trust, a differenza dello use, può essere costituito su ogni tipo di bene, anche mobile, che è da considerarsi un fondo patrimoniale autonomo senza personalità giuridica; non è altro che un bene su cui è impresso un vincolo di destinazione, che obbliga il trustee a tenerlo separato dal resto del proprio patrimonio. Il trust ha origine o nella volontà di un privato o nella legge. Generalmente, però, il trust è considerato solo privato e può essere espresso o tacito, la sua disciplina è lasciata all’autonomia delle parti e sono poche le disposizioni di legge in materia, per lo più hanno solo funzione integrativa della volontà delle parti.

Il trust non richiede forma scritta, ma una particolare forma è richiesta a seconda del bene che ne è oggetto. Ad esempio, in caso di trust su un immobile sarà richiesto un atto scritto per il trasferimento della proprietà dal settlor al trustee. Normalmente, lo schema del trust prevede tre persone: un primo soggetto trasferisce un bene ad un secondo soggetto, ma a vantaggio di un terzo. E’ la legislazione di ciascuno Stato che stabilisce se il trust possa essere formato da meno soggetti, nel senso che in alcuni Stati degli Stati Uniti è anche possibile che lo stesso soggetto sia costituente, trustee e beneficiario di un trust, a condizione che non sia l’unico beneficiario.

I beni oggetto del trust devono essere determinati o determinabili al momento della sua costituzione; in questo momento non è invece necessaria la designazione del trustee che può anche essere successiva. Invece, lo scopo del trust deve essere già determinato al momento della costituzione. Il costituente ha piena autonomia nel determinare il contenuto del trust: lo può sottoporre a termine, lo può modificare a suo piacimento e può sorvegliare l’amministrazione del trustee ed anche sostituirlo. Particolare è il “discretionary trust”, che, a differenza del trust “normale”, non obbliga il trustee ad assegnare al beneficiario un utile, ma prevede la totale discrezione da parte del trustee nella scelta di quali e quanti utili assegnare al beneficiario[11].

Meno diffusi sono i trust pubblici, cioè istituiti a fini di pubblica utilità. Non conoscendo la common law l’istituto della fondazione, la sua funzione è ricoperta dai trust pubblici che non necessitano del riconoscimento della personalità giuridica[12].

La Convenzione dell’Aja sul riconoscimento del trust

Per lungo tempo si è negato che il trust potesse essere validamente costituito in Italia, in quanto ritenuto in contrasto con il principio del numero chiuso dei diritti reali e con il principio della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.). Con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Aja[13].

La Convenzione dell’Aja del primo luglio 1985[14] definisce il trust come “i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”. A tutte le operazioni che hanno questi requisiti minimi si applicano le norme fissate dalla Convenzione, mentre istituti anche simili, ma che non rientrano in questa definizione sono esclusi dal campo di applicazione delle norme della Convenzione[15]. I trust riconosciuti sono quelli “costituiti volontariamente e comprovati per iscritto” (art.3) e che dispongono che il fondo in trust non faccia parte del patrimonio del trustee, ma costituisca una massa distinta che il trustee stesso abbia il potere-dovere di “amministrare, gestire o disporre secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge” (art.2). Dunque, hanno trovato legittimità nei paesi che hanno ratificato la Convenzione solo i trust internazionali di origine di common law, con l’esclusione degli statutory e dei constructive trusts, nei quali manca il requisito della volontarietà della costituzione.

Aspetto interessante della Convenzione è quello riguardante le disposizioni applicabili ai trust che la Convenzione stessa governa. In base all’art. 25 prevalenza assoluta viene data alla legge scelta dal settlor, ma nel caso in cui questi non scelga l’ordinamento di riferimento, il giudice dovrà identificare ed applicare la legge “con più stretti legami” col trust costituito nel caso concreto (art.7). Nonostante sembri che il costituente abbia ampia libertà di scelta, il giudice può rifiutarsi di riconoscere il trust qualora risulti che “i suoi elementi importanti, ad eccezione della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee sono più strettamente connessi a Stati che non prevedano l’istituto del trust o la categoria del trust in questione” (art.13).

Il punto più controverso della Convenzione resta il rapporto tra trust ed altri istituti nazionali ad esso connessi. Infatti, la Convenzione copre solo il trust, ma questo difficilmente si presenta “puro”[16]: se viene istituito mortis causa si trova ad interagire con le norme sulle successioni; se viene costituito inter vivos, è strettamente connesso alle norme sulle garanzie. In entrambi i casi la Convenzione chiarisce solo la legge applicabile al trust, mentre saranno i criteri di collegamento classici a determinare quale legge applicare alla successione o alla garanzia. Per il giudice di civil law non è facile separare gli aspetti di questa fattispecie, senza considerare che l’inserimento del trust in ordinamenti che non lo conoscevano crea inevitabilmente problemi di adattamento. Se è vero che la Convenzione espressamente rifiuta la sua applicabilità agli aspetti fiscali dell’istituto (art.19), è anche vero che la stessa espressamente elenca aree di diritto con cui il trust può interferire e che il giudice ha facoltà di escludere dalla applicazione. Tra esse sono genericamente indicate “la protezione dei minori, gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio, i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima” (art.15).

