Uno dei temi più controversi e incerti in ambito di rappresentanza è senza dubbio quello tratteggiato dai requisiti che, a seconda al caso concreto, si configurino in relazione al negozio unilaterale di conferimento del potere di agire in nome e per conto del rappresentato, ossia la procura, tanto in ordine alla forma quanto al contenuto di essa.
Quale norma generale in materia di requisiti di forma della procura, l’art. 1392 c.c. prevede che essa debba avere la stessa forma richiesta per l’atto che, in forza di essa, deve essere posto in essere.
Il requisito applicabile al singolo caso concreto, pertanto, andrà a determinarsi per relationem, avuto riguardo allo specifico requisito di forma, ad substantiam o meramente ad probationem, previsto per il tipo di atto che il rappresentante dovrà porre in essere in nome e per conto del rappresentato.
La forma
Per la procura oggetto di indagine andranno dunque a configurarsi tutti i requisiti di forma previsti per il contratto di donazione, ossia, come risultante dal combinato disposto degli artt. 782 e 2699 c.c., dovrà ritenersi prescritta ad substantiam non solo la forma scritta, ma anche la sacralità dell’atto pubblico.
Sebbene un approccio strettamente letterale imporrebbe anche il rispetto aprioristico delle formalità di cui all’art. 48 l.not., ossia la presenza di due testimoni alla conclusione del negozio, un simile rilievo non pare condivisibile ed anzi, relativamente alla procura preordinata all’accettazione di una o più donazioni, parrebbe illogico sotto differenti profili sistematici.
È invero pacifico come il requisito dei testimoni nell’atto pubblico di donazione sia un rafforzamento delle garanzie che l’ordinamento prevede per un caso peculiare quale quello della donazione, ove una parte, volontariamente, si spoglia a beneficio della controparte di tutti o parte dei propri beni, e risponda dunque ad una logica di accertamento dell’animus donandi che, per mezzo del contratto, si concretizza in una spoliazione di beni a unilaterale beneficio della controparte donataria.[1]
Tale requisito formale, dunque, ben potrà ritenersi sussistente unicamente per la procura del donante, alla tutela della cui posizione è preposto.[2]
Il mandato a donare
Nonostante la tralatizia autonomia del potere rappresentativo rispetto al mandato,[3] inoltre, è orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che, per ricostruire la disciplina del conferimento della procura preordinata alla conclusione di un contratto di donazione, si debba altresì tenere in considerazione l’ulteriore requisito posto dall’art. 778 c.c., rubricato “mandato a donare”, nel quale viene espressamente statuito che, a pena di nullità, il mandato a donare debba recare l’espressa indicazione del donatario e dell’oggetto donato, facendo però salvo il mandato che designi più persone oppure oggetti tra i quali il mandatario potrà poi determinare a beneficio di chi, o relativamente a che cosa, concludere il suddetto contratto di donazione.[4]
L’individuazione del donatario e dell’oggetto della donazione
L’estensione applicativa di tale norma anche alla disciplina della procura, congiuntamente a quanto sopra enucleato ed in particolare ai rilievi di carattere sistematico circa la natura intuitu personae del contratto di donazione, impone di riconoscere alla donazione il carattere c.d. personalissimo,[5] e perciò per estensione ritenere viziata da nullità insanabile la donazione effettuata dal procuratore senza che nella procura fossero individuati in modo non equivoco e il donatario e l’oggetto della donazione.[6]
È pertanto pacifico che, perché il donante possa essere validamente rappresentato, sia necessaria una procura speciale che individui in modo non equivoco il donatario e l’oggetto della donazione.
Questo requisito, tuttavia, analogamente a quanto rilevato per il requisito formale dei due testimoni di cui all’art. 48 l.not., non trova applicazione relativamente alla posizione del donatario, il quale quindi potrà essere validamente rappresentato anche in forza di procura generale, all’interno della quale sia previsto il generico conferimento del potere di acquistare beni o, più dettagliatamente ma non meno genericamente, di accettare donazioni.
