Con la sentenza n. 26065 del 16 dicembre 2016, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di crediti professionali, che il parere del Consiglio dell’Ordine in relazione alla congruità del compenso richiesto dal professionista, non è vincolante e che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, l’avvocato dovrà provare l’effettiva esecuzione delle prestazioni.
Crediti dell’avvocato: oneri probatori nel procedimento monitorio e nel giudizio di opposizione
In conformità ad un consolidato orientamento di legittimità, la Suprema Corte ha ribadito che, in tema di compenso per prestazioni professionali, non è affatto vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’ordine di appartenenza: le funzioni di quest’ultimo devono infatti intendersi limitate al campo amministrativo, essendo sempre riservato al giudice di sindacare la liquidazione anche nel merito, allorché sia sorta controversia sulla misura dei compensi.
In particolare, nella materia della liquidazione degli onorari degli avvocati, prima della abrogazione delle tariffe professionali ad opera del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), il parere del competente Consiglio dell’Ordine era volto solo ad attestare la conformità in astratto della parcella alla tariffa, senza vincolo per il giudice circa l’effettività della prestazione.
Pertanto, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c., la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale. Ma tale documentazione non sarà più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa.
Ne consegue che il giudice di merito non potrà assumere come base di calcolo per la determinazione del compenso le esposizioni di detta parcella contestate dal debitore. Spetterà, quindi, all’avvocato che agisca per ottenere soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare l’an del credito vantato e l’entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, senza che a tal fine spieghi rilevanza probatoria la parcella predisposta dal professionista nell’ordinario giudizio di cognizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5884 del 17/03/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3627 del 13/04/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1513 del 19/02/1997).
La non vincolatività del parere del Consiglio dell’Ordine
Peraltro, osserva la Corte di legittimità che da una parte il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari corrisponde ad una funzione istituzionale dell’organo professionale e consiste in un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo, che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente (consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex artt. 633 e 636 c.p.c.).
Dall’altra, va tuttavia sempre ricordato come il parere del consiglio dell’ordine attesta unicamente la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova ex se l’effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, giacché la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta congrua non esclude né inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore.