Nel presente documento vengono approfonditi i seguenti aspetti del contratto di locazione.
1) il principio in base al quale il locatore, nonostante abbia dato il proprio assenso alla sublocazione, conserva comunque le proprie ragioni nei confronti del conduttore per il pagamento dei canoni da questo ancora dovuti (art. 1595 comma 1 c.c.)
2) il principio in base al quale la nullità e/o la risoluzione del contratto di locazione producono i loro effetti anche nei confronti del subconduttore (art. 1595 comma 3 c.c.), ciò che, tuttavia, non è previsto per i casi di annullamento e/o rescissione.
Sublocazione: sua inidoneità ad impedire l’esercizio dell’azione del locatore verso il conduttore (sublocatore)
Ai sensi dell’art. 1595 comma 1 c.c., “il locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, ha azione diretta contro il subconduttore per esigere il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale, e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione”.
L’espressione “senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore” si presta ad essere interpretata in due modi.
– Essa potrebbe riferirsi al fatto che il conduttore (sublocatore) debba rispondere dell’inadempimento del subconduttore.
Questa tesi potrebbe essere basata sui seguenti motivi.
Il conduttore, pur vantando verso il subconduttore il credito consistente nel pagamento dei canoni, non ha agito per ottenerne il pagamento, e quindi adesso è il locatore ad esercitare direttamente l’azione giudiziale verso il subconduttore. Il locatore, però, poi addebiterà al conduttore – il quale non aveva agito – le spese conseguenti al contenzioso che egli è stato costretto ad avviare.
In sostanza, il conduttore deve rispondere dell’inadempimento del subconduttore in quanto egli, colpevolmente, non ha esercitato contro quest’ultimo alcuna azione giudiziale volta ad ottenere il pagamento dei canoni da questo dovuti. Quindi, il fatto che il conduttore rimanga esposto all’azione da parte del locatore, rappresenta la “punizione” per non aver egli proposto domanda giudiziale contro il subconduttore.
Il problema di questa interpretazione è che un’azione giudiziale diretta da parte del conduttore è prevista – tra l’altro non come obbligo ma come facoltà – soltanto quando quest’ultimo si deve difendere dalle molestie dei terzi che non pretendono di avere diritti sulla cosa (art. 1585 c.c.). Non vi è nessuna norma la quale obblighi il conduttore ad agire contro il subconduttore per il pagamento dei canoni. Quindi, il fatto che siano fatte salve le ragioni del locatore contro il conduttore, in realtà non trova rispondenza nella disciplina del contratto di locazione.
Inoltre, la norma parla di prezzo della sublocazione di cui il subconduttore sia ancora debitore “al momento della domanda giudiziale”: segno che comunque un’azione giudiziale è stata esperita.
Oppure, si potrebbe ritenere che il conduttore venga ad assumere la posizione di “obbligato in solido con il subconduttore”: egli, subaffittando il bene, si è privato del suo godimento, ma rimane comunque solidalmente obbligato con il subconduttore per quel che attiene al pagamento dei canoni da parte di quest’ultimo.
Quindi l’espressione “senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore” significa che il locatore, anziché esercitare l’azione diretta contro il subconduttore, può rivolgersi al conduttore, il quale paga i canoni in qualità di coobbligato e poi esercita l’azione di regresso verso il subconduttore per la propria parte.
Tuttavia, l’obbligazione solidale presuppone che il coobbligato (in tal caso, il conduttore) sia ancora una “parte contrattuale”, ossia abbia ancora un interesse a mantenere la posizione di obbligato, e tale interesse lo si può avere solo se si è ancora “parte” del rapporto. Il coobbligato è colui che, se da un lato deve rispondere solidalmente, dall’altro deve anche poter esigere dal creditore l’adempimento della controprestazione, laddove tale richiesta si può legittimamente avanzare solo ove si sia rimasti nel contratto.
Invece il conduttore (sublocatore), subaffittando il bene, si è privato del suo godimento, e quindi ha cessato di essere parte del rapporto contrattuale con il locatore, non avendo pertanto più titolo a pretendere da quest’ultimo alcuna controprestazione.
