Il presente articolo intende analizzare i patrimoni destinati ad uno specifico affare, come introdotti dalla riforma del diritto societario, D.lgs. n. 6 del 2003, e rubricati agli articoli 2447 bis e seguenti del Codice Civile. Si inizierà trattando la natura giuridica e lo scopo dell’istituto, esaminando anche le novità recentemente introdotte dal Codice del Terzo settore. Si procederà quindi all’analisi dei due modelli di separazione previsti dal legislatore, concentrandosi poi su quello operativo, e della nozione di “affare” per studiare successivamente i limiti oggettivi e soggettivi alla costituzione degli stessi.
Successivamente, si tratteranno le modalità con cui i patrimoni destinati possono essere costituiti e gli elementi essenziali degli stessi. Infine, si tratteranno gli adempimenti successivi alla delibera di costituzione dei patrimoni destinati nonché le vicende legate alla cessazione di tali patrimoni, alla loro liquidazione e ai loro rapporti con la Legge Fallimentare, concludendo con l’analisi dei risultati derivati dall’introduzione di tale istituto nel panorama societario italiano.
Sommario
- Natura giuridica e finalità dei patrimoni destinati
- Soggetti che possono fare ricorso ai patrimoni destinati dopo la riforma del Terzo settore.
- Le tipologie di patrimoni destinati
- La nozione di “affare” nella disciplina dei patrimoni destinati
- Limiti nella costituzione di patrimoni destinati
- La costituzione dei patrimoni destinati: elementi essenziali e incidentali
- Adempimenti successivi alla costituzione dei patrimoni destinati
- Cessazione e liquidazione del patrimonio destinato.
- Patrimoni destinati e fallimento.
- Conclusioni
1. Natura giuridica e finalità dei patrimoni destinati
Come si è anticipato, i patrimoni destinati sono stati introdotti nel nostro ordinamento dal D.lgs. n. 6 del 2003, trovano ora piena disciplina codicistica, e costituiscono una forma di segregazione patrimoniale avente ad oggetto l’attività di impresa.
Attraverso la previsione codicistica di detti patrimoni si è resa pertanto possibile la realizzazione, per le società per azioni[1], di una fattispecie di segregazione patrimoniale, limitatamente a una parte del patrimonio sociale, al fine di destinarla al compimento di uno specifico affare, determinando, quale conseguenza, una scissione di responsabilità per le obbligazioni sociali, le quali graveranno unicamente sul patrimonio sociale se contratte per l’attività d’impresa e, soltanto sul patrimonio destinato, qualora siano state contratte per il perseguimento dell’affare afferente a quest’ultimo.
Tale istituto può quindi essere ricompreso a pieno titolo nell’ormai ampio novero delle eccezioni al principio di responsabilità patrimoniale, come incardinato nell’art. 2740 C.C.: infatti, operando con questo strumento, una parte del patrimonio sociale sarebbe sottratto alla generica garanzia dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal soggetto debitore, in questo caso la società.
Dopo aver trattato della natura giuridica di tale istituto è opportuno analizzare le esigenze che ne hanno decretato l’inserimento nel contesto normativo italiano. A tale scopo è essenziale procedere all’analisi di quanto riportato, con riguardo a questo istituto nel capitolo 10 della Relazione di accompagnamento al D. lgs. 6/2003: infatti, nel documento citato, si può notare come l’inserimento nel Codice Civile dei patrimoni destinati avesse quale finalità quella di permettere una separazione patrimoniale giuridica interna alla società senza obbligare quest’ultimo soggetto alla costituzione di una nuova società, decretando così un evidente risparmio economico in termini di costi di costituzione, mantenimento ed estinzione di un nuovo soggetto giuridico.
In base a quanto si è esposto può facilmente dedursi che la separazione originata dall’istituto del patrimonio separato è decisamente differente sia dalla costituzione di una nuova società sia rispetto alla separazione generata dalle azioni correlate, art. 2350 comma 2 C.C: infatti, quest’ultima rappresenta una mera separazione a livello contabile, non idonea a sovvertire i principi enunciati dall’art. 2740 C.C., mentre la costituzione di una nuova società, oltre ai maggiori oneri economici, determinerebbe necessariamente un mutamento della titolarità dei beni da impiegarsi per il nuovo affare.
2. Soggetti che possono fare ricorso ai patrimoni destinati dopo la riforma del Terzo settore
Nel precedente paragrafo si è lasciato intendere che la possibilità di costituire patrimoni destinati, ex artt. 2447 bis C.C. e seguenti, sia appannaggio unicamente delle Spa, questa affermazione merita però un maggior approfondimento legato sia all’interpretazione dottrinale delle norme sia alle recenti riforme in ambito di impresa sociale e Terzo settore.
In via generale la miglior dottrina[2] ritiene che la disciplina dei patrimoni destinati, prevista in ambito Spa, non possa essere applicata in via analogica a tipologie societarie differenti, stante la sua portata derogatoria del principio di universalità della responsabilità patrimoniale. Si ritiene invece che tale disciplina possa essere applicata alle Sapa, non in forza di applicazione analogica di norme, ma in forza del richiamo, previsto all’art. 2454 C.C., per questo tipo societario alle norme disciplinanti la Spa e all’assenza di espressi divieti al riguardo.
