Nullità mutuo fondiario per superamento del limite finanziabile: il rimedio della conversione

in Giuricivile, 2018, 4 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. sez. I, sent. n. 6586 del 16/3/2018

Come noto, la concessione ed erogazione del credito fondiario, con particolare riferimento ai limiti di finanziabilità è espressamente disciplinata dall’art. 38, comma 2 del T.U.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993).

Tale disposizione prevede che “il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” e, al secondo comma, precisa che è la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del Cicr, a determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.

In osservanza del comma secondo dell’art. 38 TUB, il Cicr, con Delib. 22 aprile 1995, ha sancito che l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi e che tale percentuale può essere elevata fino al 100% solo qualora vengano prestate garanzie integrative.

Ebbene, con la sentenza n. 6586 del 16 marzo 2018, la Cassazione ha chiarito due questioni correlate:

  • se il superamento del limite di finanziabilità dell’80% per i mutui fondiari (previsto dall’art. 38 del T.U.B.) implichi l’applicazione dell’art. 117, comma 8, del TUB ovvero del generale disposto di cui all’art. 1418 c.c..
  • nel caso in cui si ritenesse nullo per sconfinamento di tale limite il contratto di mutuo fondiario, se sia legittima la conversione dei contratti di mutuo fondiario in finanziamenti aventi integrale natura di mutui ordinari, ai sensi dell’art. 1424 c.c..

I precedenti orientamenti della Cassazione

La Cassazione ha più volte affermato che l’art. 38, 2° comma, del d.lgs. n. 385/93, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene a un elemento necessario del contratto (l’oggetto del contratto), concordato fra le parti, e, pertanto, “non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 n. 8 del medesimo decreto, il quale attribuisce invece all’istituto di vigilanza un potere conformativo o tipizzatorio del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole” (Cass. nn. 26672 e 27380 del 2013; Cass. 22446/2015; Cass. 4471/2016).

In base a tale orientamento, il superamento del limite di finanziabilità stabilito dalla Banca d’Italia non cagionerebbe quindi alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario (anche perché il cliente non avrebbe interesse a farla valere, essendo un mutuo concesso oltre il limite di finanziabilità di regola più favorevole al cliente).

Le disposizioni in questione non sarebbero infatti volte ad inficiare norme inderogabili sulla validità del contratto ma appaiono norme di buona condotta, la cui violazione potrà comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia, nonché l’eventuale responsabilità, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo (Cfr.Cass.27380/2013).

Ne conseguiva che il superamento del tetto massimo di finanziabilità, pari all’80% dei cespiti immobiliari, non poteva determinare, secondo tale orientamento, la nullità dei contratti di mutuo fondiari.

Il revirement della Cassazione: la nullità del mutuo fondiario

Tale indirizzo è stato, di recente, rimeditato dalla Suprema Corte (Cass. 17352 e 19015 de 2017) la quale ha affermato che il mancato rispetto del limite di finanziabilità (pari all’80% del valore del bene ipotecato o del costo delle opere da eseguire su di esso), ai sensi dell’art. 38, secondo comma, del T.u.b. e della conseguente delibera del Cicr, determina di per sé la nullità del contratto di mutuo fondiario.

Conformandosi a tale principio, la Cassazione ha ribadito che essendo tale limite essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come, appunto, “fondiario”, secondo l’ottica del legislatore, lo sconfinamento di esso condurrebbe automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti.

Il superamento del limite di finanziabilità andrebbe dunque ricondotto nella generale nullità ex art. 1418 c.c., considerato che la suddetta prescrizione dettata dall’art. 38 citato si inserisce tra gli elementi essenziali di un contratto di mutuo fondiario, “intrinseci del negozio, relativi alla sua struttura (il contenuto)” e deriva da una norma di natura imperativa, che incide direttamente sulla prestazione creditizia, regolandone il quantum, a tutela di “interessi economici nazionali (pubblici)”.

La conversione del contratto di mutuo fondiario nullo in mutuo bancario ordinario

Ferma la nullità del contratto di mutuo fondiario, in caso di superamento del limite di finanziabilità prescritto dall’art.38 T.U.B., la particolare questione esaminata nel caso in esame riguardava inoltre l’ipotesi di conversione dei contratti di mutuo fondiario in finanziamenti aventi integrale natura di mutui ordinari, ai sensi dell’art.1424 c.c..

In primo luogo, è stato chiarito che detta istanza, proposta dalla Banca opponente, conseguenziale alla rilevata nullità del titolo negoziale posto a fondamento della domanda originaria, ben poteva essere formulata per la prima volta col ricorso in opposizione allo stato passivo, una volta appurato che il credito non era stato ammesso a cagione della nullità del contratto di mutuo fondiario e dell’annessa ipoteca (Cass. 17352/2017).

Il Tribunale aveva invece respinto la suddetta richiesta subordinata per asserito difetto del requisito soggettivo richiesto per la conversione del negozio nullo: veniva infatti rilevata la “volontà chiara delle parti di “volere” un mutuo ipotecario, con l’ovvia motivazione di trasformare illegittimamente una esposizione chirografaria in esposizione ultragarantita e sottratta per quanto più possibile a concorso e falcidia”.

Tuttavia, come già chiarito dalla Cassazione (Cass. 2912/2002), non è necessario l’accertamento della volontà concreta delle parti di accettare il contratto trasformato per effetto della conversione, poiché ciò comporterebbe la coscienza della nullità dell’atto compiuto, esclusa per definizione dall’art. 1424 c.c..

Occorrerebbe, invece, “la considerazione dell’intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i cui effetti realizzino in tutto o in parte quell’intento”. E nella specie, contratto di finanziamento fondiario e contratto ordinario di mutuo bancario potrebbero presentare accostabili requisiti di sostanza e di forma.

Per tutto quanto sopra esposto, la Corte accoglieva quindi il ricorso e cassava il decreto impugnato, con rinvio al Tribunale in diversa composizione.

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