Oppure si potrebbe ritenere che il conduttore (sublocatore) venga ad essere un “fideiussore” dell’adempimento da parte del subconduttore, una fideiussione in cui non vi è il beneficio della previa escussione del debitore principale (che, in tal caso, sarebbe il subconduttore): infatti, il locatore può agire anche esclusivamente contro il fideiussore (“senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore”), che poi, pagando, agirà in regresso contro il debitore principale.
Tuttavia, il problema di questa interpretazione è che l’art. 1595 comma 1 c.c., quando parla dei diritti del locatore contro il conduttore, dice “suoi” diritti, ossia si riferisce a ragioni di credito che sono nate dal contratto di locazione, e non dalla sublocazione.
La fideiussione, invece, è una garanzia che viene prestata da un terzo in relazione al contratto sottoscritto da quest’ultimo, e non in riferimento ad un rapporto negoziale instaurato autonomamente tra il creditore ed il fideiussore stesso, il quale è e rimane un terzo estraneo al suddetto contratto.
Pertanto, la norma non sembra poter essere interpretata nel senso che il conduttore debba rispondere dell’inadempimento del subconduttore.
– L’espressione “senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore” si presta, quindi, ad essere meglio interpretata nel senso che il locatore può esercitare l’azione contro il conduttore solo per ottenere il pagamento dei canoni da questo dovuti, e non anche per conseguire il pagamento dei canoni di spettanza del subconduttore. Il locatore, se vuole avere il pagamento dal subconduttore, dovrà esercitare un’azione contro quest’ultimo. E, del resto, la lettera della norma sembra deporre in questo senso.
La domanda però è questa: come mai il locatore, ex art. 1624 c.c., ha dato il proprio consenso alla sublocazione se il conduttore gli doveva ancora dei canoni?
Normalmente, chi è creditore in un rapporto contrattuale, dovrebbe liberare il debitore solo nel caso in cui questo abbia regolarmente adempiuto alle proprie obbligazioni. Qui, invece, il locatore (creditore) acconsente a che il godimento del bene venga trasferito dal conduttore (debitore) ad un terzo, quando il conduttore deve ancora pagare. In teoria, in casi simili, il locatore dovrebbe agire contro il conduttore chiedendo la risoluzione del contratto, con conseguente restituzione del bene, ed il risarcimento del danno. Invece, nel caso della locazione, non è così: il locatore acconsente alla sublocazione, riservandosi di agire contro il conduttore (“senza pregiudizio”), ma si tratta di una “riserva”: egli non ha ancora esercitato alcuna azione contro il conduttore, e d’altra il bene di sua proprietà continua a circolare (vedi sublocazione).
Pertanto, il consenso alla sublocazione nonostante l’inadempimento del conduttore, appare idoneo a configurare una “tacita rinuncia alla risoluzione”, e quindi una sostanziale “remissione del debito” ex art. 1236 c.c. .
Questa conclusione, tuttavia, suscita perplessità, in quanto, ai sensi dell’art. 1453 comma 2 c.c., “la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento”. Ora, se la risoluzione può essere chiesta anche dopo che è stato instaurato il giudizio volto ad ottenere non la cessazione del contratto (ossia, appunto, la risoluzione stessa) bensì l’esecuzione del medesimo, e cioè una tutela opposta a quella derivante dalla risoluzione, allora quest’ultima potrà essere chiesta anche dopo che il creditore (in tal caso, il locatore) abbia, al momento, rinunciato, mediante il consenso alla sublocazione, a chiedere al debitore (conduttore) la restituzione del bene. Quindi, non è vero che il predetto consenso configura una “tacita rinuncia alla risoluzione”.
Sotto questo aspetto, quindi, la salvezza dei diritti del locatore contro il conduttore, prevista dall’art. 1595 comma 1 c.c., sembra essere pienamente legittima.
Potrebbe interessarti anche:
Rumori molesti: la Cassazione obbliga il Comune a risarcire i residenti
Nullità e/o risoluzione del contratto di locazione: effetti sul rapporto tra conduttore (sublocatore) e subconduttore ed effetti nei confronti della sublocazione
L’art. 1595 comma 3 c.c. così dispone: “senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore , e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui”.