Deve però precisarsi che il recente riordino delle discipline dell’impresa sociale, D.lgs 112/2007, e del terzo settore, Codice del Terzo settore D.lgs 117/2017, ha ampliato il novero dei soggetti che possono ricorrere alla disciplina dei patrimoni destinati. Infatti, l’art. 4 del D.lgs 117/2017 ha indicato quali enti possono rientrare nel Terzo settore e, in tale elenco, ha incluso anche le imprese sociali, le quali, a loro volta, ex art. 1 D.lgs 112/2017, possono ricomprendere le società disciplinate dal libro V del Codice Civile; inoltre l’art. 5 del D.lgs 112/2017 ha previsto per le imprese sociali la necessaria iscrizione al Registro Imprese. Tali premesse sono fondamentali in quanto l’art. 10 del D.lgs 117/2017 prevede espressamente che gli enti del Terzo settore, dotati di personalità giuridica e iscritti nel Registro delle Imprese, possano costituire patrimoni destinati in forza di un richiamo espresso agli artt. 2447 bis-2447 decies C.C. Sulla base di quanto riportato, pertanto, non si può evitare di sottolineare come anche una Srl o una cooperativa possano, secondo la disciplina del Terzo settore e in via di eccezione rispetto alla sopra esposta regola generale, costituire un patrimonio destinato, qualora per esse ricorrano i criteri sopra esaminati[3].
Per completezza espositiva deve precisarsi che sia la disciplina dell’impresa sociale, all’art. 1 comma tre D.lgs 112/2017, sia quella del Terzo settore, all’art. 4 comma tre D.lgs 117/2017, trattando di enti religiosi civilmente riconosciuti, peraltro con testi normativi molto simili, prevedono che questi si dotino di un patrimonio destinato. Il Consiglio Nazionale del Notariato con uno studio[4] ha chiarito l’estensione di tale espressione ritenendo che, sebbene nei testi normativi si faccia riferimento al patrimonio destinato, l’istituto citato non possa essere quello disciplinato agli artt. 2447 bis-2447 decies C.C., in quanto mancherebbero in quest’ultimo caso gli elementi di sistema per accomunarli.
3. Le tipologie di patrimoni destinati
La disciplina dei patrimoni destinati contempla, all’art. 2447 bis primo comma C.C., due tipologie di segregazione patrimoniale distinte sulla base dell’oggetto:
- la prima, rubricata sotto alla lettera “A”, è considerata la tipologia operativa attraverso la quale si rende possibile l’esecuzione di un affare all’interno della società, segregando una parte del patrimonio sociale a tale scopo e rendendo sconveniente la costituzione di una nuova società;
- la seconda tipologia, rubricata sotto alla lettera “B”, permette la costituzione di un patrimonio destinato di tipo finanziario, rappresentando questa fattispecie una modalità con la quale la società emittente reperisce finanziamenti e nella quale la segregazione patrimoniale opera soltanto con riguardo ai proventi derivanti dall’esecuzione dello specifico affare e non direttamente con riguardo al patrimonio sociale.
Se, come si è potuto osservare, la differenza principale tra le due tipologie è rappresentata dall’oggetto della segregazione può però sottolinearsi come queste due fattispecie abbiano diversi profili in comune che, come prospettato dal legislatore, ne rendono parzialmente accumunabile la disciplina. Infatti si può evidenziare come entrambe le tipologie di destinazione siano finalizzate alla costituzione di un patrimonio separato rispetto a quello sociale; nel caso della tipologia “A” riguarderà beni e rapporti giuridici, come specificato dall’art. 2447 ter comma 1 lettera B C.C., nel caso della tipologia “B” riguarderà invece, integralmente o parzialmente, i proventi eventuali e futuri dell’affare che saranno destinati al rimborso del finanziamento, come disciplinato all’art. 2447 decies primo comma C.C.
Un secondo importante punto di contatto tra le due fattispecie di patrimoni destinati è rappresentato dalla possibilità che entrambe le tipologie di destinazione possano fare ricorso al finanziamento di terzi, come stabilito all’art. 2447 ter comma 1 lettera E, con riguardo alla tipologia di patrimonio “A” e dalla natura del patrimonio finanziario con riguardo alla tipologia B.
Infine, altri punti comuni ad entrambe le tipologie di patrimoni destinati sono le seguenti:
- la necessaria indicazione e identificazione dei beni e dei rapporti che costituiscono oggetto della separazione, ai sensi dell’art. 2447 ter comma 1 lettera B C.C., con riguardo alla tipologia “A”, e 2447 decies comma 1 lettera C C.C., con riguardo alla tipologia “B”;
- la necessaria presenza di un piano economico finanziario ai sensi dell’art. 2447 ter comma 1 lettera C C.C., con riguardo alla tipologia “A”, e 2447 decies comma 2 lettera B C.C., con riguardo alla tipologia “B”;
- l’obbligo di assolvere a determinati oneri pubblicitari, ai sensi dell’art. 2447 quaterC., con riguardo alla tipologia “A”, e 2447 decies comma 3 lettera A C.C., con riguardo alla tipologia “B”;
- la necessità che la contabilizzazione relativa agli affari oggetto del patrimonio destinato sia idonea a mantenerli distinti dal restante patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2447 septiesC., con riguardo alla tipologia “A”, e 2447 decies comma 3 lettera B e comma 8 C.C., con riguardo alla tipologia “B”;
- la possibilità di prestare garanzie ai terzi con riguardo all’attività oggetto del patrimonio destinato, ai sensi dell’art. 2447 ter comma 1 lettera C C.C., con riguardo alla tipologia “A”, e 2447 decies comma 2 lettere D e G e comma 8 C.C., con riguardo alla tipologia “B”;
4. La nozione di “affare” nella disciplina dei patrimoni destinati
Dopo aver esaminato le due tipologie di patrimoni destinati disciplinate dal legislatore appare opportuno approfondire il concetto di affare, in quanto condiviso da entrambi i modelli.
