
L’ordinanza n. 28396/2025 della Corte di Cassazione (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione) tratta un caso di responsabilità civile professionale dell’avvocato in materia previdenziale. L’analisi del provvedimento offre chiarimenti sui limiti del sindacato di legittimità circa la valutazione del nesso causale e sulla correttezza della strategia difensiva, con particolare riferimento al rito speciale dell’accertamento tecnico preventivo (ATP) obbligatorio ex art. 445-bis c.p.c. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile”, di Lucilla Nigro, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon, offre un supporto utile per gestire ogni fase del contenzioso civile.
Formulario commentato del nuovo processo civile
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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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Lucilla Nigro, 2025, Maggioli Editore
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Il fatto
La vicenda trae origine dalla revoca dell’assegno ordinario di invalidità (legge n. 222/1984) in capo a una ricorrente. L’avvocato incaricato proponeva l’istanza di accertamento tecnico preventivo (ATP) per la verifica delle condizioni sanitarie ex art. 445-bis c.p.c.. Il CTU concludeva che la ricorrente non presentava un’infermità tale da ridurre la capacità lavorativa nella misura richiesta (meno di un terzo), ma, a chiarimenti richiesti, osservava che le sue condizioni erano “sostanzialmente stazionarie rispetto all’accertamento contenuto nella sentenza n. 577/2006 del Tribunale di Livorno”. Tale sentenza del 2006 aveva precedentemente accertato il diritto alla provvidenza.
L’avvocato non contestava le conclusioni del CTU e l’accertamento veniva omologato. Successivamente, il difensore inviava una raccomandata all’INPS, sollecitando il ripristino dell’assegno in ragione dell’invarianza delle condizioni sanitarie accertate nel 2006. Fallito il tentativo, l’assistita, con un nuovo legale, proponeva un ricorso ordinario ex art. 442 c.p.c., dichiarato inammissibile dal Tribunale in quanto diretto a rimettere in discussione l’accertamento tecnico omologato. La cliente conveniva quindi in giudizio il primo avvocato per responsabilità professionale, sostenendo che questi avesse omesso di contestare tempestivamente le conclusioni sfavorevoli del CTU e di introdurre il giudizio di merito ex art. 445-bis, sesto comma, c.p.c.
La Corte d’Appello aveva escluso l’inadempimento sulla base di una valutazione circa la correttezza della strategia difensiva. La Cassazione, nel dichiarare inammissibili le doglianze sul punto, ha ritenuto tale valutazione incensurabile in sede di legittimità, in quanto basata su corrette premesse in iure. Il Giudice di merito aveva evidenziato che l’avvocato si trovava di fronte a un accertamento tecnico non univoco. La scelta di evitare il giudizio di merito, lasciando omologare l’accertamento, era stata considerata un’opzione difensiva per valorizzare il profilo favorevole della CTU, ossia l’invarianza delle condizioni sanitarie, in virtù del principio del giudicato rebus sic stantibus, proprio del giudicato previdenziale.
La strategia difensiva e la decisione della Suprema Corte
Secondo la Suprema Corte, la strategia adottata era pienamente plausibile. Infatti, la mancata contestazione, con la conseguente omologa, rendeva intangibile l’accertamento sanitario. Tale esito, favorevole circa l’invarianza delle condizioni rispetto al 2006, apriva la fase successiva, quella non sanitaria, che avrebbe potuto essere promossa con un nuovo giudizio a cognizione piena ex art. 442 c.p.c. Questo ricorso ex art. 442 c.p.c., lungi dall’essere inammissibile come stabilito dal Tribunale (sentenza 340/2016), era l’azione corretta per far valere l’efficacia di giudicato della sentenza del 2006, proprio sulla base dell’esito (intangibile) della nuova indagine medico-legale. Pertanto, l’avvocato aveva optato per la scelta più adeguata all’interesse della cliente, in un contesto giurisprudenziale opinabile.
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Il nesso causale nella responsabilità professionale
L’aspetto più rilevante della pronuncia riguarda la valutazione del nesso causale tra la presunta omissione e il danno subito. Nei giudizi di responsabilità professionale dell’avvocato, il nesso causale si ritiene dimostrato solo se il giudizio ipotetico controfattuale accerta, in termini probabilistici (“più probabile che non”), che, se il professionista avesse tenuto la condotta dovuta, l’assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni.