Per quanto riguarda la nullità, il principio in base al quale questa non pregiudica le ragioni del subconduttore verso il sublocatore, sembrerebbe comportare che il primo possa agire contro il secondo chiedendo una sorta di tutela risarcitoria a causa del danno derivato dall’interruzione del godimento del bene, interruzione per l’appunto provocata dalla sentenza che abbia dichiarato la nullità del contratto (locazione) con cui originariamente il locatore trasferì tale godimento.
Ebbene, tale principio suscita perplessità in quanto, se era nulla la locazione, dovrà considerarsi nullo anche il contratto – di sublocazione – che da essa è derivato. E’ lo stesso motivo per il quale, a norma dell’art. 1972 c.c., “è nulla la transazione relativa a un contratto illecito”: anche la transazione è un negozio che deriva dal contratto originario, e, se quest’ultimo è nullo, è naturalmente nullo anche il negozio derivato.
Pertanto, non si vede per quale ragione lo stesso principio non debba valere in materia di sublocazione.
Quindi non si comprende che tipo di “ragioni” il subconduttore possa far valere contro il sublocatore.
Diverso il discorso relativo alla risoluzione, perché in tal caso la sublocazione è venuta a cessare – a causa della sentenza di nullità della locazione – non perché sia stata dichiarata l’illiceità di quest’ultima, ma a seguito dell’inadempimento da parte del conduttore (al tempo stesso anche sublocatore), il quale non ha pagato i canoni. In questo caso, effettivamente, la sopravvivenza delle ragioni del subconduttore contro il sublocatore si giustifica proprio a causa della esclusiva imputabilità a quest’ultimo dell’avvenuta risoluzione.
Ma quali sono le “ragioni” che il subconduttore può far valere?
Siccome tali “ragioni” possono essere esercitate solo contro il sublocatore e non anche contro il locatore, sembrerebbe che possa trattarsi esclusivamente di diritti risarcitori, ossia: la locazione, e cioè il contratto base, è stata risolta per colpa del sublocatore, e quindi adesso questi deve risarcire il subconduttore per il danno derivato dall’interruzione del godimento del bene.
Ciò implica che il risarcimento del danno da responsabilità contrattuale (vedi inadempimento della locazione) può essere chiesto anche dal subcontraente: l’inadempimento del debitore espone quest’ultimo non soltanto all’azione diretta da parte del creditore (locatore), ma anche all’azione da parte di colui (subcontraente, appunto) che dal contratto aveva tratto vantaggi (vedi stipula della sublocazione).
Pertanto, il fatto che, ai sensi dell’art. 1595 comma 3 c.c., la risoluzione della locazione non pregiudichi le ragioni del subconduttore contro il sublocatore, appare legittimo.
Ciò posto, ci si pone questa domanda: la risoluzione del contratto di locazione, potrebbe eventualmente far salvo il diritto del subconduttore di continuare a godere dell’immobile?
In base alla formulazione letterale dell’art. 1595 comma 3 c.c., sembrerebbe di no, in quanto si parla di “ragioni del subconduttore verso il sublocatore”, e non di “ragioni del subconduttore verso il locatore”.
Tuttavia, si osserva quanto segue.
Ai sensi dell’art. 1458 comma 2 c.c., la domanda di risoluzione è inefficace nei riguardi del terzo se quest’ultimo abbia trascritto il suo titolo di acquisto prima che venisse trascritta la domanda.
L’art. 1595 comma 3 c.c. non menziona tale caso, ossia non prevede che, se il locatore abbia trascritto la domanda di risoluzione della locazione dopo che il terzo (il quale, in tal caso, sarebbe il subconduttore) abbia trascritto il suo acquisto, tale domanda non abbia effetti contro il terzo. Esso, infatti, stabilisce che, in ogni caso, la risoluzione ha effetto anche contro il subconduttore, a nulla rilevando il fatto che la domanda di risoluzione sia stata trascritta dopo la trascrizione del contratto di sublocazione.
Perché questo? Perché il subconduttore, evidentemente, non viene considerato quale “terzo” rispetto al rapporto tra locatore e conduttore, in quanto la qualifica di “terzo”, ai sensi dell’art. 1458 comma 2 c.c., spetta solo a chi abbia acquistato diritti in base ad un contratto autonomo e separato da quello sottoscritto dalle parti, e non anche a chi tali diritti abbia acquistato (vedi il subconduttore) come “derivazione diretta” del contratto originario. Più precisamente, la qualifica di “terzo” ex art. 1458 comma 2 c.c. può essere attribuita solo a chi abbia acquistato un diritto sul bene oggetto del contratto originario, quando però tale bene è definitivamente uscito dalla sfera giuridica di entrambe le parti di tale contratto, e non anche quando – come nel caso dei “subcontratti” – questo bene sia rimasto nella titolarità giuridica di una delle parti (in tal caso, del locatore).