La nozione di affare in questo ambito deve intendersi, secondo la migliore dottrina[5], in senso ampio, così da ricomprendere nella sua definizione sia un singolo atto giuridico sia un’attività di impresa in cui il patrimonio destinato verrebbe a costituire astrattamente il ramo d’azienda. Alcuni autori[6], fondando le proprie posizioni sul dettato normativo dell’articolo 2447 ter C.C., e, precisamente, sulla locuzione “realizzazione dell’affare”, ritengono che, anche volendo interpretare estensivamente il concetto di affare, questo debba essere destinato a realizzarsi in un lasso di tempo determinato non potendosi ritenere, in forza anche alla disciplina sulla liquidazione del patrimonio destinato, art. 2447 novies C.C., che quest’ultimo possa perpetuarsi continuativamente.
Dopo aver osservato come nel concetto di “affare” in ambito di patrimoni destinati possa rientrare anche l’esercizio di un’attività d’impresa, è opportuno domandarsi quale rapporto debba eventualmente intercorrere tra questa attività e l’oggetto sociale. Infatti, secondo la dottrina maggioritaria[7], l’attività del patrimonio destinato deve rispettare due requisiti: il primo è rappresentato da una specificità maggiore dell’attività di questo rispetto all’oggetto sociale, mentre il secondo è rappresentato dall’astratta possibilità di ricondurre l’attività del patrimonio destinato tra quelle previste nell’oggetto sociale. Qualora l’attività del patrimonio destinato non rientrasse tra quelle annoverate nell’oggetto sociale, non sarebbe possibile, anche sulla base di quanto si vedrà nel paragrafo 6, con riguardo alla competenza per costituire il patrimonio destinato, procedere immediatamente alla costituzione di quest’ultimo, ma l’assemblea straordinaria dovrà preventivamente provvedere modificando in prospettiva telica l’oggetto sociale.
5. Limiti nella costituzione di patrimoni destinati
Esaurita la trattazione sul concetto di “affare” in ambito di patrimoni destinati è conveniente esaminare i limiti imposti normativamente, e quelli mutuati dalla dottrina, con riguardo al modello operativo[8]. Proprio a riguardo di limiti costitutivi mutuati dalla dottrina, si può preliminarmente citare quello già affrontato e riguardante l’oggetto dell’attività del patrimonio destinato che, tassativamente, dovrà essere ricompreso nell’oggetto sociale.
Un secondo limite, derivante dall’interpretazione dottrinale della disciplina delle società di capitali, è quello che si è avuto modo di trattare nel primo e secondo paragrafo del presente articolo e riguarda i soggetti giuridici che sono legittimati a costituire un patrimonio destinato.
Passando alla trattazione dei limiti normativi nella disciplina dei patrimoni destinati, l’art. 2447 bis comma secondo C.C. ne contiene due di fondamentale importanza:
il primo limite riguarda il rapporto tra il patrimonio netto della società e il valore complessivo derivante dalla somma di tutti i patrimoni destinati, di tipo operativo, costituiti dalla società: quest’ultimo valore, al momento di costituzione di ogni patrimonio destinato[9] [10], non potrà superare il dieci per cento del primo termine del rapporto, salvo quanto disposto da leggi speciali. In dottrina[11], si ritiene che il suddetto limite abbia la funzione di tutelare sia i creditori sociali sia i soci: infatti, i primi subirebbero un pregiudizio nel veder destinata parte del patrimonio sociale originariamente da loro aggredibile, mentre i secondi potrebbero vedere snaturata l’attività di impresa esercitata dalla società, che si ridurrebbe a residuale, rendendo di conseguenza preminente quella relativa ai patrimoni destinati. Collegandosi alla ratio di tale limite risulta evidente il motivo per il quale lo stesso non abbia compreso nel calcolo del valore anche i patrimoni destinati finanziari: infatti, questi non costituiscono valori patrimoniali segregati ma valori espressamente raccolti per l’esecuzione dello scopo di destinazione.
Con riguardo alle conseguenze derivanti dalla costituzione di un patrimonio destinato in violazione di questo primo limite non può non sottolinearsi un contrasto dottrinale[12]: infatti, secondo alcuni autori, la costituzione in violazione del limite quantitativo di cui sopra comporterebbe la non opponibilità della segregazione nei confronti dei terzi, mentre, per altra parte della dottrina, costituirebbe soltanto un giustificato motivo di opposizione per i creditori sociali, ai sensi dell’art. 2447 quater C.C..
