Mancato consenso informato e trattamento sanitario illegittimo: due danni autonomi

in Giuricivile, 2019, 9 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. civ., Sez. III, 25 giugno 2019, n. 16892

Sommario: 1. Breve ricostruzione del fatto – 2. I motivi di ricorso – 3. L’argomentazione della Corte di legittimità – 4. La decisione finale – 5. Conclusioni

Breve ricostruzione del fatto  

Con sentenza, la Corte di Appello di Cagliari ha respinto il gravame proposto da due coniugi in relazione alla pronuncia del Tribunale di Lanusei di rigetto della domanda di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza della nascita della figlia affetta da “ectromelia[2] dell’arto superiore sinistro”, per la “mancata rilevazione[3] della situazione di aplasia[4] di cui era portatore il feto” in sede di esami ecografici eseguiti dalla madre presso lo studio del medico e presso l’ospedale.

I motivi di ricorso

Il ricorso presso la Corte di Cassazione, presentato dai due coniugi, ha visto denunziare, con un primo motivo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.[5]. I ricorrenti, infatti, hanno affermato che la Corte di Appello di Cagliari ha trattato solo il danno da nascita indesiderata[6] che ha rappresentato solo una delle richieste risarcitorie formulate dai coniugi accanto, ma distinti ontologicamente, agli ulteriori danni da invalidità temporanea totale[7] e parziale e da invalidità permanente[8], nel loro aspetto biologico patrimoniale ed extrapatrimoniale, quale conseguenza dell’omessa diagnosi in utero della malformazione e dell’esposizione dei genitori, a seguito del parto, di una bambina malformata, ma  che fino a quel momento era stata ritenuta perfettamente sana. Nonché del danno psichico[9] e di quello derivante dalla diminuita vita di relazione dei genitori, patiti sempre in conseguenza di una gravissima negligenza ed imperizia dei medici e della struttura sanitaria che non hanno consentito loro di essere preparati alla nascita di una figlia malformata.

Hanno, altresì, lamentato che “(…) Gli stessi danni, considerati nel loro complesso, sono da considerarsi di carattere psichico, nonché danni alla persona da invalidità temporanea totale e parziale e da invalidità permanente, nel loro aspetto biologico, patrimoniale ed extrapatrimoniale, e devono essere tenuti distinti, quanto al loro nesso eziologico proprio, da quelli da nascita indesiderata”.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunziato omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art 360, co. 1, n. 4, c.p.c.

I ricorrenti hanno presentato doglianza per cui “la corte di merito abbia mal valutato  le  emergenze processuali e abbia prescisso totalmente dal carattere dell’omissione diagnostica, dalla gravemente negligente ed imperita condotta dei medici e della struttura sanitaria evocati in giudizio, dal carattere degli esami e dalle visite praticate, dal mancato rispetto delle linee guida vigenti all’epoca dei fatti di causa, dalle eccezioni e deduzioni svolte dalle parti, dalle risultanze istruttorie e dagli esiti delle consulenze tecniche d’ufficio espletate, nonché dal complesso di danni, anche diretti, domandati e patiti dagli appellanti”.

L’argomentazione della Corte di legittimità

La Corte di Cassazione, accogliendo il primo motivo di ricorso, ha anzitutto osservato come la Corte stessa abbia già avuto modo di affermare che l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra  uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente[10].

La Corte, poi, ha ripreso il nucleo normativo, rappresentato dagli artt. 32, co. 2, Cost.[11], 13 Cost.[12] e 33 L. n. 833 del 1978[13], e ha precisato che esso è a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.

Il giudice di legittimità, nel prosieguo della sua argomentazione, ha stabilito che si tratti di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso[14], di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, al fine di porre quest’ultimo in condizione di consapevolmente consentire al trattamento sanitario prospettatogli[15].

Il medico ha pertanto il dovere, ha ampiamente ribadito la Corte, di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili.

Inoltre, ha precisato che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente[16].

La parte più interessante della sentenza risulta essere quella in cui la Corte, con molta chiarezza, ha affermato: “Trattasi di due diritti distinti”, spiegandone immediatamente dopo le ragioni.

Il consenso informato, infatti, ha sottolineato argutamente la Corte, attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico[17], e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente[18], anche in ordine alle conseguenti implicazioni verificabili, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge[19]. Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute[20].

La Corte, in termini più propriamente tecnici, ha poi soffermato l’attenzione sull’analisi compiuta dal giudice di merito, il quale si è pronunciato solo in ordine ai danni da mancata interruzione di gravidanza e non su tutti i danni, comunque richiesti, dai coniugi, tra cui quello conseguente alla omessa diagnosi della malformazione del feto. È interessante anche la parte della sentenza in cui è stato ritenuto  incongruente il ragionamento della corte di merito per aver liquidato semplicisticamente la richiesta di danno per mancata interruzione di gravidanza nella ravvisata mancanza di prova in ordine alla volontà della “donna di non portare a termine la gravidanza in presenza di specifiche condizioni facoltizzanti”, in applicazione al riguardo della regola di ripartizione degli oneri probatori[21].

