Art. 2901 c.c.
“Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione”.
1. Inquadramento generale dell’istituto
L’azione revocatoria ordinaria è collocata tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, disciplinati nella parte del codice civile dedicata alla tutela dei diritti, il libro VI: essi sono l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria ed il sequestro conservativo, il cui scopo comune è quello di consentire al creditore di tutelarsi nei casi di inerzia o di atti dispositivi pregiudizievoli del debitore.
L’istituto in esame si distingue sia da quella penale di cui all’art. 193 c.p. che da quella fallimentare, che viene esercitata dal curatore per la revoca degli atti dispositivi compiuti dall’imprenditore prima del fallimento. La sua ratio è quella di tutelare i diritti dei creditori, fornendo loro la possibilità, a determinate condizioni, di domandare l’inefficacia nei loro confronti di atti di disposizione del patrimonio con i quali i debitori abbiano generato pregiudizio alle loro ragioni.
Come noto, invero, il debitore “risponde dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”[1]: ciò significa che i beni stessi vengono a trovarsi in una condizione, sia pure potenziale, di soggezione, che costituisce il presupposto dell’azione esecutiva.
Non è praticabile la via di un indistinto divieto per il debitore di compiere atti di disposizione del proprio patrimonio: stabilisce la norma succitata, però, che, nel caso in cui un atto dispositivo rechi pregiudizio alle ragioni del creditore o semplicemente le metta in pericolo, questi ha il diritto di chiedere che tale atto venga dichiarato inefficace “nei suoi confronti” e, una volta ottenuta tale dichiarazione, promuovere “nei confronti dei terzi acquirenti, le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato”.
Il fine dell’azione revocatoria è essenzialmente conservativo e cautelare, nonché strumentale alla successiva ed eventuale esecuzione forzata ex art. 602 c.p.c. Essa è, inoltre, meramente processuale, poiché non mira a soddisfare direttamente il diritto del creditore, ma si pone come strumento finalizzato a rendere possibile tale soddisfacimento.
In effetti, una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia, il bene oggetto dell’atto impugnato deve considerarsi, nei confronti del creditore, come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore: la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria ha come conseguenza quella di consentire al creditore di espropriare i beni alienati a terzi dal suo debitore, pur rimanendo questi nella disponibilità dei terzi medesimi (almeno fino alla vendita coattiva, sul ricavato della quale il creditore potrà soddisfarsi).
Ancora, l’azione de qua opera unicamente a favore del creditore che l’abbia esercitata con successo; gli altri creditori non possono profittarsene, ma devono cautelarsi in maniera autonoma, o esercitando a loro volta l’azione revocatoria o, quanto meno, intervenendo nel procedimento da altri promosso, di modo che l’atto venga dichiarato inefficace anche nei loro confronti.
2. Presupposti dell’azione revocatoria
Ai fini della proposizione dell’azione revocatoria ordinaria è necessario che l’attore sia creditore del soggetto che ha posto in essere l’atto revocando.
Il creditore che intenda esercitarla ha l’onere di provare la sussistenza dei seguenti presupposti:
- diritto di credito verso il debitore;
- atto dispositivo del debitore;
- pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni);
- conoscenza che il debitore aveva di detto pregiudizio (c.d. consilium fraudis);
- consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso (c.d. scientia damni o scientia fraudis).
Vediamo i succitati presupposti nel dettaglio.
2.1 La sussistenza del credito
Per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria è sufficiente la titolarità, in capo all’attore, di una ragione di credito, senza alcuna necessità che esso sia certo, liquido (ossia determinato nel suo ammontare), esigibile o preliminarmente accertato in sede giudiziaria[2].
L’art. 2901 c.c. ha, invero, accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, sicché anche il credito eventuale[3], pure nella veste di credito litigioso[4], è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgenza della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore.
Una nozione così lata di credito non rappresenta, comunque, una minorata tutela per il debitore soggetto a revocatoria, dal momento che la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore non costituisce titolo sufficiente per procedere all’esecuzione nei confronti del terzo acquirente: a tal fine, è necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del credito, che può procurarsi soltanto in una causa o con una domanda ad hoc e non in quella concernente esclusivamente la revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è, di norma, meramente incidentale[5].
Leggi anche: Azione revocatoria in presenza di un credito litigioso
Poiché l’esistenza del credito è elemento costitutivo della fattispecie revocatoria, incombe sull’attore l’onere di darne dimostrazione, e ciò attraverso tutti i mezzi di prova, giudiziali e stragiudiziali, a sua disposizione.
2.2 L’atto dispositivo del patrimonio del debitore
In base alla norma in esame, l’azione revocatoria ordinaria riguarda “gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle ragioni del creditore”.
Tale pregiudizio, il c.d. eventus damni (v. infra), si palesa come il pericolo che il patrimonio del debitore non sia capiente rispetto all’entità del credito, tenuto conto dell’esistenza di tutti gli ulteriori debiti e delle eventuali garanzie prestate[6].
L’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, non anche la garanzia specifica. Di conseguenza, per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni, non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, cagionando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell’incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione coattiva del medesimo[7].
In ogni caso, non basta l’eventualità meramente astratta dell’impossibilità di far fronte al debito: è necessaria la concreta ed attuale possibilità (la probabilità o il pericolo) che il patrimonio del debitore sia insufficiente, pur non dovendo necessariamente verificarsi una totale compromissione della consistenza patrimoniale debitoria e bastando che la soddisfazione del credito sia, a causa dell’atto compiuto, più incerta o difficile.
L’onere di provare l’insussistenza di tale situazione incombe sul debitore convenuto[8].
Alla luce di quanto esposto, si ricorda che l’azione revocatoria investe soltanto quegli atti di disposizione del patrimonio il cui risultato economico si traduca in un pregiudizio per il creditore[9].
Gli atti revocabili
Nella categoria degli atti revocabili rientrano:
- gli atti traslativi, ossia quelli che sottraggono il bene all’esecuzione;
- gli atti che creano una ragione di preferenza rispetto al creditore;
- l’assunzione di obbligazioni che provochino una diminuzione della garanzia;
- l’assunzione di diritti di prelazione;
- la costituzione di diritti reali a favore di terzi.
È necessario, poi, che l’atto dispositivo consista in una manifestazione di volontà negoziale esplicita: deve trattarsi, quindi, di negozi giuridici veri a propri, con esclusione dei meri atti giuridici (gli atti materiali, coi quali, ad esempio, si distrugga il bene, ed i comportamenti omissivi).
Gli atti revocabili, ancora, possono essere:
- a titolo gratuito (come le donazioni dirette o indirette);
- a titolo oneroso[10].
Sono, poi, revocabili gli atti tra vivi, a differenza di quelli di disposizione mortis causa e aventi ad oggetto beni impignorabili, irrevocabili.
Ancora, soggetti a revoca sono:
- gli atti costitutivi di garanzie reali (pegni ed ipoteche), che comportino la prelazione a favore del creditore garantito con sottrazione del bene gravato da garanzia reale alle aspettative degli altri creditori;
- la costituzione di un fondo patrimoniale[11], astrattamente idoneo a creare pregiudizio alle ragioni del creditore;
- gli atti costitutivi di garanzie reali (pegni ed ipoteche), che comportino la prelazione a favore del creditore garantito con sottrazione del bene gravato da garanzia reale alle aspettative degli altri creditori;
- l’atto di divisione della cosa comune, dal momento che si assegna al debitore condividente una quota di beni più difficilmente perseguibile dal creditore;
- il conferimento di beni da parte del debitore in società, poiché, per esempio, la sostituzione di un bene immobile con una partecipazione societaria integra una modificazione peggiorativa per il soddisfacimento delle ragioni creditorie;
- gli atti costitutivi di garanzia reale strumentali all’adempimento di debiti scaduti, dal momento che le garanzie prestate per un debito scaduto non condividono la sorte del relativo pagamento[12].
Il pagamento di un debito scaduto non è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 2901 c.c.: la passività, invero, già gravava sul patrimonio del debitore[13], secondo il principio generale che si ricava dal terzo comma dell’art. 2901 c.c., in forza del quale non è soggetto a revoca il pagamento di un debito scaduto poiché trattasi di comportamento a cui il debitore è tenuto, quindi non arbitrario.
2.3 L’eventus damni
Altro presupposto dell’azione revocatoria è, come sopra accennato, che l’atto del debitore rechi pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni). Tale pregiudizio può essere sia attuale che potenziale e sussiste non solo quando l’atto compiuto dal debitore comporti una diminuzione reale ed effettiva del suo patrimonio, ma anche quando si profili il mero pericolo di siffatta diminuzione o la limitazione della possibilità per il creditore di ottenere coattivamente la soddisfazione delle proprie ragioni.
Anche tale presupposto va provato dal creditore, che può dimostrarne l’esistenza con ogni mezzo in grado di convincere il Giudice. Di conseguenza, è onere del debitore, per ottenere il rigetto della domanda di revocatoria, provare che il suo patrimonio residuo è tale da soddisfare completamente le ragioni creditorie.
L’eventus damni deve essere stimato come esistente nel momento in cui viene posto in essere l’atto dispositivo del patrimonio debitorio e deve sussistere anche quando l’azione venga proposta: non si può, invero, sulla base di un’incapienza manifestatasi successivamente, criticare un atto che, al tempo in cui veniva posto in essere, non si manifestava come pericoloso.
2.4 Il consilium fraudis del debitore e la scientia damni o scientia fraudis del terzo acquirente
Ai fini della revoca di un atto dispositivo del patrimonio debitorio è necessario non solo che esso, come sopra esposto, cagioni un pregiudizio, ma pure che sia compiuto dal debitore con la coscienza della sua dannosità per i creditori.
Tale particolare situazione psicologica è il c.d. consilium fraudis, che si atteggia diversamente a seconda che l’atto de quo sia posto in essere posteriormente o anteriormente al sorgere del credito.
In effetti, in relazione ad un atto posteriore al sorgere del credito, il consilium fraudis viene individuato nella conoscenza del pregiudizio arrecato: basta, cioè, che il debitore sia consapevole che, col suo agire, sta riducendo la garanzia patrimoniale, sotto l’aspetto qualitativo o quantitativo, in danno ai creditori nel complesso considerati[14]. In relazione, invece, ad un atto anteriore al sorgere del credito, il presupposto soggettivo viene individuato nella dolosa preordinazione finalizzata specificamente al pregiudizio del soddisfacimento del creditore: occorre, cioè, dimostrare l’intenzione dell’autore dell’atto di contrarre debiti e precostituirsi, in tal modo, l’incapacità del suo patrimonio a ripagarli[15].
Per stabilire se l’atto dispositivo sia posteriore o anteriore e, quindi, se sia sufficiente la conoscenza del pregiudizio o serva la dolosa preordinazione, occorre far riferimento alla data in cui il credito è sorto e non a quella della sua scadenza.
Problematica può, poi, risultare la prova dell’atteggiamento soggettivo del debitore, motivo per cui, al fine di dimostrare la sussistenza di tale elemento psicologico, il creditore può giovarsi, in luogo della prova diretta, anche di meri elementi presuntivi; la valutazione del Giudice su tali presunzioni semplici[16], se congruamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità.
Il presupposto soggettivo della conoscenza del pregiudizio o della dolosa preordinazione deve sempre sussistere in capo al debitore, mentre è richiesto in capo al terzo acquirente solo per gli atti a titolo oneroso. In altre parole, in quest’ultima ipotesi il creditore ha l’onere di dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo anche in capo al terzo; al contrario, ciò non è necessario nella prima ipotesi[17].
Con riferimento all’atteggiamento psicologico del terzo si è soliti parlare di scientia damni nel caso di atto dispositivo del patrimonio debitorio posteriore al sorgere del credito, così riferendosi alla consapevolezza del terzo medesimo del pregiudizio che, con l’atto de quo, il debitore arrechi alla consistenza della garanzia patrimoniale[18]. Nel caso, invece, di atti anteriori, si parla di scientia fraudis[19], ossia di partecipazione del terzo alla dolosa preordinazione del debitore: ciò si verifica nel caso in cui il primo sia a conoscenza del piano ordito dal secondo, abbia coscienza del fatto che il pregiudizio derivante dall’atto sia deliberatamente provocato dal debitore, ma, ciononostante, fraudolentemente non rifiuti di concludere il contratto.
