Il ricorrente, a seguito di giudizio cautelare possessorio, otteneva un’ordinanza per la reintegra nel possesso dei beni da cui era stato violentemente spogliato dal resistente, che risultava formalmente proprietario dei beni oggetto di causa.
Poiché il resistente non dava attuazione spontanea all’ordinanza di reintegrazione, il ricorrente proponeva ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. ed il Collegio stabiliva le modalità di attuazione dell’ordinanza consistenti nella semplice eliminazione di un lucchetto e di una catena posti a chiusura di un cancello senza necessità di demolire alcuna opera.
La moglie del resistente nonché formalmente comproprietaria dei beni oggetto di spoglio, proponeva nei confronti del ricorrente un‘azione di reintegra asserendo che la sua reimmissione nel possesso eseguita a mezzo dell’Ufficiale giudiziario avrebbe configurato uno spoglio nei suoi confronti e proponeva separatamente un’opposizione di terzo, asserendo che in quanto comproprietaria, sarebbe stata una litisconsorte rimasta estranea al giudizio possessorio.
1. Azione di reintegra possessoria: mancanza di litisconsorzio necessario senza attività demolitoria o di ripristino dello stato dei luoghi
Il ricorrente violentemente spogliato dal possesso ha promosso l’azione per la reintegrazione correttamente ed esclusivamente nei confronti dell’autore materiale dello spoglio.
Giurisprudenza pacifica e costante sulla questione ha, infatti, chiaramente statuito che: “In tema di azioni a difesa del possesso, lo spoglio e la turbativa, costituendo fatti illeciti, determinano la responsabilità individuale dei singoli autori secondo il principio di solidarietà di cui all’art. 2055, sicchè nel giudizio possessorio, non ricorre tendenzialmente l’esigenza del litisconsorzio necessario che ha la funzione di assicurare la partecipazione al processo di tutti i titolari degli interessi in contrasto” (ex pluris: Cass. Civ. n. 22694 del 06.11.2015).
Il litisconsorzio necessario s’impone solo qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un’opera di proprietà o nel possesso di più persone.
A fissare definitivamente il principio sono intervenute le Sezioni Unite che hanno ribadito che: “In tema di tutela possessoria, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso richieda, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un‘opera in proprietà o possesso di più persone, il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio è litisconsorte necessario non solo quando egli, nella disponibilità materiale o solo in iure del bene su cui debba incidere l’attività ripristinatoria, abbia manifestato adesione alla condotta già tenuta dall’autore dello spoglio o abbia rifiutato di adoperarsi per l’eliminazione degli effetti dell’illecito, ovvero, al contrario, abbia dichiarato la disponibilità dell’attività di ripristino, ma anche nell’ipotesi in cui colui che agisca a tutela del suo possesso ignori la situazione di compossesso o di comproprietà, perché in tutte queste fattispecie anche il compossessore o comproprietario non autore della condotta di spoglia è destinatario del provvedimento di tutela ripristinatoria” –Sez. unite n. 1238 del 23.01.2015-.
2. Inesistenza dello spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario
La moglie del resistente, formalmente comproprietaria dei beni oggetto di spoglio, asseriva che la reintegrazione nel possesso del ricorrente eseguita a mezzo dell’Ufficiale giudiziario avrebbe configurato uno spoglio nei suo confronti.
Il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (ex pluris: Cass. Civ. Sez. II, 25.07.2011 n. 16229) è che affinchè ricorra il c.d. “spoglio a mezzo dell’ufficiale giudiziario” sono necessari 2 presupposti:
- che il titolo in forza del quale si procede non abbia efficacia contro il possessore;
- che l’intervento dell’ufficiale giudiziario sia stato dolosamente provocato da colui che ha richiesto l’esecuzione sollecitando in male fede l’intervento dell’ufficiale giudiziario.
In merito al primo presupposto, l’operato dell’ufficiale giudiziario è legittimo perché il ricorrente richiedendo il suo intervento ha agito in forza di un valido ed efficace titolo esecutivo rappresentato dall’ordinanza di reintegra nel possesso. Nessuna irregolarità è rinvenibile nell’operato dell’Ufficiale giudiziario che si è limitato a dare esecuzione ad un provvedimento giurisdizionale la cui efficacia esecutiva poteva essere sospesa solo in forza di altro provvedimento giurisdizionale contrario.
In merito al secondo presupposto, sul dolo del ricorrente nel richiedere l’intervento dell’Ufficiale giudiziario, giurisprudenza pacifica e costante sulla questione ha statuito che: “Non è sufficiente ad integrare l’animus spoliandi da parte dell’istante, l’intento di sostituire il proprio all’altrui possesso contro la volontà del possessore, ma occorre la consapevolezza dell’istante che l’azione esecutiva non gli spetta ossia la prova del dolo dello spogliatore, il quale conscio dell’arbitrarietà della sua richiesta, abbia maliziosamente sollecitato l’intervento dell’ufficiale giudiziario” (ex pluris: Cass. Civ. Ssz. II, 23.03.2004 n. 5756).
La predetta giurisprudenza di legittimità che ha esaminato un caso identico ha statuito che si deve escludere la prova del dolo del ricorrente che ha agito in forza di un titolo esecutivo rappresentato da un’ordinanza di reintegra nel possesso dei beni e che pur se non pronunciata nei confronti di un terzo, aveva riconosciuto in capo al ricorrente e non ad altri il possesso dei beni.