In Italia la Convenzione dell’Aja è stata ratificata nel 1989, permettendo ai cittadini di fruire del trust, superando anche le contrarie norme di diritto interno. Ad esempio la responsabilità del trustee, che nel diritto inglese è limitata ai beni in trust, non è influenzata dall’art. 2740 c.c. che invece prevede la responsabilità del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri. A seguito della ratifica della Convezione si è posto il problema dell’ammissibilità del trust interno, ovvero costituito da cittadini italiani e avete oggetto beni situati in Italia. La dottrina si è divisa tra autori contrari e favorevoli all’ammissibilità[17]. I primi basano le loro convinzioni su principi di ordine pubblico interno come la tipicità dei diritti reali, l’unicità del diritto di proprietà e la tipicità delle ipotesi di separazione patrimoniale, che sarebbero coperti dalla riserva di legge costituzionale ex art. 42 comma 2 Cost. Invece, i fautori della tesi ormai prevalente dell’ammissibilità si basano sulla Convenzione considerata non disciplina di “diritto internazionale privato”, ma di “diritto sostanziale uniforme”[18]. Inoltre, ai sensi dell’art.2 della Convenzione, non ne viene imposta la dissociazione della proprietà tra amministrazione e godimento, ma è sufficiente la mera separazione patrimoniale, purché opponibile ai terzi. Infine, non si può affermare il contrasto tra riconoscimento del trust interno e principi di ordine pubblico poiché questi sarebbero in teoria in contrasto anche con il riconoscimento del trust internazionale esplicitamente ammesso dal legislatore.

Oggi anche la giurisprudenza ha aperto ampie possibilità di applicazione del trust, anche interno, soprattutto in seguito al D.L. n. 273 del 30 dicembre 2005, convertito nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, che ha introdotto nel codice civile il nuovo art. 2645 ter che consente la trascrizione di atti di destinazione aventi ad oggetto beni immobili o mobili registrati destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela[19]. Nuovi sviluppi si avranno nel campo della tutela dei minori e nelle procedure concorsuali[20].

Trust e fiducia: la comparazione

La parola trust in inglese assume essenzialmente il significato di “fiducia” o “fede”, per cui è spontaneo l’accostamento anche in ambito giuridico con il negozio fiduciario e con la proprietà fiduciaria. La proprietà fiduciaria è “quel fenomeno in cui i beni vengono ad essere in proprietà di un soggetto, detto fiduciario, che si obbliga a gestirli e a disporne nell’interesse di un altro soggetto detto fiduciante”[21]. Questo istituto in Italia non è disciplinato né dal codice civile, né da leggi speciali (escludendo l’art. 627 c.c. in materia di disposizioni fiduciarie testamentarie), ma si ritiene consentito in base al principio dell’autonomia negoziale (art. 1322 c.c.). Nella prassi la proprietà fiduciaria consiste in una situazione giuridica di titolarità in capo al fiduciario del diritto di proprietà solo formale, mentre dal punto di vista sostanziale la proprietà permane nel fiduciante o viene attribuita a un terzo nel cui interesse i beni vengono amministrati[22].

Nonostante le similitudini terminologiche tra trust e fiducia abbiamo varie differenze. La prima è la mancanza di “segregazione” nella fiducia: mentre nel trust il bene non entra a far parte del patrimonio del fiduciario ed il vincolo di destinazione è tutelato in modo quasi assoluto, nella fiducia il bene entra a tutti gli effetti nel patrimonio del fiduciario e può essere aggredito dai suoi creditori personali. La seconda grande differenza riguarda il soggetto nei cui confronti il fiduciario ha obblighi: nella fiducia è obbligato nei confronti del fiduciante, mentre nel trust il trustee non ha alcun obbligo verso il settlor, ma solo verso il beneficiario. Terza differenza sostanziale è nella possibilità nel trust di coincidenza tra settlor e trustee, in modo che un soggetto possa decidere di vincolare un bene che già fa parte del suo patrimonio (fiducia statica), mentre il pactum fiduciae prevede il duplice trasferimento della proprietà (fiducia dinamica). Ultima e più importante differenza tra le due figure in esame è la tutela accordata al fiduciante, che è meno intensa di quella prevista per il fiduciario nel trust: il fiduciante, con la cessione della proprietà, non ne è più titolare e non ha possibilità di esercitare le azioni a tutela della proprietà, ma è obbligato ad attivare i rimedi previsti per gli inadempimenti di una normale obbligazione; invece, nel trust il beneficiario è proprietario sostanziale del bene e può esercitare tutte le azioni di tutela della proprietà, potendo anche vantare sul bene un diritto di sequela[23].

Conclusioni

Dall’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja grande è stata la diffusione del trust in Italia. La giurisprudenza e la prassi hanno definitivamente fugato dubbi sulla legittimità dell’istituto sancendone la piena compatibilità con i principi dell’ordinamento italiano. La giurisprudenza ha correttamente giustificato il trust sulla base della globalizzazione e dello “shopping del diritto” che, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali, consentono ai cittadini di regolare i loro rapporti servendosi degli istituti giuridici stranieri[24].

