La nullità dei contratti quadro per difetto di forma: l’intervento delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2019, 12 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ., sentenza n. 28314 del 4.11.2019

La pronuncia della Suprema Corte si inserisce nell’ambito della disciplina della forma[1] del contratto, nello specifico in relazione alla concezione da attribuire a quest’ultima.

Accanto alla funzione tradizionale[2] (certezza dei rapporti giuridici), è possibile annoverare una concezione funzionale. Con tale termine è da intendersi la forma quale strumento di protezione del contraente debole, ossia di quel soggetto rispetto al quale si configurino asimmetrie informative che necessitano di essere colmate tramite il requisito della forma scritta.

In tale contesto si inserisce la pronuncia delle Sezioni Unite.[3]

La fattispecie in questione

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione ha ad oggetto i contratti di investimento finanziario, in particolare i cosiddetti contratti quadro.

Problematiche relative a tale tipologia contrattuale sono da rinvenire: a) nella mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’istituto di credito, con conseguente declaratoria di nullità; b) nella possibilità per l’intermediario, in caso di accertata nullità del contratto, di produrre in giudizio il contratto, quale equipollente della sottoscrizione. [4]

Oggetto della pronuncia de quo è da individuare nella declaratoria di nullità di due contratti d’investimento in obbligazioni argentine, per difetto di forma.[5]

Il contrasto, che ha determinato l’intervento delle Sezioni Unite, riguarda “la legittimità della limitazione degli effetti derivanti dall’accertamento della nullità del contratto quadro, ai soli ordini oggetto della domanda proposta dall’investitore”. Si contrappone a tale impostazione, quella alternativa che, invece, “si fonda sull’estensione degli effetti di tale dichiarazione di nullità anche alle operazioni di acquisto che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente, con le conseguenze compensative e restitutorie che ne possono derivare, ove trovino ingresso nel processo come eccezioni o domande riconvenzionali.”

L’intervento della Corte di Cassazione

In via preliminare, la Corte, qualificando la nullità del contratto quadro quale esempio di nullità di protezione, compie una ricognizione del quadro legislativo in merito a tali forme di nullità.[6]

Al rapporto oggetto del giudizio, si applica l’art. 23 del D.Lgs 58 del 2998 (T.U.F.) nella sua formulazione originaria, ai sensi della quale il contratto quadro è da ritenere nullo per inosservanza della forma prescritta e la nullità può essere fatta valere da solo cliente.[7]

Ulteriore sistema di tutela analogo è da rinvenire nel D.Lgs 385 del 1993 in relazione alla nullità del contratto per difetto di forma ed in merito all’art. 127[8]: norma attualmente conformata al Codice del Consumo, con l’introduzione del comma 4[9], che prevede una nullità di protezione, soggetta anche al rilievo officioso del giudice, ma pur sempre a vantaggio del cliente.

La Corte, infine, fa espresso richiamo all’art. 36, comma 3 del Codice del Consumo, che ha esteso la tutela prevista per le clausole vessatorie alla nullità, prevedendo l’operatività di quest’ultima solo a favore del consumatore ed il rilievo ex officio da parte del giudizio.

Elemento caratterizzante, i citati esempi di nullità di protezione, è la legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio. Conseguenze sono la diretta applicazione in favore o a vantaggio del cliente e la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice. [10] Entrambe volte a garantire l’effettiva tutela della parte contrattuale più debole: il rilievo officioso, infatti, dovrà essere subordinato ad una manifestazione d’interesse del legittimato.

Assunto ciò, viene analizzato l’art. 23, comma 3 T.U.F. che, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con i principi del diritto eurounitario, non esclude nè il rilievo officioso della nullità nè l’operatività di quest’ultima a vantaggio del cliente.

Ciò permette di definire tale norma quale species delle nullità di protezione.

La Corte, inoltre, rileva come la stessa interpretazione ed elaborazione giurisprudenziale di tale forma di nullità giustifichi la concezione funzionale di forma di contratto (strumento di tutela della parte contraente più debole).

