Risarcimento per incidente mortale al parco acquatico: l’importanza della prova testimoniale

La Terza Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 27479 del 15 ottobre 2025 (clicca qui per scaricare il PDF della decisione), ha ribadito l’importanza della prova testimoniale nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dal coniuge o dai parenti di vittime di incidenti mortali. Nel caso scrutinato dalla Corte, un uomo aveva perso la vita dopo aver battuto violentemente la testa sul fondo di una piscina al termine della discesa da uno scivolo acquatico. La moglie, con il ricorso in Cassazione, aveva censurato la mancata ammissione della prova testimoniale da parte della Corte d’Appello che l’aveva ritenuta “irrilevante e ininfluente”. 

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Il caso: un tragico incidente al parco acquatico

Il 5 luglio 2015, all’interno di un parco giochi, un uomo batteva violentemente la testa sul fondo di una piscina, al termine della discesa da uno scivolo acquatico (“toboga”). In conseguenza dell’accaduto, moriva sei giorni dopo.

Successivamente, la moglie, quale coniuge ed erede legittima, agiva in giudizio chiedendo la condanna della società che gestiva il parco acquatico al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti prospettandone la responsabilità:

  • per violazione di norme di comune prudenza ai sensi dell’art. 2043 c.c.;
  • in subordine, per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c.;
  • o, in via ulteriormente gradata, ex art. 2051 c.c. quale custode della struttura.

Il Tribunale e la Corte D’Appello rigettavano la domanda dell’attrice che proponeva ricorso in Cassazione.

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La decisione sulla valorizzazione delle prove penali

La ricorrente, con i primi due motivi di ricorso, lamentava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 246 c.p.c., quest’ultimo anche in relazione all’art. 111 della Costituzione. Sosteneva, in particolare, che il giudice territoriale avesse fondato il suo libero convincimento sulle dichiarazioni rese dai bagnini nel procedimento penale: soggetti, tuttavia, incapaci a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., in quanto potenziali responsabili dell’occorso. La sentenza d’appello, inoltre, aveva escluso l’incapacità a testimoniare senza esprimere “argomentazioni alcune idonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione di tale convincimento”.

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Giuseppe Cassano
Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma, Firenze e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre 300 saggi in tema fra volumi, trattati, voci enciclopediche e note per le principali riviste giuridiche italiane ed estere. Direttore della Rivista Responsabilità sanitaria, rischio clinico e valore della persona e della Rivista Diritto di Internet e dell’Intelligenza Artificiale. Codirige gli Stati generali del Diritto di Internet e della IA in Luiss, e gli Stati Generali della Responsabilità Sanitaria in ESE. Membro del Comitato AgCOM per l’Intelligenza Artificiale.

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La valenza di “prove atipiche”

La Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze richiamando un orientamento ormai consolidato. Le prove assunte in un processo penale e le sentenze ivi pronunciate, anche se prive di efficacia di giudicato, sono liberamente valutabili nel giudizio civile come prove precostituite e atipiche, purché ritualmente prodotte e sottoposte al contraddittorio tra le parti. Il giudice civile può quindi fondare l’accertamento dell’illecito su elementi già acquisiti in sede penale, ma deve procedere alla loro valutazione con pienezza di cognizione, attraverso un proprio vaglio critico.

Ciò che rileva, precisa la Corte, è la natura di tali elementi probatori: essi assumono valenza di prove atipiche, ammissibili nell’ordinamento processuale civile in assenza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi istruttori. Queste prove sono rimesse al prudente apprezzamento del giudice di merito e possono anche, da sole, sorreggere la decisione se forniscono elementi di riscontro sufficienti, non smentiti dal confronto con le altre risultanze istruttorie.

Le dichiarazioni acquisite nel processo penale non assumono nel giudizio civile natura di testimonianze in senso tecnico, con tutto ciò che ne deriva quanto allo statuto di disciplina. Restano quindi inapplicabili le regole sulla capacità a testimoniare previste dal codice di rito civile. Come chiarisce efficacemente l’ordinanza, “resta esclusa qualsivoglia assimilazione, in punto di statuto di disciplina, tra la prova acquisita nel processo penale e l’omologo mezzo istruttorio come regolato dal codice di rito civile”.

Nel caso concreto, le dichiarazioni dei bagnini erano state considerate dalla Corte d’Appello come prove indiziarie, ritenute dotate di efficacia probatoria all’esito di un apprezzamento complessivo e comparativo con le altre emergenze processuali. Nessuna violazione dell’art. 246 c.p.c., dunque, giacché i bagnini non erano stati escussi quali testimoni nel processo civile, ma le loro dichiarazioni erano state valutate in quanto prove atipiche già formate altrove.

