Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza depositata il 14 novembre 2024, ha affrontato la questione dell’applicabilità del principio di soccombenza nel procedimento di correzione degli errori materiali. I giudici hanno risolto il contrasto giurisprudenziale, affermando la prevalenza dell’orientamento tradizionale.
La questione sollevata dalla Terza Sezione Civile
La questione era stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 27681 del 29 settembre 2023. La Terza Sezione aveva evidenziato un contrasto interpretativo relativo alla possibilità di applicare l’art. 91 c.p.c. al procedimento di correzione degli errori materiali, regolato dagli artt. 287 e 288 c.p.c. Il quesito principale riguardava i casi in cui la parte non ricorrente, costituendosi nel procedimento, opponga resistenza all’istanza di correzione, contrapponendo il proprio interesse a quello del ricorrente. La domanda sottoposta alle Sezioni Unite era se, in tali circostanze, si potesse configurare una situazione di soccombenza che obbligasse il giudice a provvedere sulle spese processuali.
Il ragionamento delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, nel rispondere a tale quesito, hanno ribadito che il procedimento di correzione degli errori materiali ha una natura sostanzialmente amministrativa e non contenziosa. Esso è stato qualificato come un mero incidente del giudizio principale, finalizzato esclusivamente a rettificare errori evidenti e formali che non incidono sul contenuto sostanziale del provvedimento originario. La funzione del procedimento è garantire che il testo del provvedimento rifletta correttamente la volontà del giudice, senza introdurre modifiche sostanziali o ulteriori valutazioni. I giudici hanno sottolineato che il procedimento di correzione non risolve una controversia tra le parti, poiché non incide su diritti soggettivi contrapposti. Anche nei casi in cui la parte non ricorrente opponga resistenza all’istanza, il giudice non esercita la potestas iudicandi, ma svolge una funzione meramente tecnica e amministrativa, volta a verificare la sussistenza dell’errore materiale. Il provvedimento conclusivo non ha autonomia rispetto al provvedimento corretto e la sua validità è interamente derivata dal provvedimento originario.
La conferma dell’orientamento prevalente
A sostegno dell’assunto sopra esposto, le Sezioni Unite hanno confermato l’adesione all’orientamento prevalente, che esclude l’applicabilità del principio di soccombenza nel procedimento di correzione degli errori materiali. La Corte ha ribadito l’importanza di preservare la semplicità e la certezza del diritto processuale, affermando che: «L’orientamento prevalente di questa Corte è … da reputarsi tuttora convincente e idoneo a regolare, nella sua pratica schematicità a beneficio della certezza del diritto in materia processuale, l’istituto della correzione degli errori materiali in ogni sua evenienza: e, pertanto, a quello deve essere assicurata continuità …» (cfr. Corte di Cass. 16/07/2024, n.19600; 14/09/2023, n. 26566; 10/02/2023, n. 4171; 08/02/2023, n. 3866; Sez. U. 13/02/2023, n. 4353, in motivazione; Sez. U. 31/01/2023, n. 2903; 24/10/2022, n. 31309; 03/12/2021).
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La critica all’orientamento minoritario
Nel risolvere il contrasto interpretativo, le Sezioni Unite hanno preso in esame anche l’orientamento minoritario che negli ultimi anni aveva tentato di attribuire al procedimento di correzione una valenza contenziosa in determinate circostanze. Secondo questa lettura, qualora la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza, si configurerebbe un conflitto tale da giustificare l’applicabilità del principio di soccombenza. In tale prospettiva, la costituzione della parte resistente trasformerebbe il procedimento in una dinamica contenziosa, con la conseguente necessità di procedere alla liquidazione delle spese processuali. Espressione di questo indirizzo è stata l’ordinanza della Corte Cass.-Sez. I Civ.- sent. n. 18221 del 5 luglio 2019: in questa decisione, infatti, la Suprema Corte di Cassazione aveva condannato alle spese processuali la parte che aveva opposto resistenza all’istanza di correzione, affermando che il principio generale secondo cui il procedimento di correzione non dà luogo alla liquidazione delle spese processuali non può applicarsi quando il contrasto tra le parti richieda un accertamento sull’ammissibilità o sulla fondatezza dell’istanza stessa. L’approccio, seppur minoritario, ha sostenuto che la resistenza della parte non ricorrente possa generare una soccombenza tecnica, riconducendo il procedimento nell’ambito delle norme previste dall’art. 91 c.p.c. Le Sezioni Unite, pur riconoscendo il rilievo di tali argomentazioni, le hanno respinte, sottolineandone i limiti logici e giuridici, evidenziando che l’opposizione della parte non ricorrente non modifica la natura amministrativa del procedimento, il quale rimane confinato alla verifica tecnica di un errore materiale.
Il principio di soccombenza e i suoi presupposti
I giudici hanno chiarito che il principio di soccombenza, sancito dall’art. 91 c.p.c., si applica solo nei procedimenti in cui il provvedimento conclusivo incida effettivamente sui rapporti giuridici tra le parti e risolva un conflitto tra posizioni contrapposte. Nel procedimento di correzione, nessuno di questi presupposti è presente. Il provvedimento conclusivo non modifica l’assetto degli interessi già regolato dal provvedimento originario e non comporta un esito di vittoria o sconfitta tra le parti. Un passaggio significativo della sentenza ha riguardato le premesse interpretative che hanno alimentato il contrasto giurisprudenziale. Le Sezioni Unite hanno osservato che la confusione tra natura e contenuto del provvedimento ha portato a conclusioni erronee, affermando che: «La riflessione dottrinale e l’evoluzione giurisprudenziale hanno invero dimostrato la fallacia di tale premessa, almeno nella parte in cui con essa si è finito con l’identificare, quasi per effetto di una illusione ottica o di un cortocircuito logico, le ragioni della inconfigurabilità di una soccombenza nei procedimenti di volontaria giurisdizione con l’oggetto e il contenuto dei relativi provvedimenti, anziché con il fatto che, normalmente, quei provvedimenti non incidono su situazioni che coinvolgano gli interessi di parti diverse in posizioni contrapposte.»
Il principio di diritto
A conclusione del proprio ragionamento giuridico, le Sezioni Unite Civili hanno formulato il seguente principio di diritto: «Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287-288 e 391-bis cod. proc. civ., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una situazione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 91 cod. proc. civ., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all’istanza.»