Proprio in relazione al tema della forma, si ritiene che il contratto quadro abbia una funzione sia conformativa sia normativa. Quest’ultimo, infatti, deve essere redatto per iscritto (forma ad substantiam), in quanto contenente la definizione specifica della tipologia di investimenti che debbono essere eseguiti. Il suo perfezionamento è condizione necessaria, ma non sufficiente, perchè scaturiscano gli effetti del vincolo negoziale (diretta conseguenza è l’effettuazione degli investimenti finanziari).

Sulla scorta di una giurisprudenza, ormai prevalente, la Cassazione ribadisce come l’obbligo della forma scritta risulti assolto anche se il contratto è sottoscritto soltanto dall’investitore.[11] Prediligendo una concezione prettamente funzionale di forma, infatti, la sottoscrizione del solo cliente è idonea a garantire l’effettiva protezione di quest’ultimo. Ciò, tuttavia, non legittima l’esercizio dell’azione di nullità in via abusiva, in modo da trarne ingiusti vantaggi.

L’opzione prettamente funzionalistica è, inoltre, strettamente collegata alla necessità di non trascurare l’applicazione dei principi di buona fede e correttezza anche nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale.

Alla luce di ciò, la Corte si chiede se la disciplina delle nullità di protezione sia comune a tutte le species.

La legittimazione a far valere la nullità di protezione

Dalla premessa svolta, si evince come le nullità di protezione, sia che investano singole clausole sia che riguardino l’intero contratto, possano essere fatte valere solo da una parte, salvo il rilievo officioso, nei limiti predetti dell’interesse del contraente debole. [12]

La legittimazione dell’altra parte è, dunque, esclusa, in quanto nullità volte a rideterminare l’equilibrio contrattuale. Nel caso dei contratti di investimento, lo squilibrio ha un carattere prevalentemente conoscitivo/informativo, formatosi sull’elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell’ambito degli investimenti finanziari.

Proprio in ordine a ciò, opera il principio di correttezza e buona fede, quale strumento in grado di tutelare la posizione dell’investitore. Il legislatore, infatti, ha previsto anche obblighi di carattere prettamente informativo. Dall’altro lato, non deve escludersi un obbligo di fedeltà in capo allo stesso investitore. [13]

La Corte, dunque, ritiene possibile risolvere la questione della legittimazione selettiva delle nullità di protezione sulla scorta del principio di buona fede, con funzione riequilibratrice. [14]

Sul punto, si confrontano due pronunce della Cassazione, Prima Sezione. [15]

La divergenza di sostanzia nella diversa declinazione dell’ambito di operatività delle nullità di protezione, in relazione alla correlazione tra legittimazione e propalazione degli interessi.

Da un lato[16], ci si limita a ritenere che il regime delle nullità di protezione si esaurisca nella legittimazione esclusiva del cliente o nella rilevabilità officiosa, per difetto di forma; dall’altro, si predilige un’operatività piena, processuale e sostanziale del regime delle nullità di protezione, ad esclusivo vantaggio del cliente. Secondo questa seconda impostazione, diretta conseguenza è la selezione degli ordini di investimento, sui quali comminare la nullità.

Vi è, infine, una terza opzione che rinviene, nel principio di buona fede, lo strumento adeguato per affrontare la problematica dell’uso distorsivo della funzione selettiva delle nullità di protezione. In tal modo, è possibile ricostruire lo squilibrio contrattuale, impedendo l’esercizio arbitrario di talune azioni.

Nello specifico, la Corte ascrive in capo all’intermediario la cosiddetta exceptio doli generalis, in grado di paralizzare l’uso selettivo della nullità.[17]

La dottrina non ha prospettato soluzioni univoche al riguardo. In via generale, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza, si è ritenuto che l’eccezione di buona fede risulti, appunto, in grado, di impedire l’utilizzo selettivo delle cosiddette nullità di protezione.

Effettuata tale disamina, la Suprema Corte predilige la teoria dell’eccezione di buona fede, affermando che, in relazione al caso concreto, risulterà necessario verificare se l’azione sia stata preordinata alla produzione di un pregiudizio nei confronti dell’altro contraente.[18]

Di conseguenza, per accertare se “l’uso selettivo della nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare pregiudizio all’intermediario, si dovrà verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, laddove risulti vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità.”

Verificato, dunque, se gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum, potrà essere opposta l’eccezione di buona fede, nel solo caso in cui sia necessario paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità.