Non si rinviene infatti alcuna menzione alla posizione soggettiva del donatario nella normativa anzi richiamata, ed a fortiori non è riconoscibile una corrispondente esigenza di tutela di senso opposto nell’ambito di un rapporto di donazione.
Anche un ragionamento sistematico-induttivo non può che portare alla medesima conclusione: il tenore letterale dell’art. 778 c.c., che proprio la S.C. è granitica nel ritenere applicabile anche alle ipotesi di procura preordinata alla conclusione di un contratto di donazione, è inequivocabile nel richiedere la designazione espressa relativamente al solo mandato a donare, senza alcuna menzione dell’opposta posizione del donatario.
Conformemente al principio ermeneutico efficacemente compendiato dal brocardo latino ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, pare innegabile che il donatario possa validamente essere rappresentato nella conclusione del contratto di donazione anche in forza di una mera procura generale redatta senza testimoni, ferma restando la necessità di soddisfare il solo requisito di forma dell’atto pubblico.
La procura per la donazione indiretta
Merita infine una menzione l’ipotesi della donazione indiretta, ovvero della dissimulazione di una donazione nell’ambito di un diverso schema negoziale, o ancora del negotium mixtum cum donatione. In tutte queste ipotesi non potranno che trovare applicazione i requisiti di forma e di sostanza relativi al negozio formalmente posto in essere, stante il mancato richiamo di tali schemi da parte dell’art. 809 c.c.[7]
[1] Lo scopo di un tale aggravio delle formalità previste per il compimento dell’atto è infatti quello di suscitare ed assicurare una ponderazione della volontà ivi espressa da parte del donante, che dunque viene indotto a meditare ulteriormente gli effetti del contratto che va a concludere, prevendo la precipitosa realizzazione di quegli effetti patrimoniali così squilibrati. In tal senso, cfr. G. Santarcangelo, La forma degli atti notarili, Commento teorico-pratico alla legge notarile: artt. 47-58, Roma, Casa Editrice Stamperia Nazionale, 2006, pp. 42 e ss.
[2] In senso opposto, però, G. Petrelli, Formulario notarile commentato, Contratti in generale, contratti speciali, vol. II, Milano, Giuffrè, 2001, p. 225.
[3] Tesi che affonda le proprie radici nella distinzione tra Vollmacht e Auftrag teorizzata in P. Laband, Die Stellvertretung bei dem Abschluß von Rechtsgeschäften nach dem allgemeinen Deutschen Handelgesetbuch, in L. Goldschmidt, P. Laband, Zeitschrift für das gesammte Handelsrecht, X, 1866, pp. 183 e ss. e che trova puntuale riconoscimento nella sistematica giuridica italiana moderna tratteggiata dagli artt. 1387 e ss. e 1392 c.c. Si discosta parzialmente da tale impostazione, attenuando il carattere dell’autonomia tra i due istituti e riconducendo al collegamento teleologico il rapporto tra mandato e procura, V. De Lorenzi, La rappresentanza diretta volontaria nella conclusione dei contratti e analisi economica del diritto, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 249 e ss.
[4] Sono queste le ipotesi di mandato a donare cui voles e quae voles, nelle quali il mandatario è libero di determinare, senza alcuna limitazione o indicazione, il donatario e/o l’oggetto della donazione.
[5] A. Torrente, La donazione, II ed. a cura di U. Carnevali e A. Mora, in A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, P. Schlesinger, Trattato di Diritto Civile e Commerciale, Milano, Giuffrè, 2006, p. 446.
[6] Questo orientamento è stato, da ultimo, confermato da Cassazione Civile sez. VI 24/07/2012 n. 12991, in cui è richiamato il risalente precedente della sentenza Cassazione Civile Sez. III 23/04/1969 n. 1323.
[7] Cfr. ex plurimis Cassazione Civile Sez. II 12/11/1992 n. 12181, Cassazione Civile Sez. II 16/06/2014 n. 13684.