Il secondo limite riguarda invece l’oggetto dell’affare per cui il patrimonio è costituito: infatti, oltre al predetto limite dottrinale al riguardo, la norma precisa come non possano costituirsi patrimoni destinati per l’esercizio di attività riservate in forza di leggi speciali. Si ritiene che tale limite sia posto a salvaguardia di attività ritenute particolarmente importanti dal legislatore: infatti, qualora non vi fosse questo limite, una società, pur non essendo in possesso dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio di una attività protetta, potrebbe esercitarla ugualmente attraverso la costituzione di un patrimonio destinato. Dalla ratio appena esposta risulta evidente come, sebbene il tenore letterale del limite abbia dato adito a dubbi in passato[13], tale norma sia volta a precludere, alle sole società non in possesso di un’idonea autorizzazione, l’esercizio di attività sensibili attraverso la costituzione di patrimoni destinati, lasciando impregiudicata tale facoltà per le società abilitate all’esercizio di tali attività come oggetto sociale[14].
6. La costituzione dei patrimoni destinati: elementi essenziali e incidentali
Dopo aver esaminato i limiti alla costituzione di patrimoni destinati operativi, è conveniente approfondire l’iter previsto dal Codice Civile per la loro costituzione.
A tal fine è opportuno precisare preliminarmente che, ai sensi dell’art. 2447 ter comma 2 C.C., la competenza a deliberare/determinare la costituzione di un patrimonio destinato è attribuita all’organo amministrativo, il quale, se collegiale, si esprimerà favorevolmente con almeno la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Tale attribuzione di competenza da parte del legislatore rispetta in pieno la ratio dei patrimoni destinati intesi come atto di gestione non diretto a modificare gli interessi dei soci.
Si precisa che tale competenza è derogabile statutariamente, per espressa previsione normativa, e può essere attribuita pertanto all’assemblea dei soci. Inoltre, una nota massima del Consiglio Notarile di Milano[15] ritiene che tale competenza possa addirittura essere delegata, dall’organo amministrativo, a uno o più amministratori o a un comitato esecutivo.
La delibera/determina dell’organo societario, competente, per legge o per statuto, alla costituzione dei patrimoni destinati, dovrà altresì essere verbalizzata in forma notarile, stante il richiamo effettuato dall’art. 2447 quater comma primo C.C. alle modalità previste all’art. 2436 C.C. Successivamente alla verbalizzazione, il pubblico ufficiale dovrà altresì procedere all’espletamento delle formalità pubblicitarie che saranno meglio illustrate al paragrafo 7 del presente articolo.
Una volta determinata la competenza a deliberare la costituzione di un patrimonio destinato e la relativa modalità di verbalizzazione, è necessario esaminare quale deve essere il contenuto essenziale e incidentale di un patrimonio destinato di tipo operativo.
Gli elementi essenziali affinché il patrimonio destinato operativo possa divenire efficace, con conseguente opponibilità dello stesso ai creditori generali della società, riguardano principalmente l’identificazione dell’oggetto della separazione e sono i seguenti:
- l’indicazione dell’affare al quale è destinato il patrimonio, ex 2447 ter comma 1 lettera A C.C., con la precisazione che il concetto di affare deve essere inteso come meglio indicato al paragrafo 4;
- l’indicazione dei beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio[16], ex 2447 ter comma 1 lettera B C.C.;
a tal proposito si ritiene pacificamente in dottrina[17] che non vi siano particolari preclusioni con riguardo ai beni passibili di essere ricompresi nel patrimonio destinato, purché siano funzionali alla realizzazione dell’affare.
- Il piano economico finanziario attestante la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare, le modalità e le regole con riguardo all’impiego del patrimonio nonché il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi, ex 2447 ter comma 1 lettera C C.C.. Detto piano sarà anche convenientemente allegato alla delibera di costituzione del patrimonio destinato[18];
- le regole di rendicontazione, ex 2447 ter comma 1 lettera G C.C.
Queste regole possono essere desunte dal disposto dell’art. 2447 septies C.C., il quale prevede, per i beni e i rapporti destinati all’affare, una indicazione separata nello stato patrimoniale della società. Ogni patrimonio destinato dovrà poi essere oggetto di un separato rendiconto, da predisporsi a cura degli amministratori, da allegarsi al bilancio di esercizio, mentre la nota integrativa assumerà valenza illustrativa con riguardo proprio a quanto ricompreso nel patrimonio destinato, anche come apporto di terzi, secondo le modalità infra precisate.
Oltre a questi elementi appena esaminati, essenziali per la produzione degli effetti segregativi dei patrimoni destinati, la delibera può comprenderne di ulteriori ed incidentali; questi non solo non sono indispensabili ma possono essere introdotti anche successivamente all’adozione della delibera, e sono:
- gli eventuali apporti di terzi e le relative modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai risultati dell’affare, ex 2447 ter comma 1 lettera D C.C.;
si precisa che la possibilità di apporto di beni o diritti, sempre funzionali al perseguimento dell’affare, esistenti e determinati, da parte di soggetti terzi nel patrimonio destinato costituisce una possibilità che altera la fattispecie tradizionale di patrimonio destinato, ex art. 2447 bis comma primo lettera A, e avvicina l’istituto derivante da tale modifica a quello del patrimonio destinato di tipo finanziario[19].
