Matrimonio: no delibazione della sentenza di nullità del Tribunale ecclesiastico se c’è stata convivenza coniugale

Con la sentenza n. 6016 depositata il 25 marzo 2015 la Cassazione civile ha condiviso quanto statuito recentemente dalle Sezioni Unite secondo le quali esiste un limite di ordine pubblico al riconoscimento delle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio emesse dai tribunali ecclesiastici, costituito dal cd. “matrimonio-rapporto”.

Secondo le SS.UU. della Suprema Corte (sentenze nn. 16379 e 16380 del 17 luglio 2014), infatti, è necessario tutelare il c.d. matrimonio-rapporto, inteso quale situazione giuridica di “convivenza fra i coniugi”, che rappresenta la traduzione sul piano giuridico (diritti, doveri, responsabilità) dei molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale, il cui elemento essenziale è rappresentato dalla convivenza fra i coniugi.

Tale esigenza di tutela è stata evidenziata anche dalla Corte costituzionale, della Corte EDU e della Corte di giustizia UE, secondo le quali il complesso dei diritti, dei doveri, delle aspettative correlate al rapporto matrimoniale rappresentano una situazione giuridica che, “in quanto regolata da disposizioni costituzionali, convenzionali ed ordinarie, è perciò tutelata da norme di ordine pubblico italiano, secondo il disposto di cui all’art. 797 c.p.c., comma 1, n. 7“.

Ebbene, elemento fondamentale di tale situazione giudica è certamente la convivenza coniugale che è ritenuta rilevante ove sia riconoscibile dall’esterno, sulla base dei fatti e dei comportamenti dei coniugi che vi corrispondano in modo non equivoco e deve essere stabile, ossia avere una durata minima di tre anni.

Pertanto, la convivenza triennale “come coniugi” rappresenta un limite di ordine pubblico ostativo alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio e opera in presenza di qualsiasi vizio genetico posto a fondamento della decisione ecclesiastica.

Quanto alle modalità per dedurre in sede processuale la sussistenza di tale limite, la Corte di Cassazione ha chiarito che essendo la convivenza caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

Inoltre, detto limite non può operare in presenza di domanda di delibazione presentata congiuntamente dalla parti e, nel caso di domanda proposta da uno solo dei coniugi, “l’altro – che intenda opporsi alla domanda, eccependo il limite d’ordine pubblico costituito dalla “convivenza coniugale”- ha l’onere, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., commi 1 e 2, di: 

a) sollevare tale eccezione nella comparsa di risposta;

b) allegare i fatti specifici e gli specifici comportamenti dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione medesima si fonda, anche mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi che già emergano dalla sentenza delibanda;

c) dedurre i mezzi di prova, anche presuntiva, idonei a dimostrare la sussistenza di detta “convivenza coniugale”, restando ovviamente salvi i diritti di prova della controparte ed i poteri di controllo del giudice della delibazione quanto alla rilevanza ed alla ammissibilità dei mezzi di prova“.

Nata nel 1988. Avvocato presso lo Studio Salvini Escalar. Iscritta all'albo del foro di Roma dal 2015. Laureata con il massimo dei voti in Diritto Civile con una tesi sulla c.d. nullità virtuale con il prof. Cesare Massimo Bianca. Specializzata in Diritto Tributario e Amministrativo. Autrice e Cofondatrice di GiuriCivile.it. Nel tempo libero violinista.

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