Sono, in linea generale, considerati elementi indiziari da cui desumere il consilium fraudis in capo al debitore e la scientia damni o fraudis in capo al terzo:
- la volontà della famiglia di alterare l’assetto del proprio patrimonio in modo contraddittorio (per es., la vendita della sola nuda proprietà con contestuale riserva di usufrutto);
- modalità di pagamento ambigue (per es., quando in un atto di compravendita si legga che il bene è già stato integralmente pagato, ma non vi sia indicazione delle concrete modalità di pagamento stesso);
- peculiari rapporti, di parentela o lavorativi (come nel caso di trasferimento a favore di socio accomandatario in una società in cui l’alienante sia socio accomandante), che leghino i soggetti dell’atto dispositivo;
- sperequazione tra prezzo pattuito e valore di mercato (prezzo irrisorio o esiguo rispetto al valore del bene);
- anomalie temporali (per es., la tempestività con cui il debitore si spogli dell’intero compendio immobiliare o lo stretto intervallo tra la messa in mora del creditore e la disposizione patrimoniale del debitore).
3. Aspetti processuali
3.1 Legittimazione ad agire
Legittimati ad agire in revocatoria ordinaria sono unicamente il creditore che ritenga di essere rimasto pregiudicato dall’atto del debitore e, in via surrogatoria, il suo creditore.
L’azione è esperibile anche dal successore del creditore, sia a titolo universale che particolare.
Legittimati passivi sono il debitore ed il terzo destinatario dell’atto a titolo oneroso.
3.2 Competenza
Competente a conoscere dell’azione revocatoria ordinaria è il Giudice del luogo in cui uno dei convenuti (il debitore o il terzo indifferentemente) abbia il domicilio o la residenza ex artt. 18 e 33 c.p.c.
3.3 Svolgimento del giudizio
Il giudizio di revocatoria è un normale procedimento contenzioso che si conclude con una sentenza costitutiva, in forza della quale l’atto revocato conserva la sua efficacia nei confronti dei creditori che non abbiano partecipato al giudizio, ma il revocante può fare valere le sue ragioni creditorie sul bene oggetto dell’atto stesso.
La domanda introduttiva del giudizio, se riguarda un atto soggetto a trascrizione ex art. 2643 c.c., dovrà essere trascritta. Al contrario, se essa riguarda un atto soggetto ad iscrizione[20], non dovrà essere trascritta, in quanto non ricompresa nell’elenco tassativo di cui al n. 5 dell’art. 2652 c.c.
Come sopra esposto, la fase istruttoria del giudizio in esame non presenta particolarità: il creditore deve dimostrare la sussistenza dei presupposti dell’azione, attraverso tutti i mezzi di prova, giudiziali e stragiudiziali a sua disposizione.
Ovviamente, ove alla condanna di revoca dell’atto si aggiunga la domanda di condanna al pagamento di somme del debitore in favore del creditore (e in assenza di titolo esecutivo già formato), quest’ultimo ha l’onere di fornire elementi idonei a supportare anche tale pretesa.
Art. 2902 c.c.
“Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.
Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto”.
4. Effetti dell’azione revocatoria
L’accoglimento della domanda ex art. 2901 c.c. comporta l’inefficacia relativa dell’atto revocato, con conseguente assoggettamento del bene trasferito all’azione esecutiva del creditore revocante.
L’azione revocatoria ordinaria, in sostanza, non elimina l’atto impugnato, benché questo venga dichiarato “revocato”: semplicemente consente al creditore che abbia agito di promuovere, nei confronti dei terzi acquirenti, quelle stesse azioni conservative o esecutive che avrebbe potuto esperire se l’atto revocato non fosse stato posto in essere. Essa non ha, dunque, effetto restitutorio[21]: il bene non ritorna nel patrimonio del debitore. Rende, piuttosto, inefficace l’atto impugnato, ma soltanto nei confronti del creditore che ha agito, il quale, conseguentemente, potrà promuovere sul bene oggetto di revocatoria azioni esecutive e conservative come se non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore[22].