- L’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare corredata dalla specifica indicazione dei diritti da questi attribuiti, ex 2447 ter comma 1 lettera E C.C.;
gli strumenti finanziari citati, secondo la miglior dottrina[20], non potranno avere natura azionaria ma potranno essere assimilati a titoli di debito il cui rendimento sarà parametrato, in modo simile a quanto avviene nelle azioni correlate, ex art. 2350 comma 2 C.C., all’andamento dell’affare.
Diretta conseguenza dell’emissione degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare è la costituzione di un’assemblea dei titolari degli stessi, ai sensi dell’art. 2447 octies C.C., deputata a tutelare gli interessi dei titolari di tali strumenti finanziari. Tale assemblea nomina il rappresentante comune e l’una e l’altro opereranno in maniera analoga all’assemblea degli obbligazionisti e al loro rappresentante comune, rispettivamente ex artt. 2415 secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2416 e 2419 C.C., quanto alla prima, e artt. 2417 e 2418 C.C., quanto al secondo. Questa assemblea sarà chiamata a pronunciarsi nei casi indicati all’art. 2447 octies C.C. e, più precisamente, nelle situazioni che interessano i titolari di tali strumenti finanziari partecipativi, nella maggior parte dei casi, in quanto incidenti sui loro diritti.
- La nomina di un revisore legale o di una società di revisione legale per la revisione dei conti dell’affare ex 2447 ter comma 1 lettera F C.C.;
quest’ultimo elemento è considerato incidentale in quanto, qualora la società fosse già assoggettata alla revisione legale dei conti, potrebbe non essere preso in considerazione nelle operazioni deliberative sulla costituzione di un patrimonio destinato.
- Un bilancio aggiornato o una situazione patrimoniale aggiornata predisposta con i criteri richiesti per il bilancio di esercizio;
questo elemento non è espressamente richiesto dalla normativa in ambito di patrimoni destinati ma non può che ritenersi conveniente, anche a livello operativo, fondare la costituzione di un patrimonio destinato sulla risultanza oggettiva del rispetto del limite, riguardante il rapporto tra il valore dei patrimoni destinati e il patrimonio netto sociale, direttamente desumibile da tale documento.
- La eventuale previsione della responsabilità illimitata della società con riguardo alle obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare.
Si tratta di un elemento incidentale che può essere ricompreso nella delibera costitutiva del patrimonio destinato in forza del disposto dell’art. 2447 septies comma 4 C.C. Sebbene il legislatore preveda normativamente questa possibilità, non si può fare a meno di sottolineare come una simile previsione nella delibera costitutiva frusterebbe lo scopo intrinseco del patrimonio destinato[21].
7. Adempimenti successivi alla costituzione dei patrimoni destinati
Come si è avuto modo di accennare nel paragrafo precedente, dopo la verbalizzazione, a cura di un notaio, della delibera/determina di costituzione di un patrimonio destinato operativo, quest’ultima deve essere iscritta entro trenta giorni, a cura del pubblico ufficiale sopra indicato, verificato il rispetto delle condizioni di legge, presso il Registro delle Imprese competente, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 2436 e 2447 quater C.C.
Accanto a questa prima formalità se ne può affiancare una seconda qualora nel patrimonio destinato siano ricompresi beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri: in tal caso il pubblico ufficiale dovrà altresì provvedere alla trascrizione, con riguardo a tali beni, della destinazione allo specifico affare nei pubblici registri competenti, ai sensi dell’art. 2447 quinquies comma secondo C.C.
Le predette formalità rappresentano dei passaggi essenziali nell’iter di costituzione di un patrimonio destinato; infatti, proprio dall’iscrizione della delibera al Registro Imprese iniziano a decorrere i termini di opposizione previsti all’art. 2447 quater comma 2 C.C.
Nel termine di sessanta giorni dall’iscrizione della delibera, infatti, i creditori sociali anteriori all’iscrizione sono legittimati a fare opposizione, obbligando il Tribunale a pronunciarsi al riguardo, con la precisazione che quest’ultimo, ai sensi dell’art. 2447 quater comma 2 ultimo inciso C.C., ha sempre la possibilità di dare esecuzione alla deliberazione dietro prestazione di idonea garanzia da parte della società.
La possibilità di opposizione, concessa ai creditori sociali anteriori all’iscrizione della delibera, mira ad evitare che la costituzione di un patrimonio destinato possa distogliere beni societari, sui cui astrattamente tali creditori potrebbero rivalersi, compromettendo la loro possibilità di ottenere soddisfazione. Infatti, una volta decorso il termine senza opposizione o qualora la stessa sia rigettata, eccettuato il caso in cui nel patrimonio destinato rientrino beni immobili o mobili registrati, di cui si parlerà infra, i creditori sociali perderebbero, ai sensi dell’art. 2445 quinquies comma primo C.C., ogni diritto a far valere le loro ragioni sui beni ricompresi nel patrimonio destinato e sui frutti o proventi da esso derivanti[22]. Chiaramente, e come già esaminato, l’effetto di segregazione patrimoniale sarà bilaterale e opererà anche in favore della società e contro i creditori del patrimonio destinato. Questi non potranno infatti soddisfare le proprie ragioni sul patrimonio sociale ma soltanto sui beni destinati, ex art. 2447 quinquies comma tre C.C., a meno che, secondo l’ultimo inciso del predetto articolo, l’obbligazione, successiva alla costituzione del patrimonio destinato, derivi da fatto illecito, nel qual caso la società risponderebbe con il suo intero patrimonio[23].
