Con la sentenza n. 2660/2019, la Corte d’Appello di Venezia ha ribadito l’orientamento statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17352/2017 circa l’inderogabilità del limite dell’80% – rapporto che deve sussistere tra finanziamento concesso ed il bene ipotecato – disposto dall’articolo 38 del Testo Unico Bancario.
Secondo la Corte d’Appello, qualora la banca non rispetti tale limite, l’intero mutuo è da considerarsi nullo travolgendo in tal modo anche la garanzia ipotecaria costituita.
Il caso di specie
Il caso di specie riguardava la concessione di un mutuo fondiario trentennale da parte della banca per Euro 160.000,00 volto a finanziare l’acquisto di un immobile sul quale l’istituto iscriveva contestualmente ipoteca.
Detto immobile veniva successivamente acquistato per il prezzo di Euro 170.647,87, pagamento successivamente intimato con precetto dalla banca al mutuatario.
I destinatari proponevano opposizione a precetto, chiedendo che fosse dichiarata la nullità del contratto per diverse ragioni tra le quali, inter alia, la nullità del mutuo medesimo in quanto concesso in violazione dell’art. 38 t.u.b. per un ammontare superiore al limite di finanziabilità stabilito dalla norma citata e dai provvedimenti attuativi della stessa.
La disciplina del credito fondiario: cos’è e come funziona
Occorre preliminarmente ricordare che ai sensi dell’articolo 38 del t.u.b.
“il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. La Banca d’Italia, in conformità con le deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi.”
Con delibera del 22 aprile 1995 il CICR ha stabilito che un finanziamento può considerarsi fondiario qualora il valore dell’erogazione non superi l’80% del valore dell’immobile da ipotecare.
Il credito fondiario costituisce dunque una particolare forma di finanziamento bancario a medio-lungo termine garantito da ipoteca di primo grado sull’immobile che viene acquistato mediante erogazione del finanziamento medesimo.
Si tratta di un’attività bancaria classica tramite cui l’istituto di credito mette a disposizione del debitore risorse finanziarie iscrivendo al contempo ipoteca sull’immobile compravenduto.
Da un lato infatti il credito fondiario permette al compratore, mediante la concessione del finanziamento, di dotarsi delle risorse necessarie per effettuare l’acquisto.
Dall’altro, l’istituto del credito fondiario tutela la banca, la quale, mediante la garanzia ipotecaria prestata, ha la ragionevole certezza di vedere soddisfatte le proprie pretese in caso di insolvenza del debitore.
Il credito fondiario è caratterizzato da una speciale disciplina normativa, di natura sostanziale e processuale che deroga a quella di diritto comune.
In particolare, nelle operazioni di credito fondiario, le banche beneficiano di due privilegi:
- l’esenzione dell’ipoteca fondiaria dalla revocatoria fallimentare (art. 39, quarto comma, t.u.b.)
- e la facoltà di iniziare o proseguire, dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia dei finanziamenti fondiari (art. 41, secondo comma, t.u.b.).
Mancando una specifica disposizione normativa che prescriva una sanzione opportuna ed idonea in caso di superamento del limite prudenziale dell’80%, giurisprudenza e dottrina hanno prospettato diverse soluzioni.
Il primo orientamento: il contratto rimane valido ed efficace
Nel 2013, con due sentenze gemelle la Corte di Cassazione ha inaugurato il primo dei tre orientamenti in esame.
Ebbene, secondo tale filone interpretativo, in caso di erogazione di un mutuo fondiario in violazione del limite di cui all’articolo 38, secondo comma, t.u.b. (e dunque dell’80%), il contratto resterebbe pienamente valido ed efficace, ed il finanziamento potrebbe in ogni caso mantenere la qualifica di “fondiario” beneficiando cioè di tutti quei privilegi normativi connessi a tale qualificazione.
Difatti, le uniche conseguenze previste in caso di superamento del limite riguarderebbero la comminazione di sanzioni amministrative previste dalla disciplina del settore bancario ed un’eventuale responsabilità della banca mutuante.
In particolare, i giudici di ultima istanza hanno escluso la possibilità di ricondurre l’articolo 38, secondo comma, t.u.b., nell’ambito di applicazione dell’articolo 117, ottavo comma, t.u.b. non ritenendo possibile includere il superamento del limite di finanziabilità all’interno delle ipotesi genericamente previste da tale disposizione.
In caso di superamento del limite anzidetto la Corte ha escluso anche l’applicabilità dell’articolo 1418 c.c., statuendo che unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto ne possa determinare la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma che riguardano il comportamento dei contraenti.
La determinazione dell’importo massimo finanziabile sarebbe stata prevista unicamente a tutela del sistema bancario e, pertanto, la soglia di finanziabilità investirebbe esclusivamente il comportamento della banca finanziatrice la quale sarebbe tenuta a non esporsi oltre un limite di ragionevolezza, senza tuttavia incidere sul sinallagma.
Pertanto, il limite ex art. 38 t.u.b. costituirebbe una semplice norma di “buona condotta” la cui violazione potrebbe comportare la mera irrogazione di sanzioni amministrative.
Peraltro, solamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto sarebbe suscettibile di determinarne la nullità.
Poiché dunque la previsione di cui all’articolo 38 t.u.b. non sarebbe declinabile secondo il parametro di validità, bensì secondo quello di buona condotta o di comportamento, la sua violazione potrebbe comportare soltanto l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario.
Tale impostazione troverebbe la propria conferma nel fatto che sanzionare il superamento del limite di finanziabilità con la nullità del contratto medesimo significherebbe travolgere la connessa garanzia ipotecaria con il paradossale risultato di pregiudicare la stabilità patrimoniale della banca, e dunque proprio ciò che la relativa normativa tende a proteggere e a garantire.
Invero, nel credito fondiario, il debitore ha tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità.
Il secondo orientamento: la riqualificazione del contratto
Il secondo orientamento trae origine da un decreto del Tribunale di Udine del 29 maggio 2014.
Tale impostazione aderisce parzialmente all’orientamento prospettato dalle sentenze gemelle della Corte di Cassazione del 2013 escludendo la nullità del contratto in caso di superamento del limite di finanziabilità.
D’altro canto se ne discosta nettamente affermando che, in caso di violazione del limite dell’80%, si potrebbe verificare unicamente una riqualificazione dell’operazione creditizia.
Pertanto, in caso di superamento della soglia prevista, tale operazione degraderebbe da “fondiaria” ad “ordinaria” con conseguente applicazione delle nome comuni previste dal codice civile e dalla disciplina fallimentare.
Difatti, secondo il tribunale, “ una volta stabilito che il credito fondiario non è (o non è più) un tipo contrattuale autonomo, ma soltanto una forma particolare – caratterizzata da determinati requisiti, ai quali si ricollega l’applicazione di una speciale disciplina – di contratti di finanziamento che esistono e sono validi a prescindere da quella disciplina (ad es.: il mutuo ipotecario), sembra coerente limitare le conseguenze della mancanza di uno o più di quei requisiti alla disapplicazione della disciplina speciale, senza derivarne invece conseguenze (nullità del contratto e dell’ipoteca) che l’ordinamento non ne deriverebbe qualora la medesima fattispecie fosse posta in essere senza alcun riferimento alla normativa sul credito fondiario”.
Ebbene, tale orientamento consentirebbe, da un lato di tutelare la posizione della banca finanziatrice, nonché più in generale la stabilità dell’intero sistema bancario nazionale, consentendo la conservazione della garanzia ipotecaria (assoggettata però alle norme di diritto comune) e, dall’altro, di garantire anche i terzi creditori del mutuatario.
Il terzo orientamento: nullità del contratto
Il terzo ed ultimo orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nel 2017, cui la sentenza in commento aderisce, prevede la nullità totale del mutuo fondiario che venga concesso in violazione della soglia dell’80%.
