Con la sentenza n. 1588 del 27 gennaio 2016, la sesta sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che, in caso di morte del coniuge, non può ritenersi di per sé una manifestazione di possesso dei beni ereditari il fatto che il coniuge superstite permanga nella casa familiare, anche solo parzialmente di proprietà del de cuius. Essa, infatti, potrebbe manifestare un mero esercizio dei diritti di abitazione e di uso.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva annullato una cartella notificata da Equitalia ad una contribuente per la riscossione di un debito tributario del marito defunto. La società di riscossione dei tributi proponeva dunque ricorso in Cassazione rilevando che il fatto che la contribuente ed il suo dante causa fossero coniugi e avessero la stessa residenza costituirebbe circostanza idonea a fondare la presunzione che la contribuente fosse nel possesso dei beni ereditari. Pertanto, non avendo ella chiesto l’inventario entro tre mesi dell’apertura della successione, allo spirare di tale termine era decaduta dal diritto di rinunciare all’eredità, cosicché la rinuncia successivamente effettuata doveva considerarsi priva di effetti.
Come già affermato in un precedente delle Sezioni Unite (Cass n. 4847/13), la Corte di legittimità ha tuttavia ribadito che anche nella successione legittima spettano al coniuge superstite i diritti di abitazione nella casa familiare e di uso della relativa mobilia. Alla luce di tale orientamento, il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare già in proprietà, anche parziale, del de cuius non può dunque ritenersi necessariamente una manifestazione di possesso dei beni ereditari, potendo esso manifestare il mero esercizio dei diritti di abitazione e di uso.
I diritti di abitazione e di uso previsti dall’articolo 540 c.c. a favore del coniuge superstite non sorgono infatti in capo a quest’ultimo a titolo successorio-derivativo, bensì a titolo costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge, indipendentemente dalla qualità di erede, “con cui del resto il diritto di abitazione non ha nulla da spartire, essendo tale diritto acquisito, semmai, in forza di legato ex lege”.
In conclusione, la Corte ha dunque rigettato il ricorso di Equitalia, compensando le spese di lite.