Qualora invece nel patrimonio destinato siano compresi beni immobili o mobili registrati non sarà sufficiente, per impedire ai creditori sociali di soddisfarsi sui beni del patrimonio destinato, il decorso senza opposizione del termine di sessanta giorni o il rigetto dell’opposizione, ma occorrerà altresì, ai sensi dell’art. 2447 quinquies comma secondo C.C., la trascrizione, nei pubblici registri corrispondenti, della destinazione allo specifico affare di tali beni.
Una volta divenuta opponibile ai terzi la segregazione patrimoniale, a seguito del corretto adempimento delle formalità sopra indicate, è necessario che questa venga mantenuta e, a tal fine, la legge, all’art. 2447 quinquies comma quattro C.C., prescrive che ai i terzi che entrano in contatto con la società, relativamente all’attività di impresa cui è destinato il patrimonio, sia sempre garantita la conoscibilità della destinazione del patrimonio attraverso la espressa menzione dello stesso da riportarsi sui corrispondenti atti, qualora difetti una tale conoscibilità esterna del patrimonio destinato, la società risponderà delle obbligazioni assunte con il suo intero patrimonio.
8. Cessazione e liquidazione del patrimonio destinato
L’art. 2447 novies C.C. disciplina, in primo luogo, le cause di cessazione del patrimonio destinato operativo, classificandole implicitamente in legali e convenzionali. Tra le cause di cessazione legali, disciplinate al primo comma del predetto articolo, possono annoverarsi la realizzazione dell’affare, in osservanza con quanto esposto al paragrafo 4 sulla durata determinata dell’affare, e l’impossibilità di realizzazione dello stesso: in quest’ultima fattispecie la dottrina fa rientrare sia l’impossibilità giuridica sia quella materiale, ad esempio per le eccessive perdite subite[24]. La possibilità di inserire nella delibera costitutiva del patrimonio destinato delle cause di cessazione di natura volontaria è invece prevista all’art. 2447 novies comma 4 C.C.. È possibile ritenere che la società abbia ampia libertà nella previsione di tali cause ma che le stesse non possano comunque spingersi fino a determinare la cessazione del patrimonio destinato sulla base di una causa di natura potestativa.
Intervenuta una causa di cessazione del patrimonio destinato, e in ossequio ai principi già esaminati di rendicontazione separata, incardinati all’art. 2447 septies C.C., l’organo amministrativo provvederà, ex art. 2447 novies primo comma C.C., a predisporre un rendiconto finale. Si ritiene applicando, ove possibile, la disciplina sulla redazione del bilancio, che tale rendiconto dovrà essere depositato al Registro Imprese, pubblicizzando così nei confronti dei terzi la cessazione del patrimonio destinato, corredato dalla relazione dell’organo di controllo nonché di quella dell’organo incaricato alla revisione legale dei conti.
È necessario precisare che non necessariamente vi sarà perfetta coincidenza tra il momento di cessazione del patrimonio destinato e quello di cessazione della segregazione patrimoniale, motivo per il quale la dottrina[25] dubita della relativa efficacia della pubblicità del rendiconto finale di cui sopra[26]. La conferma della non necessaria coincidenza tra i due momenti sopra indicati è desumibile dal disposto dell’art. 2447 novies comma 3 C.C., dove si dice che, anche a seguito della cessazione del patrimonio destinato, sono fatti salvi i diritti dei creditori, ex art. 2447 quinquies C.C., sui beni e diritti rientranti in quest’ultimo.
Alla fase di cessazione del patrimonio destinato può seguire una fase di liquidazione, disciplinata all’art. 2447 novies comma 2 C.C., volta a soddisfare i creditori del patrimonio destinato con i beni dello stesso, in accordo con il principio esposto al capoverso precedente dell’ultrattività della segregazione patrimoniale. Tale fase può essere avviata su iniziativa dei creditori a mezzo di raccomandata inviata alla società entro il termine di novanta giorni decorrenti dal deposito del rendiconto finale presso il Registro delle Imprese.
9. Patrimoni destinati e fallimento
Dopo aver affrontato la disciplina della cessazione e liquidazione del patrimonio destinato operativo, in condizioni ordinarie, è opportuno indagare le conseguenze per quest’ultimo in caso di declaratoria di fallimento della società.
Preliminarmente occorre osservare che il fatto che il patrimonio destinato costituisca uno strumento operativo separato rispetto al patrimonio della società impedisce che quest’ultimo possa autonomamente essere sottoposto al fallimento, rendendolo passibile soltanto di liquidazione[27]. Quanto detto non esclude però che, qualora sia la società a fallire, anche per il patrimonio destinato interverrà una disciplina ad hoc: infatti, gli articoli 155 e 156 della Legge Fallimentare[28] disciplinano proprio questa ipotesi prevedendo, qualora il patrimonio destinato sia capiente, che:
- la gestione del patrimonio destinato operativo passi dall’organo amministrativo della società al curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 155 comma 1 L.F.;
- il curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 155 comma 2 L.F., debba tentare la cessione del patrimonio destinato, con le modalità di cui all’art. 107 L.F., conservandone la funzione produttiva o, in subordine, qualora ciò non sia possibile, procedere alla liquidazione dello stesso secondo le norme per la liquidazione della società, in quanto compatibili;
- ai sensi dell’art. 155 comma 3 L.F., il residuo attivo della cessione, al netto dei debiti del patrimonio, o l’attivo di liquidazione siano acquisiti all’attivo fallimentare[29].
