Con la sentenza n. 12996 del 23 giugno 2016, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha ampliato il numero di casi in cui può essere rilevata d’ufficio la nullità contrattuale da parte del giudice di legittimità.
Le Sezioni Unite e la ratio del rilievo ex officio della nullità contrattuale
Sul punto la Suprema Corte, ribadendo quanto già rilevato da una precedente pronuncia delle Sezioni Unite, che aveva ritenuto legittimo il rilievo ex officio di una nullità negoziale in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), ha voluto chiarire la ratio del principio della rilevabilità d’ufficio della nullità: impedire cioè che il contratto nullo “costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o, comunque, la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici“. La questione di nullità (o meglio, la preliminare verifica della “non nullità” del contratto) rispetto a tutte le azioni di impugnativa negoziale si viene infatti a collocare nell’area della pregiudiziale logico-giuridica.
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha quindi inteso estendere l’obbligatorietà della rilevazione ex officio anche nelle ipotesi in cui (come nella specie) non venga in esame una impugnativa negoziale e, tuttavia, la pretesa azionata in giudizio trovi nel contratto il proprio indefettibile presupposto.
Il caso in esame e l’assenza di impugnativa negoziale
Nel caso in esame, una paziente aveva agito soltanto per conseguire il risarcimento del danno per l’inesatta esecuzione della prestazione odontoiatrica da parte di un medico, non richiedendo, dunque, (neppure incidentalmente) la risoluzione del contratto di prestazione d’opera intellettuale, con le conseguenti restituzioni. La domanda attorea, dunque, è rimasta circoscritta unicamente alla pretesa, svolta ai sensi dell’art. 1218 c.c., del danno patito quale conseguenza dell’illecito contrattuale, in ragione del dedotto inadempimento.
Tuttavia, la richiesta di risarcimento del danno proposta ha trovato il proprio presupposto nel contratto d’opera intellettuale intercorso con il medico all’obbligazione dedotta in contratto e resosi inadempiente alla stessa, postulando l’esistenza di un contratto valido ed efficace, del quale è stata messa in discussione soltanto l’attuazione del rapporto da esso discendente, per non aver il debitore correttamente eseguito la prestazione, provocando, in ragione dell’inesatto adempimento negoziale, danni in pregiudizio del creditore.
Ebbene, anche in tal caso, la Suprema Corte, ritenendo che la “non nullità” del contratto si è comunque posta come pregiudiziale logico-giuridica della pronuncia giudiziale (la quale non potrebbe tollerare di avere come presupposto un contratto affetto da nullità, così da predicarne “in qualche modo la validità o, comunque, la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici”) ha sostenuto la legittimità del rilievo officioso della nullità del contratto d’opera intellettuale dedotto in giudizio e ha provveduto in tal senso, in carenza di rilevazione sia da parte del primo giudice, che della Corte di appello.
Il principio di diritto
Sulla scorta di quanto affermato, la Corte di legittimità ha perciò pronunciato il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 384 c.p.c. :
«Il rilievo officioso della nullità contrattuale – da parte del giudice di legittimità, ove sia mancato nei gradi del giudizio di merito – non attiene soltanto alle azioni di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), ma investe anche la domanda di risarcimento danni per inadempimento contrattuale che sia stata proposta in via autonoma da quella di impugnazione del presupposto contratto (e, nella specie, dall’azione di risoluzione del contratto di cure odontoiatriche intercorso con un odontotecnico)».