Il principio di diritto

Alla luce dell’analisi compiuta, è possibile sintetizzare, nel modo seguente, la soluzione proposta dalle Sezioni Unite:

  1. il regime giuridico delle nullità di protezione, previsto dall’art. 23, comma 3 T.U.F., opera sul piano della legittimazione processuale e degli effetti sostanziali esclusivamente in favore dell’investitore;
  2. l’azione volta a far valere la nullità richiede l’accertamento dell’invalidità del contratto quadro;
  3. tale accertamento ha valore di giudicato, ma l’intermediario non può avvalersi degli effetti diretti di questa forma di nullità e, di conseguenza, non può agire in via riconvenzionale od in via autonoma, ai sensi degli artt. 1422 e 2033 c.c.;
  4. in funzione di riequilibrio effettivo endocontrattuale si applicano i principi di solidarietà ed uguaglianza sostanziale, quando l’azione di nullità, utilizzata in forma selettiva, determina un sacrificio economico sproporzionato di una parte;
  5. nella predetta ipotesi, l’intermediario può opporre l’eccezione di buona fede;
  6. tale eccezione è opponibile quando gli investimenti, relativi agli ordini non coinvolti nella declaratoria di nullità, abbiano prodotto vantaggi economici per l’intermediario;
  7. l’eccezione di buona fede non è configurabile in senso stretto.

La portata innovativa della pronuncia della Corte

Assumono particolare rilevanza ed innovatività i corollari sottesi alla pronuncia in questione.

Il concetto funzionale di forma, infatti, è la base da cui parte la Corte per approdare all’eccezione di buona fede.

Fondamento della soluzione proposta dalle Sezioni Unite è da rinvenire nella disamina del regime delle nullità di protezione e nella conseguente individuazione della ratio sottesa alle stesse, ossia la tutela della squilibrio contrattuale e la predilizione nei confronti del contraente debole.

Tale disciplina viene integrata con la buona fede. La Corte, infatti, recepisce quest’ultima quale strumento di riequilibrio del rapporto contrattuale.

Unica critica può essere posta in relazione al concetto di buona fede. Nella pronuncia, si utilizza un’accezione soggettiva, mentre, è ormai consolidata l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 1375 c.c. in senso oggettivo.[19]

Ciò, tuttavia, non scredita la portata innovativa della pronuncia, che tenta di delimitare la disciplina delle nullità di protezione, prettamente a vantaggio del contraente debole, riequilibrando il rapporto contrattuale.


[1] Ai sensi dell’art. 1325 c.c., la forma costituisce uno degli elementi essenziali del contratto, unitamente alla causa, all’oggetto e all’accordo.

[2] La forma può essere definita quale strumento di estrinsecazione della volontà contrattuale. In tal senso, è in grado di attribuire certezza al rapporto giuridico.

[3] Cassazione Sezioni Unite n. 28314 del 4 novembre 2019 “La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nel D.Lgs. n. 58 del 1998, n. 23, comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro.”

[4] Si definiscono equipollenti della sottoscrizione gli strumenti introdotti dal legislatore nell’ipotesi in cui risulti mancata la sottoscrizione di una delle parti del contratto. Funzione della sottoscrizione non è solo di individuazione delle parti contrattuali, ma anche di individuare il momento di conclusione del rapporto contrattuale. In talune circostanze, il legislatore ha previsto, laddove risulti mancante la sottoscrizione di una parte, di sopperire a ciò tramite alcuni strumenti, quali ad esempio la produzione in giudizio della documentazione relativa al contratto.

[5]Il Tribunale di Mantova aveva accolto la domanda volta a far dichiarare la nullità dei due contratti quadro, condannando l’intermediario alle restituzioni dovute in relazione agli investimenti. La Corte d’Appello, analizzando nello specifico l’art. 23 comma 3 del D.Lgs. 58 del 1998, che dispone che la nullità del contratto possa essere fatta valere solo dal cliente, specifica che tale forma di nullità, definitiva “di protezione”, ha effetti su tutti gli ordini di investimento, non potendo il cliente limitare la nullità soltanto ad alcuni di essi.

[6] Forma di nullità introdotta dal legislatore, a titolo esemplificativo nell’art. 36, comma 3 del codice del consumo, che garantisce la tutela di interessi di tipo individuale. Ratio è da rinvenire nella necessità di tutelare il contraente più debole, prevenendo lo squilibrio contrattuale.

[7] Il testo normativo è infatti entrato in vigore il 1 luglio 1998; il contratto quadro oggetto della fattispecie è stato stipulato nell’agosto del 1998. La formula originaria è, dunque, la seguente:

“1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La CONSOB, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo.

  1. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tali casi nulla è dovuto.
  2. Nei casi previsti nei commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.”

[8] “1. Le disposizioni del presente articolo sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente.

  1. Le nullità prevista dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente.”

[9] “4. Le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevata d’ufficio dal giudice.”

[10] In merito al rilievo officioso, è necessario richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26642 del 2014, che estende la rilevabilità officiosa anche alle nullità di protezione, limitando tale potere alla necessaria verifica dell’effettiva utilità in favore del soggetto debole del rapporto contrattuale.

[11] Sul punto, è possibile richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 898 del 2018.

[12] Ciò contrasta con quanto disciplinato dall’art. 1421 c.c., rubricato “legittimazione all’azione di nullità”, che precisa “Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. È possibile ritenere come tali forme di nullità costituiscano una via di mezzo tra regime della nullità e dell’annullabilità. Tanto che, proprio la loro introduzione, ha fatto venire meno il discrimine tra le predette forme di invalidità. La nullità, da sempre considerata quale strumento a garanzia di interesse sovraindividuali, ha assunto la fisionomia di una forma di invalidità in grado di tutelare anche interessi di tipo individuale.

[13] In tal senso, è possibile utilizzare il principio di buona fede con un ambito di operatività trasversale, limitando quest’ultimo non solo alla protezione del cliente, ma anche al fine di non arrecare un pregiudizio all’altra parte del rapporto contrattuale.

[14] Il principio di buona fede è, dunque, lo strumento in grado di verificare se l’esercizio dell’azione in sede giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi ed estranei alla ratio riequilibratrice sottesa allo stesso.

[15] Cassazione Sezione Prima n. 8395 del 2016 e n. 6664 del 2018.

[16] Cassazione n. 6664 del 2018 “Una volta che sia privo di effetti il contratto d’intermediazione finanziaria, destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti in quanto esso sia dichiarato nullo, operano le regole comuni dell’indebito (art 2033 c.c.) non altrimenti derogate. La disciplina del pagamento indebito  è invero richiamata dall’art. 1422 c.c.: accertata la mancanza di una causa adquirendi – in caso di nullità (…) l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione dello stesso è quella di ripetizione dell’indebito oggettivo; la pronuncia del giudice è l’evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del solvens alla restituzione della prestazione rimasta senza causa.”

[17] La corte definisce l’exceptio doli generalis quale eccezioni di buona fede, finalizzata a paralizzare in tutti od in parte gli effetti restitutori dell’azione di nullità.

[18] “L’eccezione, secondo una delle tesi in campo, può essere proposta per paralizzare l’azione volta a far valere le nullità di protezione in funzione selettiva, tutte le volte che l’investitore ponga in essere una condotta soggettivamente connotata da malafede o frode, ovvero preordinata alla produzione di un pregiudizio per l’intermediario, non ravvisandosi alcuna incompatibilità tra l’esercizio dell’azione di nullità e la predetta eccezione ma solo la necessità di un adeguato bilanciamento da svolgersi secondo il paradigma contenuto nell’art. 1993 c.c., comma 2 e art. 2384 c.c., comma 2, individuabile nel non potere agire, neanche attraverso l’esercizio di un proprio diritto, arrecando intenzionalmente danno all’altra parte.”

[19] Buona fede e correttezza, ormai considerate sinonimo dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, sono da qualificare quali clausole di carattere generale. Grazie all’evoluzione del concetto di buona fede, quest’ultima può essere considerata come fonte integrativa, ex art 1374 c.c., di obbligazioni di carattere strumentale, volte a soddisfare gli interessi delle parti del rapporto contrattuale. Se, infatti, la diligenza è da riferirsi al solo debitore; la buona fede ad entrambi le parti del negozio giuridico. Di conseguenza, soltanto la correttezza può essere definita come fonte di regole.

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