Pertanto, al quesito sopra posto, sembra doversi dare una risposta negativa: la risoluzione del contratto di locazione non può far salvo il diritto del subconduttore di continuare a godere dell’immobile.
Tuttavia, in merito a questo punto, va anche considerato quanto segue.
L’art. 1595 comma 3 c.c. non distingue tra la risoluzione chiesta dal locatore per inadempimento del conduttore e la risoluzione che invece quest’ultimo sia stato costretto a chiedere a causa della sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione a suo carico (pagamento dei canoni), ex art. 1467 c.c. .
Di conseguenza, la risoluzione della locazione sembra poter pregiudicare la sublocazione anche quando essa sia derivata da un fatto non imputabile a “colpa” del conduttore.
Ebbene, proprio tale mancata distinzione induce a riconsiderare il caso in cui la locazione sia stata risolta per inadempimento del conduttore.
Prevedere, anche in questo caso, che la risoluzione si estenda alla sublocazione, con l’effetto di privare definitivamente il subconduttore del godimento del bene, vuol dire far gravare su quest’ultimo gli effetti di una risoluzione che non si sarebbe avuta se solo il conduttore (sublocatore) avesse adempiuto in maniera corretta al pagamento dei canoni.
Così facendo, si introduce, a carico del subconduttore, una sorta di “responsabilità oggettiva”, la quale tuttavia è prevista dall’ordinamento solo nei seguenti casi: genitori e tutori (art. 2048 c.c.); padroni e committenti (art. 2049 c.c.); attività pericolose (art. 2050 c.c.); danno cagionato da animali in custodia (art. 2052 c.c.); rovina di edificio (art. 2053 c.c.); circolazione di veicoli (art. 2054 c.c.); responsabilità solidale risarcitoria (art. 2055 c.c.).
Ebbene, tra tali casi non rientra quello dell’inadempimento del subcontraente (vedi sublocatore) rispetto agli obblighi da questo avuti in relazione al contratto originario, e quindi l’effetto estensivo della risoluzione di cui all’art. 1595 c.c. appare essere in contrasto con la disciplina prevista in materia di responsabilità oggettiva.
Per questo motivo, estendere alla sublocazione gli effetti della risoluzione della locazione anche quando quest’ultima sia stata risolta per inadempimento, e quindi per “colpa”, del conduttore, appare illegittimo
ex art. 3 Cost., poiché il subconduttore viene penalizzato, mediante il suddetto effetto estensivo, anche quando la risoluzione è imputabile solo ed esclusivamente al comportamento del conduttore, e non solo quando essa sia derivata da fatti (eccessiva onerosità sopravvenuta) non imputabili a quest’ultimo.
Consiglio: Se vuoi approfondire l’applicazione dell’istituto e leggere più commenti e sentenze sul punto, ti suggerisco di consultare:
Manuale del condominio
La prima parte si sofferma su alcuni principi fondamentali in materia di proprietà, di comproprietà e di diritti reali. Successivamente, viene trattato il regolamento condominiale, passando poi alla disamina delle parti, degli impianti e dei servizi comuni, con la relativa contabilizzazione e ripartizione delle spese, senza trascurare gli aspetti della contrattualistica e i riflessi fiscali della gestione condominiale.
La quinta parte è dedicata al funzionamento dell’assemblea e al ruolo, ai poteri e alle responsabilità dell’amministratore di condominio.
Il libro prende poi in esame i rapporti del condominio con i terzi e quelli tra singoli condomini, con le inevitabili controversie che ne derivano, per la soluzione delle quali vengono illustrate le tecniche di risoluzione dei conflitti, imposte per legge.
Il volume è stato altresì aggiornato con la vigente normativa in tema, tra gli altri, di:
› assemblea telematica;
› Riforma del Processo Codice di Procedura Civile e forme di risoluzione alternativa delle controversie (c.d. Riforma Cartabia - D.Lgs. 149/2022);
› superbonus e bonus edilizi;
› misure antincendio;
› equo compenso per le professioni non organizzate in ordini e collegi (legge 49/2023);
› potabilità delle acque (D.Lgs. 18/2023).
Nell’apposito spazio online, è infine disponibile una raccolta di formule personalizzabili, utilissime per redigere i più importanti atti della pratica condominiale.
Silvio Rezzonico
È stato avvocato in Milano e autore di diversi libri e saggi in materia di diritto immobiliare. Ha collaborato con il Gruppo 24 Ore, con Maggioli Editore e con l’Università degli studi di Firenze. Da ultimo è stato anche docente presso l’Università degli studi telematica E-campus.
Matteo Rezzonico
Avvocato cassazionista e pubblicista in Milano, è autore di numerose pubblicazioni di diritto immobiliare ed edilizio. In particolare, collabora con il Gruppo 24 Ore (Norme e Tributi, Esperto risponde e Consulente immobiliare) e con Giuffrè Editore (portale condominio e locazioni). Presidente della FNA, Federazione Nazionale degli Amministratori Immobiliari e Vicepresidente della Confappi, Confederazione della Piccola Proprietà Immobiliare, per conto della quale riveste anche il ruolo di Presidente della sede provinciale di Milano e di componente della Commissione Legale Nazionale di FNA – Confappi.
Luca Rezzonico
Avvocato in Milano. Si occupa di diritto immobiliare ed è coautore di diverse pubblicazioni in materia.
Annullamento/rescissione del contratto di locazione: effetti sulla sublocazione
Il principio in base al quale la sentenza di risoluzione o nullità della locazione si estende anche alla sublocazione, non viene stabilito dall’art. 1595 c.c. per il caso in cui la locazione venga annullata o rescissa.
Quindi, nel silenzio della norma, sembrerebbe che l’annullamento/rescissione della locazione non si estenda anche alla sublocazione, con la conseguenza che il contratto concluso dal subconduttore continua a rimanere valido.
Ci si chiede, pertanto, se vi sia un principio in base al quale l’annullamento/rescissione del contratto principale si estenda anche al subcontratto.
Per quanto riguarda la nullità e la risoluzione, abbiamo fatto questo discorso: se l’art. 1595 c.c. non fa espressamente salvo il diritto del terzo (subconduttore) nel caso in cui l’acquisto di quest’ultimo sia stato trascritto prima che venisse trascritta la domanda di nullità/risoluzione, ciò evidentemente è perché il subcontraente non è qualificato dall’ordinamento come “terzo”. Altrimenti, l’art. 1595 c.c. stabilirebbe lo stesso principio previsto dalla disciplina generale in materia di trascrizione, ossia quello in base al quale la preventiva trascrizione del contratto del terzo fa salvo il diritto di quest’ultimo, a prescindere dal fatto che sia stata domandata la nullità/risoluzione del contratto originario (che, in tal caso, sarebbe quello concluso tra il locatore ed il conduttore). Quindi, se l’art. 1595 c.c. non ribadisce tale principio generale, ciò accade perché il subcontraente non può essere considerato “terzo” rispetto al contratto originario, ragion per cui la nullità/risoluzione di quest’ultimo non può che estendersi anche al subcontratto.
Ed allora, perché questo stesso principio non viene previsto anche per il caso di annullamento/rescissione del contratto originario? Se ne dovrebbe dedurre che in questi casi, a differenza di quelli di nullità/risoluzione, l’art. 1595 c.c. considera il subconduttore come “terzo”, ragion per cui torna ad operare il principio generale in base al quale il subconduttore, se ha trascritto il suo acquisto prima che il locatore trascrivesse la domanda di annullamento/rescissione, è salvo, nel senso che la locazione cessa ma la sublocazione prosegue.
Dovrebbe, quindi, valere il principio per cui l’eventuale vizio di volontà (annullabilità) nel quale sia incorso il locatore quando ha stipulato il contratto con il conduttore, oppure l’eventuale squilibrio negoziale (rescindibilità) in cui il locatore si sia venuto a trovare rispetto al conduttore, non abbiano una forza tale, loro malgrado, da agire anche contro il subconduttore. Ma si tratterebbe di un principio difficile da adottare, in quanto, in base ad essa, il subcontraente sarebbe “terzo”, ex art. 1458 comma 2 c.c., solo nei casi di annullamento/rescissione, mentre non sarebbe più “terzo” nei casi di nullità/risoluzione.