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La valutazione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello aveva negato la prova del nesso causale, ritenendo che il giudizio controfattuale inducesse a reputare “piuttosto probabile il risultato opposto”. La Cassazione ha ritenuto anche tale giudizio di fatto correttamente motivato. La Corte di merito aveva motivatamente considerato che un eventuale giudizio di merito ex art. 445-bis, sesto comma c.p.c., (introdotto dopo la dichiarazione di dissenso) avrebbe avuto la specifica funzione di rimettere in discussione le conclusioni dell’ATP. In tale sede, il profilo di invarianza (favorevole) avrebbe potuto essere travolto da un nuovo accertamento, con conseguente venir meno dell’efficacia di giudicato della sentenza del 2006. Poiché non erano stati allegati elementi idonei a ottenere una revisione in melius delle conclusioni peritali, si doveva ritenere probabile che il giudizio di accertamento si sarebbe concluso negativamente.
Il rigetto delle censure sul nesso causale
Il rigetto delle censure sul nesso causale conferma il principio per cui, in mancanza di una prova circostanziata che l’azione omessa avrebbe avuto un esito favorevole (anche solo in termini di probabilità logica), la responsabilità dell’avvocato non può essere affermata. La doglianza della ricorrente si risolveva infatti nella giustapposizione di un giudizio di fatto alternativo a quello espresso dal giudice di merito, ritenuto inammissibile in Cassazione.
Il principio del compenso unico
L’unico motivo accolto dall’ordinanza concerne la liquidazione delle spese processuali, in particolare in relazione alla difesa congiunta di più parti. La Corte d’Appello aveva condannato l’appellante a rimborsare le spese del grado a “ciascuna delle parti appellate” (le due compagnie assicurative chiamate in manleva) per un identico importo di Euro 9.991,00, oltre accessori. La ricorrente ha censurato tale statuizione, in quanto le due società, pur avendo depositato atti “gemelli”, si erano costituite con il medesimo difensore.
La Cassazione ha ritenuto la censura fondata, richiamando il principio per cui in caso di difesa congiunta di più parti aventi la stessa posizione processuale si applica la regola del “compenso unico” ex art. 4, comma 2, D.M. n. 55/2014. In sintesi:
- il Giudice avrebbe dovuto individuare il compenso standard per una sola parte, in quanto le due compagnie condividevano un’identica posizione processuale (chiamate in garanzia).
- Successivamente, avrebbe dovuto applicare la maggiorazione del 30% ex art. 4, comma 2, D.M. n. 55/2014, in quanto l’aumento è obbligatorio per le prestazioni completate dopo il 23 ottobre 2023.
- Infine, avrebbe potuto valutare l’eventuale riduzione fino al 30% del compenso standard ex art. 4, comma 4, D.M. n. 55/2014, solo se la coincidenza tra le posizioni fosse stata totale e non fossero state esaminate specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto.
Conclusioni
L’ordinanza n. 28396/2025 della Cassazione offre una doppia lezione.
- In primo luogo, ribadisce la natura di giudizio di fatto della valutazione di responsabilità professionale, soprattutto in relazione alla prova del nesso causale. Tale giudizio è insindacabile in Cassazione se motivato su corrette premesse giuridiche, come l’analisi della successione procedimentale tra ATP e giudizio di merito, e l’applicazione del giudicato rebus sic stantibus. La sentenza conferma che la scelta di una strategia difensiva, anche se ex post non risolutiva, non è negligente se sostenuta da un’interpretazione plausibile e non avventata degli strumenti processuali a disposizione.
- In secondo luogo, la pronuncia fornisce un preciso orientamento (e un calcolo) in materia di liquidazione delle spese legali per la difesa di più parti con identica posizione processuale, sottolineando l’obbligo di applicare il “compenso unico” maggiorato del 30% in presenza di difesa congiunta, nel rispetto del principio di economicità e per evitare spese superflue.