Ebbene, la Corte di Cassazione, pur ritenendo che tale fattispecie non possa rientrare nelle previsioni di cui all’articolo 117, ottavo comma, t.u.b., statuisce che le conseguenze legali dipendenti da tale violazione non si potrebbero esaurire in sanzioni amministrative a carico degli amministratori dell’istituto, non essendo dette sanzioni idonee ad assicurare la tutela degli interessi pubblici coinvolti.
La Suprema Corte ribalta completamente l’orientamento sposato dalle precedenti sentenze di legittimità del 2013.
Si concentra in particolar modo sulla natura dell’interesse protetto dall’articolo 38 t.u.b, e sulla qualificazione di tale noma come imperativa di validità o di condotta.
Ebbene, secondo i giudici di legittimità, lo scopo sotteso all’articolo 38, secondo comma, t.u.b., è quello di tutelare interessi pubblici economici e risponde alla necessità di regolamentare analiticamente gli obiettivi economici generali attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale.
Contrariamente a quanto stabilito con le sentenze del 2013, la Corte di Cassazione afferma che l’articolo 38 t.u.b. non è volto a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma a perseguire piuttosto interessi economici nazionali pubblici.
Non sarebbe dunque possibile considerare la soglia di finanziabilità come un elemento estrinseco alla fattispecie “perché la fattispecie negoziale, nel nesso tra mutuo e ipoteca, è giustappunto e comunque unitaria.”
In caso di superamento del limite di finanziabilità infatti, la previsione ex articolo 38 t.u.b. è disattesa non soltanto sul versante del comportamento, quanto e soprattutto sull’oggetto del finanziamento fondiario eccessivo.
Tuttavia, secondo la Corte, ciò non permetterebbe comunque di condividere le conclusioni dell’orientamento inaugurato nel 2013 anche a proposito dell’esclusione della fattispecie generale di nullità ex art. 1418 c.c.
Ciò poiché la prescrizione dei limiti di finanziabilità – per quanto non ascrivibile a un contenuto tipico predeterminato dall’autorità creditizia – si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali affinché un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario”.
Al fine di argomentare ulteriormente la propria tesi, la Corte prende a riferimento la materia concorsuale, ritenendo necessario analizzare la questione anche alla luce del principio della par conditio creditorum di cui all’articolo 2741 c.c.
Se si escludesse infatti la nullità del contratto stipulato in violazione del limite massimo di finanziabilità, non solo si manterrebbe intatta una causa di prelazione di fatto illegittima, ma la si proteggerebbe a discapito degli altri creditori.
La banca infatti, pur avendo violato la disposizione di cui all’articolo 38 t.u.b., beneficerebbe in ogni caso dei privilegi connessi alla qualifica “fondiaria” del finanziamento.
Conclusioni
Risulterebbe quindi opportuno concludere che il mancato rispetto del limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38, secondo comma, del t.u.b. (e della conseguente delibera del Cicr), determini di per sé la nullità del contratto di mutuo fondiario.
Poiché detto limite è essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento come, appunto, “fondiario”, secondo l’ottica del legislatore, lo sconfinamento di esso condurrebbe automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti.
Ferma restando dunque la nullità del contratto di mutuo fondiario, l’unica modalità di recupero di tale contratto nullo sarebbe quella della conversione in un contratto diverso (art. 1424 cod. civ.).
Pertanto, essendo tale limite un elemento attinente alla struttura e al contenuto del negozio, l’articolo 38, secondo comma, t.u.b deve essere qualificato alla stregua di norma imperativa di validità, dalla cui violazione non potrebbe che derivare la nullità virtuale dell’intero contratto ai sensi dell’articolo 1418, primo comma, c.c.
In conclusione, la soglia di finanziabilità si porrebbe dunque come limite inderogabile dall’autonomia privata il cui superamento comporterebbe la nullità dell’intero contratto.