La tutela dei creditori rappresenta un tema molto sentito nel nostro ordinamento giuridico – non a caso essa è espressione del principio della responsabilità patrimoniale previsto dall’art. 2740 c.c. (Libro Sesto rubricato “Della tutela dei diritti”) – ed interessa, dunque, trasversalmente ogni settore del diritto, compresa la materia successoria.
Il legislatore, infatti, ha da sempre avvertito l’esigenza, anche in virtù del principio di certezza del diritto che governa il nostro sistema, di garantire la sussistenza di strumenti adeguati alla tutela delle posizioni creditorie. E laddove il legislatore si è mostrato in qualche modo carente è, poi, intervenuta la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, a colmare le lacune esistenti: quest’ultima, mediante l’applicazione in via analogica di mezzi di tutela già presenti nel nostro ordinamento, ha, di fatto, arricchito e ampliato la gamma dei mezzi predisposti a tutela dei creditori[1].
Se è vero che il principio di responsabilità patrimoniale trova il suo terreno più fertile in materia di obbligazioni e contratti, non di minore importanza certamente risulta essere il riscontro che il medesimo principio ha in ambito successorio.
È, dunque, significativo prendere in esame una recente sentenza del Tribunale di Brescia, la quale offre interessanti spunti di riflessione sulla tutela dei creditori nell’ipotesi di rinuncia all’asse ereditario, con particolare attenzione alla differenza esistente tra l’ipotesi di rinuncia all’eredità da parte del chiamato e l’ipotesi di rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario pretermesso dalla successione ereditaria in forza di testamento olografo (Tribunale Brescia, Sezione 3 civile Sentenza 26 gennaio 2018, n. 270)[2].
Il caso in esame
Nel 2016 decedeva Tizia, la quale con testamento olografo nominava eredi universali i nipoti Caio e Sempronio. Caia e Sempronia, uniche figlie di Tizia e madri rispettivamente di Caio e Sempronio, prestavano acquiescenza alle disposizioni testamentarie, rinunciando all’azione di riduzione e ad ogni altra azione inerente il testamento olografo. Con atto di citazione notificato in data 01.03.2017 la società Alfa S.p.a., creditrice della Beta s.n.c. per un mutuo concesso nel 2007, conveniva in giudizio Caia, la quale al momento della concessione del mutuo, aveva prestato, insieme ad altri soci della Beta s.n.c., una fideiussione omnibus a garanzia del credito di Alfa S.p.a. Quest’ultima chiedeva, pertanto, al Tribunale adìto di essere autorizzata ad accettare l’eredità (piuttosto consistente) di Tizia in nome e luogo della rinunziante Caia.
Appare evidente, dalla breve esposizione dei fatti, la complessità dei profili giuridici sottesi al caso in esame. In primo luogo occorre evidenziare la differenza tra la posizione giuridica di chiamato all’eredità e quella di legittimario pretermesso; poi è opportuno chiedersi se entrambi possono rinunciare all’eredità e gli effetti conseguenti a tale scelta; infine è necessario analizzare la distinzione tra rinuncia all’eredità e rinuncia all’azione di riduzione (a seguito di acquiescenza alle disposizioni testamentarie del de cuius).
Da ultimo ci si soffermerà sugli strumenti di tutela a disposizione dei creditori sia nei confronti del chiamato all’eredità che rinuncia all’asse ereditario sia nei confronti del legittimario pretermesso che rinuncia all’azione di riduzione. Di tali aspetti ci si occuperà, seppur brevemente, nei paragrafi successivi.
Chiamato all’eredità e legittimario pretermesso: differenze
L’articolo 456 del codice civile stabilisce che “la successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto”. La successione è un procedimento complesso, formato da varie fasi susseguenti collegate tra di loro (apertura della successione, vocazione, delazione e acquisto dell’eredità).
La vocazione rappresenta la designazione, fatta per legge o per testamento, del soggetto o dei soggetti che dovranno succedere al de cuius, mentre la delazione è l’offerta al soggetto che succede (vocato) delle situazioni giuridiche attive e passive facenti capo al de cuius. Generalmente i due momenti coincidono, ma ci sono situazioni in cui la vocazione è immediata mentre la delazione è differita (ad esempio legittimario pretermesso che esperisce vittoriosamente l’azione di riduzione, di cui si dirà infra). Il delato, dunque, è il chiamato all’eredità ed ha una serie di poteri tra cui quello di accettare o rinunciare all’eredità – a differenza del vocato che non ha ancora tale potere.
