
La risarcibilità del danno conseguente alla violazione delle distanze legali tra costruzioni rappresenta una questione cruciale nel diritto civile, in cui si intrecciano profili dominicali e regole di matrice urbanistica. Al centro del dibattito si pone l’esigenza di delineare i presupposti per ottenere un ristoro economico quando l’edificazione su un fondo finitime incide sul diritto di godimento del vicino, al di là della sola illegittimità formale dell’opera.
Muovendo dall’analisi di una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. 2, n. 7290/2025), il presente contributo si propone di approfondire i criteri oggi richiesti per l’accesso alla tutela risarcitoria in tale ambito. In particolare, si riflette sulla natura e sull’onere della prova del danno, sulla distinzione tra violazione edilizia e danno-conseguenza, nonché sull’attuale rilevanza delle presunzioni semplici come strumento probatorio. L’analisi mira inoltre a chiarire l’impatto delle norme urbanistiche locali sul principio civilistico di prevenzione, offrendo una lettura sistematica dei rapporti tra tutela reale e tutela risarcitoria.
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Distanze non rispettate e pregiudizio patrimoniale: la vicenda giudiziaria
La sentenza della Corte di Cassazione n. 7290 del 19 marzo 2025 trae origine da una lite tra proprietari confinanti nel comune di Osimo. I ricorrenti, O.V. e P.A.M., citavano in giudizio i vicini C.M.P. e S.L., accusandoli di aver realizzato un muro di contenimento e un garage a distanza inferiore ai cinque metri dal confine, in violazione delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale. Gli attori chiedevano sia l’arretramento delle opere che il risarcimento del danno subito.
Formulario commentato del nuovo processo civile
Il volume, aggiornato alla giurisprudenza più recente e agli ultimi interventi normativi, il cd. correttivo Cartabia e il correttivo mediazione, raccoglie oltre 200 formule, ciascuna corredata da norma di legge, commento, indicazione dei termini di legge o scadenze, delle preclusioni e delle massime giurisprudenziali. Il formulario si configura come uno strumento completo e operativo di grande utilità per il professionista che deve impostare un’efficace strategia difensiva nell’ambito del processo civile.
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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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Lucilla Nigro, 2025, Maggioli Editore
94.00 €
89.30 €

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Il Tribunale di Ancona accoglieva integralmente la domanda, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi e liquidando un risarcimento per danno non patrimoniale, fissato in un euro al giorno dal collaudo delle opere (31 gennaio 2001) fino alla loro rimozione. La Corte d’Appello confermava la decisione. Tuttavia, a seguito del ricorso in Cassazione proposto da S.L., la Suprema Corte accoglieva i motivi relativi al risarcimento, censurando la sentenza per carenza di motivazione su questioni decisive, come la tolleranza protratta degli attori, l’entità dell’abuso e la mancata allegazione di specifici danni.
La Cassazione ha escluso la possibilità di riconoscere automaticamente il danno per il solo fatto della violazione, richiamando il superamento del concetto di danno in re ipsa da parte delle Sezioni Unite (sent. n. 33645/2022). Il danno, dunque, deve essere allegato e provato, anche solo tramite presunzioni. Per questo, la sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione alla luce di tali principi.
Il danno da violazione delle distanze: in re ipsa o presunto?
Il fulcro della sentenza n. 7290/2025 è l’interpretazione della natura del danno da violazione delle distanze tra edifici. La Cassazione conferma l’abbandono del concetto tradizionale di danno in re ipsa, affermando che il pregiudizio non può più considerarsi automatico, ma deve essere allegato e dimostrato, seppure con presunzioni.
In passato, si riteneva che la semplice violazione del diritto reale comportasse un danno risarcibile di per sé. La Suprema Corte, allineandosi all’orientamento delle Sezioni Unite del 2022, chiarisce che il danno deve consistere nella concreta perdita della possibilità di godere pienamente del proprio immobile, e non nella sola violazione formale delle distanze.