Quindi, per poter fare un’analisi coerente, occorre esaminare ciascuna delle due fattispecie.
Analizziamo il caso dell’annullabilità.
Quest’azione può essere esercitata laddove il consenso del locatore sia stata viziato, o per un errore in cui questo sia incorso nel ritenere lecito (errore di diritto) o vantaggioso (errore di fatto) fare la locazione, o per il dolo usato dal conduttore.
Per quanto attiene al dolo, questo è un comportamento imputabile solo ed unicamente al conduttore, e non anche al subconduttore. Pertanto, si devono ribadire le stesse considerazioni sopra fatte riguardo all’effetto estensivo della risoluzione della locazione per inadempimento del conduttore: penalizzare quest’ultimo (a causa dell’effetto estensivo della sentenza di annullamento della locazione) significherebbe configurare in capo al medesimo una sorta di “responsabilità oggettiva”, la quale tuttavia, come abbiamo visto, è prevista dall’ordinamento in casi diversi da quello in cui il consenso negoziale sia stato estorto con dolo. Tale “estorsione del consenso” non rientra in nessuno dei casi sopra citati, ragion per cui il fatto che il conduttore sia stato in dolo e che, a motivo di ciò, il locatore abbia ottenuto una sentenza di annullamento della locazione, non dovrebbe incidere sul contratto concluso dal subconduttore, il quale quindi dovrebbe continuare a godere dell’immobile fino a scadenza.
Per quanto attiene all’errore di fatto, il locatore può essere incorso in quest’ultimo per una, appunto, errata valutazione della situazione esistente al tempo della locazione, e quindi per un vizio del consenso che, a differenza del dolo, non è imputabile al conduttore. Il locatore, se avesse conosciuto la reale situazione di fatto, non avrebbe mai accettato di stipulare la locazione e quindi di privarsi, seppur solo temporaneamente, del godimento diretto del bene. A quel punto, per coerenza, la decisione di far annullare la locazione dovrebbe avere i suoi effetti anche verso il subconduttore: se, a seguito della sentenza di annullamento, è risultato che il locatore non voleva privarsi del godimento del bene quando ha stipulato la locazione, questo è il segno che egli non voleva privarsi di ciò nei riguardi di nessuno, chiunque egli fosse, e quindi sia del conduttore che del subconduttore.
Per quanto attiene all’errore di diritto, il locatore può aver ritenuto erroneamente come lecito il contratto di locazione, quando invece questo era illecito. In tal caso, però, siccome si parla di “illiceità”, si rientra nell’ipotesi della nullità, la quale, per espressa previsione dell’art. 1595 c.c., si estende anche al contratto di sublocazione.
Analizziamo adesso il caso della rescindibilità.
La rescissione può essere chiesta in due casi: quando la parte abbia “assunto l’obbligazione a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona” (art. 1447 c.c.), e quando vi sia “sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio” (art. 1448 c.c.).
In entrambi i casi la controparte era a conoscenza della situazione di precarietà che aveva obbligato la parte a stipulare il contratto. Tale conoscenza, nella seconda ipotesi (art. 1448 c.c.), sfocia nell’approfittare dell’altrui condizione di inferiorità per ottenere un arricchimento (ossia l’utile contrattuale), e quindi assume più marcatamente i contorni del “dolo”.
Ciò premesso, il locatore era stato costretto a stipulare la locazione ad un canone molto più basso rispetto a quello che egli avrebbe voluto ottenere, e ciò è accaduto perché il medesimo, in quel particolare momento, si trovava in una situazione di “oggettivo” bisogno.
Successivamente, il conduttore aveva a sua volta locato l’immobile ad un terzo (subconduttore), per il medesimo canone.