È doveroso focalizzare l’attenzione sul conflitto di interessi che può insorgere tra il creditore attore in revocatoria e i creditori personali del terzo acquirente, alla luce del fatto che il bene oggetto dell’atto revocato, anche dopo la dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione, continua a permanere nel patrimonio del terzo.
La dottrina ritiene che, a favore del creditore che abbia ottenuto la dichiarazione di inefficacia dell’atto, venga a crearsi una sorta di garanzia specifica o di causa di prelazione rispetto ai creditori del terzo acquirente: in sostanza, questi ultimi possono senz’altro intervenire nella causa promossa dal creditore attore in revocatoria, ma egli ha il diritto di essere preferito.
Sono, comunque, fatti salvi i diritti maturati in virtù di un atto trascritto dal terzo acquirente precedentemente alla trascrizione della domanda di revoca. Invero, l’art. 2901, ult. comma, c.c. specifica che i diritti acquistati dai terzi in buona fede a titolo oneroso non vengono pregiudicati dalla dichiarazione d’inefficacia dell’atto revocato, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.
Ciò significa che, se prima della trascrizione nei pubblici registri della domanda giudiziale di revocatoria viene trascritto l’atto dispositivo nei confronti dei terzi in buona fede, colui che ha agito in revocatoria avrà difficoltà a raggiungere il risultato sperato: la sua pretesa in fase esecutiva, infatti, verrà legittimamente contrastata dal terzo, che opporrà il suo titolo di proprietà trascritto anteriormente. Vi sarà, in questo caso, paritario concorso tra creditore revocante e creditori dell’acquirente.
4.1 Effetti nei confronti dei sub acquirenti
Che cosa avviene se chi ha acquistato dal debitore ha a sua volta disposto a favore di terzi, c.d. sub acquirenti, del bene oggetto del negozio fraudolento?
La legge non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo gratuito, ritenendo più equo evitare un pregiudizio al creditore. Se, invece, l’acquisto è a titolo oneroso, allora creditore e terzo sub acquirente si trovano “alla pari” nel voler evitare un pregiudizio. Nell’interesse della circolazione dei beni, si ritiene opportuno tutelare l’affidamento che quei terzi, ignari della frode, hanno fatto sul precedente contratto.
Dunque, se Tizio aliena fraudolentemente a Caio e Caio, a sua volta, aliena a Sempronio, la dichiarazione di inefficacia dell’atto stipulato fra Tizio e Caio:
– estende i suoi effetti a Sempronio se l’acquisto di quest’ultimo è a titolo gratuito, ovvero se, essendo a titolo oneroso, Sempronio era in mala fede al momento dell’acquisto;
– non pregiudica il diritto di Sempronio se l’acquisto di quest’ultimo è a titolo oneroso e Sempronio era in buona fede al momento dell’acquisto, salvo il diritto del creditore di Tizio verso Caio alla restituzione del corrispettivo ricevuto da Sempronio (art. 2901, ult. comma, c.c.)[23].
5. Prescrizione dell’azione revocatoria
Il Codice Civile statuisce, infine, che la prescrizione dell’azione revocatoria sia più breve di quella ordinaria decennale, in considerazione della necessità di evitare che la sorte degli atti suscettibili di revoca rimanga a lungo sospesa, con conseguente lesione del generale interesse alla sicurezza delle relazioni giuridiche e della certezza dei diritti.
Ai sensi dell’art. 2903 c.c., dunque, l’azione oggetto del presente elaborato si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, a prescindere dalla circostanza che il creditore ne fosse o meno a conoscenza[24]. La giurisprudenza ha chiarito che, per il computo del termine iniziale, bisogna far riferimento non alla data della stipula dell’atto dispositivo ma a quella della sua trascrizione nei Pubblici Registri.
[1] Art. 2740 c.c.
[2] Cass. Civ. n. 1220/1986: “Ai fini dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c., se non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile essendo sufficiente una ragione di credito anche eventuale, si richiede che tale ragione sia stata posta a base della revocatoria, dato che gli effetti di questa non si estendono ai crediti che, pur potendo essere pregiudicati dall’atto impugnato, non siano stati dedotti con l’azione stessa”.