Ipotesi diversa è quella del legittimario pretermesso. Coerentemente con i principi costituzionali posti a tutela della famiglia, il nostro ordinamento giuridico riconosce delle categorie di successibili, definiti legittimari – coniuge, figli ed ascendenti ai sensi dell’articolo 536 del codice civile – i quali hanno diritto ad una quota del patrimonio ereditario, chiamata legittima o riserva, di cui il de cuius non può disporre liberamente (o meglio non potrebbe).
Può verificarsi tuttavia l’ipotesi in cui il de cuius leda il diritto dei legittimari, come nel caso in esame, distribuendo con testamento tutto il suo patrimonio, mediante disposizioni a titolo universale o particolare: si parla in questo caso di legittimario pretermesso. Il legittimario pretermesso non è chiamato all’eredità: egli acquista la qualità di chiamato all’eredità (con conseguente potere di accettare o rinunciare) solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in sé non nulle né annullabili[3].
Rinuncia all’eredità: disciplina generale.
La rinuncia all’eredità è disciplinata dagli articoli 519 e seguenti del codice civile. Essa è un negozio giuridico unilaterale, avente ad oggetto il diritto di accettare l’eredità, diritto che sorge in modo automatico in favore del chiamato (delato) contestualmente all’apertura della successione[4]. La rinuncia all’eredità deve essere fatta in forma solenne, con dichiarazione resa dinanzi al notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione[5]: ogni altra forma utilizzata per manifestare la volontà di rinunciare all’eredità comporta la nullità della rinuncia medesima e di conseguenza, sulla base di tale assunto, non è configurabile nel nostro ordinamento l’ipotesi di rinuncia tacita desumibile da comportamenti concludenti. Ai sensi dell’art. 520 del codice civile, inoltre, la rinuncia all’eredità è nulla se fatta sotto condizione o a termine o solo per parte: chi rinuncia all’eredità rinuncia per l’intero, non acquista la qualità di erede ed è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Possono rinunciare all’eredità solo i chiamati alla successione, ossia i soggetti designati per legge o per testamento che dovranno succedere al de cuius.
Rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario pretermesso.
Il legittimario pretermesso non è chiamato all’eredità e pertanto non ha il potere di rinunciarvi. Infatti, egli non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius[6], ma acquista tale qualità solo all’esito della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione[7].
La funzione dell’azione di riduzione consiste nel rendere inefficaci nei confronti del legittimario le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive dei suoi diritti di legittima. È un’azione di accertamento costitutivo poiché accerta l’esistenza della lesione e da ciò deriva automaticamente la modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario[8].
Ne consegue che la rinuncia all’eredità da parte del legittimario pretermesso è priva di ogni effetto, non essendovi alcuna quota ereditaria che resti non acquisita a seguito della rinuncia stessa, poiché a favore del legittimario pretermesso non sussiste alcuna delazione. Il legittimario pretermesso può, però, rinunciare all’esperimento dell’azione di riduzione: può, cioè, rinunciare alla possibilità di acquisire la qualità di chiamato.
Tutela dei creditori: la decisione del Tribunale di Brescia (sentenza n. 270 del 26 gennaio 2018)
L’articolo 524 del codice civile al primo comma dispone che “Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.
Secondo l’impostazione prevalente in letteratura, sebbene rubricata “impugnazione della rinunzia da parte dei creditori”, la norma attribuisce al creditore del chiamato all’eredità il diritto di surrogarsi a quest’ultimo nell’esercizio del diritto ad accettare l’eredità. Si tratterebbe di una peculiare figura di azione surrogatoria che, in deroga al regime generale di cui all’articolo 2900 del codice civile, ha quale oggetto un diritto personale del debitore.
Secondo la giurisprudenza, invece, l’azione esercitata dal creditore ai sensi dell’articolo 524 del codice civile, per essere autorizzato ad accettare l’eredità in nome ed in luogo del debitore rinunciante, ha una funzione strumentale per il soddisfacimento del credito, in quanto mira a rendere inopponibile al creditore la rinuncia e a consentirgli d’agire sul patrimonio ereditario; tale azione ha quindi natura recuperatoria, poiché permette al creditore di soddisfarsi sui beni ereditari che, per il chiamato all’eredità, si sono ormai perduti in conseguenza della sua rinuncia[9].
Gli elementi costitutivi della fattispecie sono dunque: la rinuncia del debitore alla eredità, la qualità di creditore del rinunciante, il danno per il creditore.
Non si dubita sull’applicazione della tutela prevista dall’articolo 524 del codice civile nell’ipotesi di chiamato che rinuncia all’eredità, laddove sussistano gli ulteriori elementi costitutivi.