Queste modalità operative sono dettate per assicurare, in presenza di un patrimonio destinato attivo, un equo realizzo con la dismissione dello stesso, preferibilmente mantenendone la funzionalità. Qualora invece il patrimonio destinato presenti una situazione passiva si dovrà procedere come segue:
- la gestione del patrimonio destinato operativo passerà sempre dall’organo amministrativo della società al curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 155 comma 1 L.F.;
- il curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 156 comma 1 L.F., rilevata l’incapienza del patrimonio e previa autorizzazione del giudice delegato, procederà alla liquidazione del patrimonio con le modalità previste per la liquidazione delle società;
- qualora in questa fase vi siano creditori del patrimonio destinato a cui si applicano le disposizioni dell’art. 2447 quinquies commi terzo e quarto C.C., questi potranno, ai sensi dell’art. 156 comma 2 L.F. domandare l’insinuazione al passivo della società;
- infine, ai sensi dell’art. 156 comma 3 L.F., qualora il curatore fallimentare ravvisasse violazioni nelle regole di separatezza tra il patrimonio sociale e il patrimonio destinato potrebbe agire in responsabilità, ex 146 L.F., nei confronti dell’organo amministrativo e di quello di controllo.
Una volta esaurita la trattazione riguardante l’iter post declaratoria di fallimento con riguardo ai patrimoni destinati, è opportuno esaminare la revocatoria fallimentare, ex art. 67 bis L.F., in quanto rappresenta un altro specifico istituto posto a tutela dei creditori sociali lesi da operazioni endosocietarie successive alla costituzione del patrimonio destinato. Attraverso tale istituto è possibile revocare gli atti compiuti dalla società in pregiudizio del proprio patrimonio sociale e a favore del patrimonio destinato, facendo conseguentemente rientrare tali valori nel patrimonio del fallimento.
10. Conclusioni
In base a quanto si è esposto con riguardo all’argomento de quo, appare evidente come il legislatore, nell’introdurre l’istituto dei patrimoni destinati, avesse pensato ad uno strumento dirompente e innovativo, in considerazione all’epoca in cui è stato concepito, destinato a rappresentare non solo un’alternativa alla prolifica costituzione di società unipersonali ma anche un incentivo alla crescita delle società di capitali italiane, troppo spesse incatenate agli angusti limiti della piccola media impresa, attraverso la diversificazione degli investimenti e dei rischi. I patrimoni destinati, e in particolar modo quelli finanziari, avrebbero potuto così rappresentare un valido strumento adottato dalla Spa per finanziare la propria attività.
Ad oggi, dopo sedici anni dall’introduzione di questo strumento operativo, è possibile osservare come tale istituto abbia riscosso nel nostro Paese un successo di gran lunga inferiore rispetto a quello riscosso da strumenti ad esso assimilabili in altri Paesi del panorama europeo. I patrimoni destinati hanno visto quindi parzialmente frustrato il proprio scopo, in quanto sono finiti per essere utilizzati dalle società di maggiori dimensioni, magari dotate di profili di internazionalità, mentre sono passati in sordina per quelle di cui avrebbero dovuto agevolare lo sviluppo. La recente possibilità offerta agli Enti del Terzo settore di costituire patrimoni destinati potrebbe aprire nuovo sbocchi per tale istituto, ma è ancora troppo presto per valutare l’incidenza di tale novità sul panorama societario italiano.