[3] Cass. Civ. n. 12144/1999: “In tema di azione revocatoria ordinaria, l’art. 2901 c.c. accoglie una nozione lata di ‘credito’, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza delle relative fonti di acquisizione, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, compresi quelli meramente eventuali” (cfr. Cass. Civ. n. 1712/1998).
[4] Cass. Civ. n. 5618/2018: “Anche il ‘credito eventuale’, nella veste di ‘credito litigioso’, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria contro l’atto di disposizione compiuto dal debitore”.
[5] Cass. Civ. n. 11755/2018. Si veda, in proposito, anche la recentissima pronuncia della giurisprudenza di merito, secondo la quale “Ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria non è richiesto che il credito sia liquido ed esigibile in quanto l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata del credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguenza irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità del creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore” (Trib. Arezzo, n. 864 del 18.09.2018; cfr. Trib. Rimini, n. 248 del 10.03.2018).
[6] Cass. Civ. n. 5451/1985: affinché sia configurabile il c.d. eventus damni, deve venir meno o essere vulnerata la garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.; ciò non può dirsi quando il creditore disponga di idonee garanzie reali o personali.
[7] Trib. Roma, n. 16688 del 29.08.2018.
[8] Cass. Civ. n. 1996/2005.
[9] Quegli atti a contenuto patrimoniale che importino alterazioni o modifiche lesive della garanzie patrimoniale del debitore, tali da rendere impossibile o problematica o anche solo più difficoltosa la realizzazione del credito. L’indagine in merito a questa eventualità dovrà essere compiuta, volta per volta, dal Giudice, con modalità funzionali al caso in esame.
[10] Si pensi, a titolo esemplificativo, alla vendita di un immobile per un equo corrispettivo in denaro: di per se’ l’atto non depaupera il patrimonio del debitore, ma è chiaro che un cespite immobiliare offra al creditore garanzie di stabilità ben maggiori di una somma di denaro, facilmente occultabile; in questo caso, quindi, l’eventus damni consiste in una meno agevole aggredibilita’ del patrimonio debitorio, come ampiamente argomentato da Cass. Civ. n. 8930/1989 (cfr. Cass. Civ. n. 402/1984 e n. 1700/1982). Analoga ratio è quella dell’ipotesi di acquisto di beni consumabili ovvero rapidamente deteriorabili (Cass. Civ. n. 4578/1998).
[11] Atto con il quale i coniugi provvedono a costituire alcuni beni in un fondo per garantirsi il soddisfacimento dei bisogni familiari, sottraendoli, in tal modo, alla possibile esecuzione dei creditori. Può essere costituito sul diritto di proprietà o per il mero godimento di beni appartenenti anche a uno solo dei coniugi, al fine di destinarne i frutti per far fronte ai bisogni familiari. Ha dichiarato la Corte d’Appello di Milano che, “In materia di prova dei presupposti per la revocatoria della costituzione di fondo patrimoniale familiare, atto a titolo gratuito, successivo all’insorgenza del debito, è sufficiente la sola scientia damni, quale semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, risultando irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo” (C. App. Milano, n. 402 del 24.01.2018).
[12] In effetti, partendo dal presupposto che gli atti dovuti ex art. 2901, comma III, c.c. non sono revocabili, poiché la costituzione di una garanzia è un quid minus rispetto al pagamento dell’atto dovuto, dall’irrevocabilità del pagamento non si può in alcun modo desumere l’irrevocabilità pure delle garanzie reali costitute per i debiti scaduti. Conferma, invero, la Suprema Corte che “L’azione revocatoria ordinaria è esperibile nei confronti di un atto costitutivo di ipoteca per un debito scaduto” (Cass. Civ. n. 7119/1996).