Anche in sede di legittimità è stata sancita la piena validità di un trust interno sottoposto alla legge inglese ed efficace in forza della Convenzione dell’Aja[25]. Pacificamente è ammessa la trascrizione del trust immobiliare, l’iscrizione nel registro delle imprese di un trust che ha ad oggetto quote di società e l’ammissione di un trust costituito da un curatore fallimentare sui crediti fiscali maturati dopo la chiusura del fallimento o in sede di concordato preventivo. Le Corti non si sono limitate a ratificare l’utilizzo del trust, ma ne hanno anche scongiurato applicazioni elusive: i giudici hanno stabilito la validità di strumenti di tutela per i soggetti pregiudicati da un trust: i legittimari di un trust testamentario hanno l’azione di riduzione[26], i creditori del disponente hanno l’azione revocatoria ordinaria[27] ed in ogni caso il giudice può negare il riconoscimento dei trust creati in frode alla legge ai sensi dell’art.13 della Convenzione[28].


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[1] F.GALGANO, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, p. XI

[2] M.C. MALAGUTI, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, p.201.

[3] M.C. MALAGUTI, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, p. 201-204.

[4] DI MAIO, Società fiduciarie e contratto fiduciario, Milano, 1977.

[5] GAMBARO, Problemi in materia di riconoscimento degli effetti dei “trusts” nei paesi di “civil law”, in Riv. Dir. Civ., 1984 I, 93.

[6] P.G.JAEGER, la separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968.

[7] KRONKE, Stiftungstypus und Unternehmensstiftung, Tübingen, 1988.

[8] F.GALGANO, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, pp. 197-201.

[9] Cass. 3 aprile 1989, n.1611

[10] HALBACH, Significant trends in the trust law of the United States, in Vand. J. Transnat’l L., 32 (1999), 531; OAKLEY, Trends in contemporary trust law, Oxford, 1997.

[11] BOGERT, handbook of the law of trusts, St. Paul, 1973; DAINOW, Introduction of the trust in Louisiana, in Can. Bar. Rev., 39 (1961), 396; FORD, Principles of the law of trusts, North Ryde, 1990; FRATCHER, Trust in International Encyclopedia of comparative law, vol. VI/11, The Hague, Boston, London, ,Tübingen s.d.; GARDNER, An introduction to the law of trusts, Oxford, 1990; HEPBURN, Principles of equity and trusts law, II ed., London, 2001; RYAN, The reception of the trust, in I. C. L. Q., 10 (1961), 265.

[12] M.C. MALAGUTI, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, pp. 205-206.

[13] F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto civile, Roma, Dike editrice, 2019, p.1376.

[14] PRUM/WITZ/AYNES (a cura di), Trust et fiducie: la convention de La Haie et la nouvelle legislation luxembourgeoise, Paris, 2005; GAILLARD/TRAUTMANN, La convention de La Haie de 1 juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et sa reconnaissance, in Rev.Crit.Dr.Int.Pr., 1986, 1.

[15] BATIZA, The evolution of the fideicomiso (trust) concept under Mexican law, in Miami L.Q.11 (1956), 478; PLUSKAT, Der trust im Recht von Quebec und die Treuhand. Probleme der rezeption einer englischen Rechtsfigur in einer Civil-law-rechtsordnung, Berlin, 2001.

[16] HAYTON/VERHAGEN (a cura di), Principles of european trust law, New York, 1999.

[17] F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto civile, Roma, Dike editrice, 2019, pp.1376-1377.

[18] Per alcuni interventi della dottrina italiana concernenti il riconoscimento del trust nel nostro ordinamento, cfr. R. GRECO – I. ROSSI, La circolazione dei trusts esteri in Italia (nota a Comm. Trib. Prov. Milano, sez. 48, n. 348/48/97/1998; Comm. Trib. Prov. Torino, sez. 14, n. 537/14/97/1997 e Comm. Trib. Prov. Modena, sez. 2 n. 49/1998), in Riv. dir. trib., 1998, 321-341.

[19] C.TURCO, Lezioni di diritto privato, Giuffrè editore, Milano, 2011, p.820.

[20] M.C. MALAGUTI, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015, pp. 208-211; M.C. MALAGUTI, il futuro del trust in Italia, in Contratto e impresa, 1990, 985.

[21] S.CERVELLI, I diritti reali. Manuale e applicazioni pratiche delle lezioni di Guido Capozzi, II ed., Giuffrè, Milano, 2007, p.60.

[22] F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto civile, Roma, Dike editrice, 2019, pp.1374-1375.

[23] F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto civile, Roma, Dike editrice, 2019, pp.1375-1376.

[24] P.MANES, Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. GALGANO, ZANICHELLI, V edizione, 2015,p.212.

[25] Cass. VI Sez. pen, n.48708, 18 dicembre 2004.

[26] Trib. Venezia, 4 gennaio 2005; Trib. Lucca 23 settembre 1997.

[27] Trib. Firenze, 6 giugno 2002.

[28] Trib. Bologna 16 giugno 2003.

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