Pertanto, spetta all’attore indicare elementi fattuali da cui desumere l’esistenza del pregiudizio: ad esempio, l’uso previsto dell’area, la compromissione della visuale o dell’accesso, o altri fattori concreti. Solo in presenza di tali allegazioni, il giudice può ricorrere alle presunzioni semplici previste dagli artt. 2727 e 2729 c.c. Si conferma così un orientamento che, pur mantenendo flessibilità probatoria, impone rigore nell’accertamento del danno effettivo.
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Le implicazioni probatorie e la liquidazione equitativa del danno
Un nodo centrale della sentenza riguarda l’onere probatorio gravante sull’attore in caso di violazione delle distanze legali. La Cassazione chiarisce che il danno non può più considerarsi automatico in base alla sola lesione del diritto, ma deve essere allegato e provato, almeno mediante presunzioni semplici. La semplice violazione della normativa edilizia non basta: è necessario dimostrare come tale violazione abbia inciso concretamente sul pieno godimento del bene.
In particolare, la Corte sottolinea che il danno-conseguenza deve emergere da fatti specifici, come l’uso ostacolato dell’area, il mutamento della destinazione d’uso, o altre ricadute materiali e funzionali. In mancanza di tali elementi, non può procedersi a una liquidazione risarcitoria, nemmeno in via equitativa.
Su questo punto, la Suprema Corte ha ritenuto carente la motivazione della sentenza d’appello, che aveva quantificato il danno in un euro al giorno senza ancorarlo a circostanze concrete. La liquidazione equitativa, sebbene discrezionale, deve comunque basarsi su un percorso logico e su presupposti di fatto allegati. La decisione di merito, priva di tali fondamenti, è stata quindi ritenuta apodittica e non conforme ai principi in materia di responsabilità civile.
Il principio di prevenzione e le norme urbanistiche locali
Altro aspetto rilevante della pronuncia è il rapporto tra il principio civilistico di prevenzione e le disposizioni urbanistiche locali. L’art. 873 c.c. stabilisce una distanza minima di tre metri tra costruzioni, ma consente deroghe quando la normativa comunale prevede distanze diverse. Il principio di prevenzione consente al primo costruttore di fissare la distanza, vincolando il vicino in caso di edificazioni successive.
Tuttavia, la giurisprudenza è chiara nel ritenere che tale principio non si applica quando le norme locali impongono una distanza inderogabile dal confine, senza prevedere la possibilità di costruire in aderenza. È il caso esaminato dalla Corte, in cui le Norme Tecniche del Comune di Osimo prescrivevano una distanza fissa di cinque metri, senza eccezioni. In tali ipotesi, la disciplina urbanistica prevale su quella codicistica.
La Cassazione ribadisce che, quando le norme locali escludono la possibilità di costruire sul confine, il principio di prevenzione è inapplicabile. La violazione della distanza imposta dalla normativa urbanistica costituisce non solo illecito edilizio, ma anche fonte autonoma di responsabilità civile tra privati, indipendentemente dall’effettiva sussistenza del danno. In sintesi, le regole edilizie locali prevalgono, e non è possibile invocare i principi del codice civile se non compatibili con esse.
Conclusioni
La sentenza n. 7290/2025 della Cassazione si inserisce nel solco tracciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 33645/2022, segnando un punto fermo nella disciplina del danno da violazione delle distanze. La Corte conferma che il danno non è più da presumersi automaticamente, ma richiede una specifica allegazione e prova, anche solo presuntiva, da parte del soggetto leso. Il danno, infatti, non deriva dalla sola violazione edilizia, ma dalla compromissione effettiva del godimento del bene.
Questa impostazione valorizza il principio della personalizzazione del danno e rafforza il rigore probatorio richiesto per ottenere il risarcimento, contrastando soluzioni standardizzate o prive di giustificazione. Allo stesso tempo, si chiarisce che la possibilità di costruire in aderenza non discende dal codice civile in via automatica, ma deve essere espressamente prevista dallo strumento urbanistico locale. In mancanza, la distanza minima prescritta non può essere derogata, e ogni costruzione difforme è da considerarsi illecita.
La decisione della Corte, quindi, contribuisce a rafforzare la coerenza del sistema di tutela del diritto di proprietà, bilanciando le esigenze di certezza del diritto con quelle di effettività e concretezza nella prova del danno.