Il secondo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366, co. 1, n. 6 c.p.c. perché i ricorrenti non hanno indicato gli atti processuali o i documenti che la Corte avrebbe dovuto prendere in considerazione ai fine della decisione.

La decisione finale

La Corte di Cassazione, come già anticipato, nel caso di specie ha accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo. Ha statuito, almeno pare questo sia il principio di diritto a cui la Corte di Cagliari in diversa composizione dovrà attenersi, che la mancata acquisizione e, da parte del sanitario, del consenso informato del paziente costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento medico, sicché in ragione della diversità dei diritti, – rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica –  pregiudicati nelle due differenti ipotesi dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la l’errata esecuzione di quest’ultimo[22].

Conclusioni

La Corte di Cassazione, in ossequio ai valori fondanti del nostro ordinamento, quali l’art. 2 Cost. e l’art. 32 Cost., è pervenuta ad una decisione costituzionalmente orientata, assiologicamente opportuna e sistematicamente equilibrata. L’unica pecca della sentenza, proprio per essere precisi e puntuali, non è dunque nell’argomentazione giuridica, assolutamente ineccepibile, ma nella terminologia utilizzata, alcune volte in maniera inopportuna, come si può evincere a p. 4 della sentenza, laddove la Corte discorre di “esposizione della bambina malformata”. Sembra quasi rinvenire lo jus exponendi di romanistica memoria, là dove la persona era paragonata ad una “res in commercio”.

In definitiva, la persona, sia essa sana, sia essa malformata, è sempre persona e, come tale, ha una dignità che va tutelata e preservata, anche utilizzando termini semplicemente più consoni.


[1] Dottorando di ricerca in Diritto civile presso l’Università degli studi di Salerno e Tirocinante presso la Suprema Corte di Cassazione.

[2] Con il termine generico di ectromelie vengono indicate tutte le malformazioni caratterizzate dall’assenza congenita, totale o parziale, di uno o più arti.

[3] Vedi, in tal senso, già Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1252 in tema di responsabilità del ginecologo per la omessa diagnosi della grave patologia di cui è affetto il nascituro; Cass. civ., Sez. Un., 31 ottobre 2017, n. 25849 in tema di errore diagnostico e onere probatorio; Cass. civ., Sez. III, 7 aprile 2016, n. 6793 in tema di risarcimento del danno per mancata diagnosi del feto malformato.

[4] Aplasia, dal greco a- (privo) plésein (formare), è il termine con cui si indica il mancato sviluppo di un tessuto o di un organo.

[5] Si ricorda, solo per completezza, che l’art. 112 c.p.c. disciplina la c.d. “corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”, mentre l’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. risulta essere un vizio censurabile per Cassazione, attraverso il quale, specificamente, si chiede la nullità della sentenza o del procedimento.

[6] Vedi, tra tutte, Cass. civ., Sez. Un., 31 ottobre 2017.

[7] Vedi, sul punto, Cass. civ., Sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5820.

[8] Ancora, si consiglia di approfondire Cass. civ., Sez. III, 27 maggio 2019, n. 14364.

[9] Sul danno psichico e responsabilità medica per omessa diagnosi, vedi Cass. civ., Sez. III, 7 febbraio 2018, n. 20836.

[10] Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. III,  16 ottobre 2007, n. 21748.

[11] In base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

[12] Che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica.

[13] Che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p..

[14] Cfr. Cass. civ., Sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826; Cass. civ., Sez. III, 30 luglio 2004, n. 14638.

[15] Vedi, in tale dimensione, Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444,

[16]Cfr. Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex art. 345 c.p.c. la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto a quella proposta in primo grado basata sulla mancata prestazione del consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento.

[17] Cfr. Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438.

[18] Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. III,  6 giugno 2014, n. 12830.

[19] Anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 2, co. 2, Cost..

[20] Art. 32, co. 1, Cost.. Vedi, ancora, Cass. civ., Sez. III, 6 giugno 2014, n. 12830.

[21] La regola di ripartizione degli oneri probatori in tema è stata affermata da Cass. civ., Sez. Un., 22 dicembre 2015, n. 25765. In sostanza pare di poter affermare come le Sezioni Unite abbiano sottolineato la necessità per la donna di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che, se tempestivamente informata sulle condizioni del nascituro, sarebbe ricorsa alla interruzione della gravidanza. Nel caso de quo, sottoposto all’esame del Collegio, niente, sul punto specifico, è stato prospettato dalle parti appellanti, che non hanno fatto alcun riferimento a tale aspetto della fattispecie, dando per scontata la circostanza che, in presenza, a loro dire, di una non corretta informazione, il diritto al risarcimento del danno fosse in re ipsa, del tutto disattesa nella sentenza del giudice di merito.

[22] Vedi Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749; Cass., civ., Sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503; Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854.

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