Discorso ben diverso invece, alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, è quello riguardante il legittimario pretermesso. Invero, nel caso in esame, Caia ha dichiarato di prestare acquiescenza alle disposizioni testamentarie, rinunciando all’azione di riduzione ovvero ad ogni altra azione inerente al testamento olografo redatto dalla madre. Essa rinuncia all’azione di riduzione, non già all’eredità (né avrebbe potuto farlo mancando una delazione attuale).
La rinuncia all’eredità, precludendo l’acquisto dell’eredità in favore del chiamato, costituisce il necessario presupposto logico – giuridico per l’esperibilità dell’azione ex articolo 524 del codice civile, occorrendo che, per effetto di essa, si verifichi un pregiudizio dei diritti del creditore del rinunciante. È dunque evidente che, nel caso di specie, non può trovare applicazione analogica l’articolo 524 del codice civile, posto che la rinuncia da parte dell’erede e la rinuncia da parte del legittimario pretermesso non sono fattispecie simili tra loro ma radicalmente diverse, non potendo quest’ultimo essere qualificato come chiamato all’eredità.
Di fronte alla rinuncia all’azione di riduzione, il creditore del legittimario pretermesso non è tuttavia sfornito di tutela: il creditore può surrogarsi nell’accettazione dell’eredità, in nome e in luogo del suo debitore, se prima rende inefficace la rinuncia all’azione di riduzione posta in essere dal debitore stesso, in qualità di legittimario totalmente pretermesso. La previa e vittoriosa impugnazione della rinuncia all’azione di riduzione, che elimina l’efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei diritti del legittimario pretermesso, consente poi al creditore di surrogarsi al chiamato all’eredità e accettare in nome e in luogo del predetto[10].
Alla luce di quanto sin qui esposto, il Tribunale di Brescia ha, dunque, rigettato l’istanza della Alfa S.p.a. di essere autorizzata ad accettare l’eredità in luogo di Caia, essendo quest’ultima legittimaria totalmente pretermessa.
[1] Cfr. A. CHIANALE, Garanzie reali e personali, Giappichelli Editore, 2018 – “Quando si parla di responsabilità patrimoniale si parla anche di garanzia patrimoniale o generica, indicandosi, con quest’ultimo termine, che tutti i beni compresi nel patrimonio del debitore costituiscono una generica garanzia del credito. In questo senso si parla del patrimonio del debitore come oggetto della garanzia generica di cui occorre assicurare la conservazione nell’interesse del creditore. Significa cioè che il creditore non ha un diritto particolare su un bene specifico, bensì ha un diritto a procedere mediante esecuzione forzata su qualsiasi bene pignorabile che rientri nel patrimonio del debitore”.
[2] Cfr. Tribunale Brescia, Sezione 3 civile Sentenza 26 gennaio 2018, n. 270, Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24.
[3] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 368 del 13 gennaio 2010.
[4] Sulla natura giuridica della rinuncia all’eredità si sono susseguite teorie contrapposte: la dottrina e la giurisprudenza meno recenti sostenevano che la rinuncia fosse un vero e proprio rifiuto impeditivo, con la conseguenza non di dismettere i beni ereditari entrati nel patrimonio del rinunciante, ma di impedirne l’ingresso (Cfr. Corte di Cassazione n. 2394 del 10 agosto 1974). La dottrina più recente, invece, considera la rinuncia all’eredità come una rinuncia abdicativa, nel senso che il chiamato dismette il diritto (già entrato nella sua disponibilità) di accettare l’eredità (Cfr. G. Capozzi, Successioni e donazioni a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Giuffrè Editore, pag. 310 e ss.).
[5] Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che la rinuncia all’eredità non può essere fatta con scrittura autenticata, pena la nullità della rinuncia stessa, in quanto l’indicazione dell’art. 519 del codice civile rientra tra le previsioni legali di forma ad substantiam di cui all’articolo 1350 n. 13 del codice civile (Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 4274 del 20 febbraio 2013).
[6] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 12632 del 9.12.1995; Corte di Cassazione sentenza n. 10775 del 3.12.1996.
[7] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 251 del 12.1.1999; Corte di Cassazione sentenza n. 19527 del 7.10.2005; Corte di Cassazione n. 13804 del 15.6.2006.
[8] Cfr. G. Capozzi, Successioni e donazioni a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Giuffrè Editore, pag. 530 e ss.
[9] Cfr. Corte di Cassazione civile, sez. II, 29 luglio 2008, n. 20562.
[10] Cfr. Corte di Cassazione civile, sez. II, 22 febbraio 2016, n. 3389.