Con la sentenza n. 11744 dell’8 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha ribadito che per considerare valida la notificazione, non basta che la raccomandata sia stata ricevuta presso l’abitazione del destinatario.
Nel caso di specie l’I.N.P.S. aveva inviato atto interruttivo della prescrizione ad un contribuente. La ricevuta di ritorno della raccomandata era stata tuttavia sottoscritta da un soggetto non identificato, senza alcuna specificazione della qualità dello stesso in rapporto al contribuente destinatario. Avverso la sentenza d’Appello, ricorreva in Cassazione l’I.N.P.S. la quale evidenziava che ciò che conta non è chi abbia ricevuto materialmente la raccomandata ma che questa sia stata consegnata presso l’indirizzo del destinatario.
Sul punto, la Suprema Corte ha confermato che un atto di costituzione in mora del debitore, per produrre i suoi effetti e, in particolare, l’effetto interruttivo della prescrizione, deve essere diretto al suo legittimo destinatario, senza essere soggetto a nessuna particolare modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari. Pertanto, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata anche sulla base della presunzione di recepimento fondata sull’arrivo della raccomandata all’indirizzo del destinatario, che dovrà, dal suo canto, provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa.
Tale conclusione non vale tuttavia in caso di totale estraneità dei soggetto che ha firmato per ricevuta la raccomandata, come nel caso di specie in cui non risultava alcuna specificazione della qualità del ricevente in rapporto al contribuente destinatario. Si trattava, invero, di soggetto del tutto estraneo al debitore: estraneità peraltro correttamente documentata a mezzo della produzione, in grado di appello, dello stato di famiglia del destinatario, da cui si evinceva che i due soggetti non erano familiari né conviventi.
Ebbene, secondo la Suprema Corte, in siffatte circostanze non potrà che concludersi per l’impossibilità per l’effettivo destinatario di avere notizia dell’atto e della non ascrivibilità di tale situazione a sua colpevolezza. Ne deriva che la spedizione di un atto al corretto indirizzo del destinatario non basta, da sola, per presumere che il destinatario l’abbia conosciuto. A tal riguardo, è invece necessario “che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza, posto dall’art. 1335 c.c., opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione, ma non quando l’agente postale abbia consegnato lo stesso a soggetto del tutto estraneo al destinatario”.
Di conseguenza, la Suprema Corte rigettava il ricorso con condanna dell’I.N.P.S. al pagamento, in favore del contribuente, delle spese del giudizio di legittimità.
(Corte di Cassazione, VI sez. civile, sentenza n. 11744 dell’8 giugno 2015)