L’accoglimento del terzo motivo: l’importanza della prova testimoniale

La ricorrente aveva, poi, denunciato la mancata ammissione, da parte della Corte d’Appello, di una serie articolata di prove testimoniali, della consulenza tecnica d’ufficio e di istanze ex artt. 210 e 213 c.p.c.

La Cassazione ha premesso il principio generale che governa la materia: il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è, di regola, insindacabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione di fatto. Tuttavia, tale valutazione può essere censurata quando si fondi su erronei principi giuridici o su incongruenze di carattere logico.

La Corte territoriale aveva ritenuto alcuni capitoli di prova irrilevanti, altri ininfluenti, altri ancora contenenti mere valutazioni e giudizi, senza poi nemmeno pronunciarsi su ulteriori capitoli. Il giudizio di irrilevanza e ininfluenza, tuttavia, viene considerato “oltre che del tutto privo di motivazione, inficiato da logica incoerenza“.

I capitoli così valutati riguardavano infatti l’accadimento, la dinamica del sinistro sotto plurimi aspetti spazio-temporali, ed esponevano circostanze astrattamente idonee a giustificare una ricostruzione della vicenda fattuale conforme a quanto prospettato dall’attrice e diversa, se non contrapposta, rispetto a quanto emergente dagli atti penali considerati decisivi dalla Corte.

Il Collegio, quindi, ha accolto il terzo motivo di ricorso, evidenziando che:

“Il rigetto della prova orale statuito dal giudice territoriale concreta in tal modo anche lesione del diritto di difesa, il quale si traduce nel diritto di provare il fondamento della propria pretesa: e tanto in forza del principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui la mancata ammissione di un mezzo istruttorio integra un vizio della sentenza se il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’art. 2697 c.c., benché la parte avesse offerto di adempierlo”. 

Conclusioni

La decisione chiarisce come il rigetto della prova testimoniale non possa fondarsi su valutazioni superficiali o logicamente incoerenti. La mancata ammissione di un mezzo istruttorio, se ingiustificata, integra una lesione grave del diritto di difesa.

L’ordinanza in sintesi

Le dichiarazioni rese dai testimoni nel processo penale possono essere utilizzate nel giudizio civile?

Si, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione le prove assunte nel processo penale, comprese le dichiarazioni testimoniali, sono liberamente valutabili nel giudizio civile come prove atipiche e precostituite, sempreché ritualmente prodotte e sottoposte al
contraddittorio tra le parti. Non assumono natura di testimonianze in senso tecnico-processuale, ma possono essere valutate dal giudice civile nell’ambito del suo libero convincimento, purché siano state ritualmente prodotte e sottoposte al contraddittorio tra le parti.

Si applicano alle dichiarazioni rese nel processo penale le regole sulla capacità a testimoniare previste dal codice di procedura civile?

No. Proprio perché tali dichiarazioni non assumono nel processo civile la natura di testimonianze vere e proprie, ma di prove atipiche, non si applicano le regole del codice di rito civile sulla capacità a testimoniare, tra cui l’art. 246 c.p.c. che prevede che non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

Quando il giudice può legittimamente respingere una richiesta di prova testimoniale?

Il giudice può respingere una prova testimoniale ritenendola superflua, generica o irrilevante. Si tratta di una valutazione di fatto normalmente insindacabile in sede di legittimità. Tuttavia, tale valutazione può essere censurata in cassazione quando si fonda su erronei principi giuridici o su incongruenze di carattere logico. In particolare, non può essere respinta come irrilevante una prova che verte su circostanze decisive per la soluzione della controversia.

Cosa succede se il giudice rigetta una prova testimoniale ritenendola contenente “mere valutazioni e giudizi” quando invece verte su fatti oggettivi?

In tal caso, come chiarito dalla Cassazione, la decisione è viziata da un errore logico-giuridico censurabile in sede di legittimità. I capitoli di prova che riguardano elementi fattuali di natura oggettiva, suscettibili di cadere sotto la percezione sensoriale (come misurazioni, descrizioni di movimenti, caratteristiche fisiche di luoghi o cose), non contengono “valutazioni” ma fatti, e la loro escussione può essere decisiva per la ricostruzione della dinamica dell’evento.

La mancata ammissione di una prova può costituire violazione del diritto di difesa?

Si. La Cassazione ha chiarito che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio integra violazione del diritto di difesa quando il giudice trae poi conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’art. 2697 c.c., benché la parte avesse offerto di dimostrare i fatti con mezzi istruttori adeguati.

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