
La recente ordinanza n. 16594 del 20 giugno 2025 della Corte Suprema di Cassazione (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), affronta una questione di cardinale importanza in materia di responsabilità civile generale e credito risarcitorio: la legittimazione ad causam del soggetto che agisce in giudizio quale erede del padre per far valere un credito risarcitorio. La pronuncia si concentra, in particolare, sugli oneri probatori relativi allo status di figlio e alla qualità di erede, evidenziando come la prova della filiazione non possa essere desunta da presunzioni, ma debba essere fornita tramite gli atti dello stato civile. Questa decisione offre un importante chiarimento sul rigore dell’onere probatorio in tali circostanze, rinnovando principi già consolidati ma talvolta disattesi nei gradi di merito.
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Formulario commentato del nuovo processo civile
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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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Lucilla Nigro, 2025, Maggioli Editore
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La vicenda processuale e la questione della legittimazione
Un soggetto agiva in giudizio, nella dichiarata qualità di erede del padre defunto, impugnando con ricorso per cassazione una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna. Tale pronuncia, pur riconoscendo in parte fondate le doglianze dell’appellante, aveva liquidato in suo favore un risarcimento per danno non patrimoniale derivante da un sinistro stradale, ritenendo tuttavia operante una presunzione di pari responsabilità nella causazione dell’incidente.
La società convenuta, a sua volta, proponeva ricorso incidentale, sollevando un’eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva. Secondo la ricorrente incidentale, il soggetto che aveva agito in giudizio non aveva fornito prova della propria qualità di figlio ed unico erede del de cuius. In primo grado, tale eccezione era stata rigettata, ma la società ne aveva ribadito la fondatezza in appello, ritenendo insufficiente la documentazione prodotta, costituita da certificati di stato di famiglia.
Il principio di diritto ribadito dalla Cassazione
La Suprema Corte, esaminando il ricorso incidentale, ne ha riconosciuto la fondatezza, valorizzando un principio consolidato: chi agisce in giudizio, affermando di essere subentrato iure hereditatis nella posizione giuridica di un soggetto deceduto, ha l’onere di provare tanto il decesso del dante causa quanto la propria qualità di erede. In applicazione dell’art. 2697 c.c., si tratta di un fatto costitutivo dell’azione che grava su chi la propone.
La mera allegazione della legittimazione, pertanto, non è sufficiente: essa deve essere supportata da idonea documentazione, tipicamente rappresentata dagli atti dello stato civile, dai quali si evinca con certezza il rapporto di parentela in base al quale opera la vocazione ereditaria, ai sensi degli artt. 565 e ss. c.c.
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L’inidoneità del certificato di stato di famiglia
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva ritenuto che i numerosi certificati di stato di famiglia, attestanti la convivenza tra il de cuius e il ricorrente, fossero sufficienti a dimostrare il vincolo di filiazione. La Cassazione ha invece censurato tale impostazione, sottolineando che il certificato di stato di famiglia attesta l’esistenza di un nucleo anagrafico, ma non costituisce, di per sé, prova del rapporto di filiazione, se non accompagnato da un’esplicita indicazione del legame di paternità o maternità.
In assenza di un certificato di nascita o di altro atto dello stato civile che attesti in modo inequivoco tale rapporto, non può ritenersi assolto l’onere probatorio sulla qualità di erede. La Corte ha altresì escluso la rilevanza di eventuali comportamenti di non contestazione tenuti in altri giudizi, precisando che il principio processuale della non contestazione produce effetti vincolanti esclusivamente all’interno del processo nel quale viene manifestato.
La prova della qualità di erede: mezzi e limiti
La pronuncia ribadisce che la prova del rapporto di parentela deve essere data attraverso gli atti dello stato civile, salvo il caso – espressamente previsto – in cui tali atti siano inesistenti, smarriti o distrutti, nel qual caso si può ricorrere ad altri mezzi di prova. In ogni caso, l’onere probatorio non può essere assolto con la semplice produzione della denuncia di successione, documento che non possiede valore probatorio in ordine alla delazione ereditaria.
La Corte ha inoltre escluso ogni rilievo probatorio alla deposizione testimoniale resa in diversi procedimenti, rilevando che la sentenza impugnata non vi aveva fatto alcun riferimento.
L’eccezione sulla legittimazione: questione rilevabile d’ufficio
La Cassazione ha infine sottolineato che l’eccezione attinente alla legittimazione ad agire, in quanto afferente al contraddittorio processuale, è qualificabile come questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. L’unico limite al potere officioso del giudice in materia è rappresentato dalla formazione del giudicato interno sul punto.
La decisione
Accogliendo il primo motivo del ricorso incidentale, la Corte di Cassazione ha dichiarato assorbiti il secondo motivo incidentale e il ricorso principale. Ha quindi cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, affinché compia ulteriori accertamenti di fatto sull’eventuale impossibilità di produrre gli atti dello stato civile. Nell’occasione, la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto:
“Colui che agisce per far valere la pretesa risarcitoria che sarebbe stata azionabile dal proprio genitore defunto può provare l’avvenuta accettazione tacita dell’eredità anche mediante l’esercizio dell’azione giudiziaria volta a far valere i diritti spettanti al proprio dante causa, ma a condizione che sia stato provato o risulti incontestato in quel giudizio il suo status di figlio”.
Infine, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, la Corte ha disposto l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente principale, della parte intimata e del loro presunto genitore in caso di diffusione del provvedimento.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida la necessità di una prova rigorosa dello status di figlio tramite gli atti dello stato civile quando si agisce in qualità di erede. La Cassazione, con questa pronuncia, ribadisce la centralità della documentazione anagrafica per la dimostrazione dei rapporti di parentela in sede giudiziaria, limitando l’uso di presunzioni o di elementi probatori raccolti in contesti diversi. Si tratta di un chiarimento essenziale per gli operatori del diritto, che dovranno prestare particolare attenzione all’onere probatorio per evitare rigetti basati sul difetto di legittimazione.