Ad un certo punto il locatore, che eppure all’inizio aveva accettato di incassare un minor canone allo scopo di soddisfare temporaneamente questo bisogno, si accorge che tale incasso in realtà è per lui foriero più di svantaggi che di vantaggi, in quanto non soltanto il suddetto bisogno non è stato pienamente soddisfatto ma un’eventuale prosecuzione del contratto a quelle condizioni gli causerebbe dei danni (magari anche più grandi di quelli cui sarebbe andato incontro se non avesse accettato di stipulare a condizioni inique). Per questa ragione, egli chiede la rescissione del contratto di locazione.
Tale rescissione, se non si estendesse al contratto di sublocazione, non risolverebbe il problema del locatore, perché questi continuerebbe pur sempre ad incassare un canone inferiore a quello che invece gli spetterebbe, in base al valore di mercato dell’immobile ed anche al buono stato del medesimo: l’unica differenza risiederebbe nel fatto che questo minor canone lo incasserebbe dal subconduttore anziché dal conduttore (visto che la locazione è stata rescissa). Ma questo significherebbe vanificare gli effetti della sentenza di rescissione ottenuta.
Quindi, un’eventuale sopravvivenza del contratto di sublocazione sarebbe giustificabile solo laddove il locatore, dopo la sentenza che abbia dichiarato rescissa la locazione, potesse esigere dal subconduttore un canone maggiore rispetto a quello fino a quel momento pagato dal conduttore.
Ma è ammesso ciò? Il canone – ossia “il prezzo” – è un elemento essenziale del contratto (art. 1325 c.c.).
Quindi l’eventuale pretesa del locatore di mantenere efficace la sublocazione incassando un maggior canone, e cioè un maggior “prezzo”, configurerebbe un “nuovo contratto”: se cambia un elemento essenziale del contratto, cambia anche il contratto stesso.
La domanda è questa: tale “nuovo contratto”, tecnicamente, costituisce una “novazione oggettiva”?
Quest’ultima, ai sensi dell’art. 1230 c.c., sussiste “quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”. Si parla di “titolo” od “oggetto”, e quindi una novazione in tal caso si avrebbe solo se da “sublocazione” si passasse a “vendita”, oppure solo se la sublocazione, anziché avere ad oggetto il medesimo immobile che era stato locato al conduttore (poi sublocatore), avesse ad oggetto un diverso di proprietà del locatore. Non si parla di “prezzo”, e quindi si deve ritenere che l’eventuale maggior prezzo preteso dal locatore nei confronti del subconduttore non sia tale da configurare una “novazione”. Quindi tale maggior prezzo non determina la nascita di un “nuovo” contratto tra locatore e subconduttore, ma solo una modifica del contratto attuale. Ebbene, tale modifica altro non è che l’espressione di quella “autonomia negoziale” (art. 1322 c.c.) che costituisce l’essenza stessa dei rapporti intersoggettivi. Tale autonomia, nel caso di specie, trova la sua ragione in ciò: fino a ieri il locatore incassava dal conduttore un canone troppo basso rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto, e lo incassava a causa di un momentaneo stato di bisogno; poi questo minor canone si è rilevato per il locatore più dannoso che vantaggioso, il che lo ha costretto a domandare la rescissione; dopo la rescissione, il locatore ha chiesto al subconduttore la disponibilità a pagare un canone più elevato (disponibilità che il conduttore/sublocatore invece non gli aveva mai dato, tant’è che anzi questo si è sempre “approfittato” di questa situazione); e questo è il motivo per il quale, nonostante la rescissione della locazione, il contratto di sublocazione rimane pienamente valido ed efficace. Per quale motivo il locatore, una volta ottenuta la rescissione della locazione, non dovrebbe poter rinegoziare con il subconduttore il canone in senso a lui migliorativo?
Un eventuale norma la quale imponesse al locatore il divieto di rinegoziazione, sarebbe in contrasto con il principio di autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., la quale dovrebbe essere, a maggior ragione, salvaguardata proprio quando – come nel caso di specie – la predetta rinegoziazione rappresenta lo strumento mediante cui compensare i danni causati da quella situazione di inferiorità negoziale nella quale il locatore si era venuto a trovare dinanzi al conduttore e di cui quest’ultimo aveva approfittato.
Pertanto, l’art. 1595 comma 3 c.c. dovrebbe essere modificato nel senso di prevedere che la rescissione della locazione non si estende alla sublocazione ma solo nel caso in cui tra il locatore ed il subconduttore il canone venga rivisto in aumento.