[13] Ciò non impedisce che la datio in solutum per l’estinzione di un debito non possa essere revocata: è il caso, per esempio, della dazione in pagamento di una cosa di valore superiore rispetto dal debito che viene estinto, con conseguente lesione delle ragioni degli altri creditori. Ancora, “Qualora un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall’obbligato mediante il trasferimento di una res pro pecunia, la conseguente ‘datio in solutum’ è soggetta ad azione revocatoria fallimentare, in considerazione della non normalità del mezzo di pagamento e indipendentemente dallo strumento negoziale adottato dalle parti per attuare il trasferimento” (Cass. Civ. n. 4265/2016)
[14] La giurisprudenza si limita a chiedere al debitore la coscienza della dannosità di un atto per i creditori, senza pretendere l’animus nocendi, ossia lo specifico intento di nuocere.
[15] E’ necessario che il soggetto si sia, cioè, posto in una situazione di parziale o totale impossidenza, in modo da rendere difficile o impossibile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto.
[16] Pare opportune ricordare alcune delle fonti di presunzioni semplici: risposte date in sede di interrogatorio non formale; pubblicazione di protesti cambiari, indicativi di stato di dissesto del soggetto contro cui sono levati; risultanze ipotecarie – catastali; prove raccolte in un giudizio perento o svoltosi tra le stesse parti ma davanti ad un giudice incompetente; informazioni fornite dalle pubbliche autorità.
[17] In proposito, si rammenta che gratuità e onerosità vanno valutati con riguardo al patrimonio “responsabile”, cioè quello del debitore: l’onerosità pretende che tale patrimonio registri un vantaggio che giustifichi a compensi la perdita subita, mentre per qualificare un atto come gratuito non è sufficiente l’assenza di corrispettivo, ma è necessaria la presenza di spirito di liberalità.
[18] Per la revoca degli atti onerosi posteriori, il creditore può limitarsi a dimostrare la generica consapevolezza del terzo: non si esige la prova di un preciso accordo con il debitore né la sussistenza di uno specifico intento del terzo di approfittare del danno ai creditori; nemmeno si pretende la prova che il terzo avesse conoscenza specifica del credito di cui si invoca la tutela. La consapevolezza, seppure generica, deve, però, essere effettiva: non bastano la prevedibilità, né l’ignoranza colpevole.
[19] Consapevolezza del terzo che, “circa un atto anteriore al sorgere del credito, lo stesso fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento” (Cass. Civ. n. 3546/2004).
[20] Ad esempio, la costituzione di ipoteca effettuata dal debitore in frode del proprio creditore.
[21] Cass. Civ. n. 791/2000.
[22] In considerazione della relatività degli effetti dell’inefficacia derivante dalla sentenza di revoca, si ritiene che l’esperimento delle azioni esecutive e cautelari spetti al solo creditore che abbia agito in revocatoria, restando preclusa agli altri creditori che non abbiano preso parte al giudizio di revocatoria sia la possibilità di esperire autonomamente tali azioni esecutive sia quella di intervenire in procedure già instaurate.
[23] Cass. Civ. n. 1941/1993: “Con riguardo agli effetti dell’azione revocatoria la inefficacia dell’atto stipulato, in frode ai creditori, tra debitore e primo acquirente, mentre estende i suoi effetti al sub acquirente che ha acquistato a titolo gratuito, non pregiudica il diritto del sub acquirente che, in buona fede, ha acquistato a titolo oneroso; in tal caso resta salvo il diritto del creditore verso il primo acquirente per la restituzione del corrispettivo che egli ha ricevuto dal sub acquirente, atteso che il creditore non può – senza venir meno la stessa funzione dell’azione revocatoria – essere definitivamente privato della garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore, ai sensi dell’art. 2740 c.c., escludendosi anche il suo diritto verso il primo acquirente alla restituzione del corrispettivo da questo ricevuto dal sub acquirente”.
[24] Tale termine quinquennale decorre anche se il credito da tutelare non è esigibile, è contestato o soggetto ad accertamento (Cass. Civ. n. 2400/1990; cfr. Cass. Civ. n. 1712/1998 e n. 591/1999). Secondo alcuni, addirittura, si applicherebbe anche a tutela di semplici posizioni di aspettativa poiché si considererebbe una nozione “lata” di credito, comprensiva anche di ragioni giuridicamente tutelabili (Cass. Civ. n. 12144/1999).