[1] Per una più approfondita disamina sui soggetti legittimati alla costituzione dei patrimoni destinati si invita a consultare il paragrafo 2 del presente articolo;
[2] A. Ferrucci-C. Ferrentino, “Società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici”, seconda edizione tomo I, Milano 2012, 1302;
[3] A. Ruotolo, “La costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare da parte degli enti del Terzo settore”, Studio n. 102-2018/I, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 19 aprile 2018;
[4] A. Ruotolo, op. cit., 11-12-13;
[5] G. F. Campobasso, “Manuale di diritto commerciale”, Torino 2003, 179; G. Pescatore, “La funzione di garanzia dei patrimoni destinati”, Milano 2008, 151; contra: D. Santosuosso, “La riforma del diritto societario”, Milano 2003, 182; A. Giannelli, “Art. 2447/II, in Società di capitali”, AA. VV. a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, tomo secondo, Napoli 2004,1220, per i quali la definizione di affare dovrebbe essere circoscritta al compimento di una singola operazione o di più operazioni, senza che possa classificarsi come attività d’impresa;
[6] G. Bozza, in M. Bertuzzi-G. Bozza-G. Sciumbata “Patrimoni destinati, partecipazioni statali, S.A.A., in La riforma del diritto societario”, a cura di G. Lo Cascio, Milano 2003, 9 ss; G. Pescatore, op. cit., Milano 2008, 151; contra: G. Guizzi, “Patrimoni separati e gruppi di società (articolazione dell’impresa e segmentazione del rischio: due tecniche a confronto), in Rivista di diritto commerciale”, 2003, 646;
[7] G. E.Colombo, “La disciplina contabile dei patrimoni destinati, in Banca Borsa e Titoli di credito”, 2001, 31; A. Caiafa, “Nuovo diritto delle procedure concorsuali”, Padova 2006, 158; A. Ferrucci-C. Ferrentino, op. cit., 1301;
[8] Per espressa previsione normativa i patrimoni destinati finanziari non sono soggiacciono a tali limiti;
[9] M. Bianca, “Commento agli artt. 2447 bis-2447 decies, in Commentario breve al Codice Civile” diretto da G. Cian e A. Trabucchi, a cura di G. Cian, Padova 2018, 2983;
[10] M. Bianca, op. cit., 2983; G. F. Campobasso, “Diritto commerciale 2, Diritto delle società”, Torino 2015, 174; i quali ritengono, così come ormai la dottrina ormai praticamente unanime, che il rispetto di tale limite debba essere vagliato solo al momento di costituzione del patrimonio destinato, rimanendo indifferenti alla vicenda eventuali successive variazioni riguardanti il patrimonio sociale;
[11] F. La Rosa, “Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare. “Ottica destinazione” e “ottica separazione”: analisi delle prospettive di sviluppo e dei profili di rischio connessi ai nuovi strumenti di “federalismo” patrimoniale e finanziario”, Milano 2007, 18-19;
[12] Cfr. A. Cotto-M. Meoli-F. Tosco- R. Vitale, “Società”, Milano 2013, 1491-1492;
[13] Parte della dottrina, tra cui si annovera G. Bozza, op. cit., 28, riteneva che il limite in oggetto fosse assoluto e, pertanto, applicabile indistintamente sia a società in possesso dell’autorizzazione ad esercitare un’attività riservata sia a quelle che ne fossero prive;
[14] Così F. La Rosa, op. cit., 37;
[15] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 50, “Delega per la costituzione di patrimoni destinati” (art.2447 bis, lettera a, C.C.)”, 19 novembre 2004;
[16] Qualora si tratti di beni immobili o di beni mobili registrati questi dovranno essere indicati con modalità idonee a permettere la trascrizione della destinazione negli appositi registri ai sensi dell’art. 2447 quinquies comma 2 C.C.;
[17] M. Bianca, op. cit., 2984;
[18] Così G. F. Campobasso, op. cit., 174;
[19] La comunanza non è tuttavia integrale in quanto nel patrimonio destinato operativo con apporto di terzo, quest’ultimo soggetto non partecipa attivamente alla gestione ma può solo controllarla e far propri gli utili o subire le perdite in modo non dissimile da quanto avverrebbe in una situazione di associazione in partecipazione ex art. 2549 C.C.; mentre, nel patrimonio separato di tipo finanziario, i finanziatori parteciperebbero direttamente della gestione; così M. Bianca; op. cit., 2985;
[20] M. Bianca, op. cit., 2985-2986 e gli autori ivi citati;
[21] Qualora tale previsione venga inserita nella delibera, in forza dell’art. 2447 septies comma 4 C.C., è prevista la menzione di tale forma di responsabilità in calce allo stato patrimoniale. Questa forma di responsabilità assunta dalla società dovrà altresì, in forza dell’articolo sopra citato, formare oggetto di valutazione secondo i criteri da illustrare in nota integrativa;
[22] Come precisa la norma in esame, tale esclusione non vige per i frutti o i proventi derivanti dal patrimonio destinato e di spettanza della società;
[23] Si tratta di una distinzione tra creditori volontari e involontari sviluppata nell’ordinamento americano e che il nostro legislatore ha deciso di introdurre nella disciplina dei patrimoni separati con la finalità di tutelare al meglio i creditori derivanti da fatto illecito, non facendo gravare su di loro il frazionamento del rischio di impresa, così M. Bianca, op. cit., 2989;
[24] Così M. Bianca, op. cit., 2994-2995;
[25] B. Inzitari, “I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Le società”, Anno XXII, n. 2-bis/2003, Milano 2003, 310; C. Ibba, “La pubblicità del patrimonio destinato, in Giurisprudenza commerciale”, I 2007, 729;
[26] Per C. Ibba, op. cit., 729, si renderebbe necessaria una seconda forma di pubblicità al Registro Imprese una volta venuto meno il vincolo di destinazione originato dal patrimonio destinato;
[27] L’inapplicabilità della disciplina fallimentare con riguardo al patrimonio destinato è riconducibile al tenore letterale degli articoli 2447 novies comma secondo ultimo inciso C.C. e 156 Legge Fallimentare, proprio in quest’ultimo si specifica che nei casi di incapienza del patrimonio destinato saranno applicabili esclusivamente le norme dettate in tema di liquidazione delle società, così: G.F. Campobasso, op. cit., 177;
[28] D’ora in avanti L.F.;
[29] Ai sensi del medesimo articolo, dovrà essere detratto dal corrispettivo o dall’attivo di liquidazione anche quanto spettante ai terzi in seguito agli apporti da questi ultimi effettuati;