Sezioni Unite: l’appellato vittorioso in primo grado deve riproporre la domanda di garanzia ex art. 346 c.p.c. senza appello incidentale condizionato

Con la sentenza n. 7700 del 19 aprile 2016, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, a composizione di contrasto giurisprudenziale, hanno chiarito quale sia lo strumento processuale utilizzabile dall’appellato per sottoporre al giudice d’appello la propria domanda di “manleva” nei confronti del terzo chiamato in garanzia, non esaminata dal giudice di primo grado, a causa del rigetto della domanda principale dell’attore.

Come già ampiamente illustrato nel commento all’ordinanza interlocutoria con cui sono stati rimessi gli atti al Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, il contrasto in questione era tra due indirizzi: secondo un primo orientamento, il convenuto-appellato, se intende devolvere al giudice d’appello la decisione sulla domanda di garanzia rimasta assorbita in primo grado, debba farlo con la proposizione di un appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale dell’originario attore (v. ex multis Cass. n. 15107 del 2013). L’indirizzo minoritario reputava invece che, in quanto non soccombente, il convenuto-appellato non avesse alcun motivo di dolersi della decisione gravata con un’impugnazione incidentale, potendo limitarsi a riproporre la domanda di garanzia non esaminata dal primo giudice e dunque rimasta assorbita, affinché non si verifichi la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c.

Ebbene, secondo le Sezioni Unite, il contrasto deve essere sciolto a favore dell’orientamento minoritario, che non reputa necessario l’appello incidentale: l’indirizzo maggioritario non è infatti condivisibile perché assegna all’appello incidentale “una funzione del tutto ultronea rispetto a quella sua propria, cioè al suo scopo, e del tutto eccentrica rispetto al suo profilo strutturale, che l’ordinamento disegna in coerenza con lo scopo stesso“.

L’appello incidentale, rilevata la sua equivalenza sotto il profilo funzionale e contenutistico all’appello principale e dunque certamente soggetto all’art. 342 c.p.c., si è sempre connotato e continua a connotarsi come un’impugnazione, un mezzo cioè con cui si rivolgono critiche (sulla base di motivi limitati oppure senza limitazione di motivi, a seconda della natura dello specifico mezzo di impugnazione) alla decisione. L’oggetto della critica e, dunque, l’impugnazione con cui essa viene espressa, deve allora riguardare necessariamente la motivazione (espressa o implicita) o la mancanza di motivazione o l’omesso esame di una domanda o di un’eccezione in quanto risultino avere inciso sul contenuto della decisione.

Affermano le Sezioni Unite che è proprio tenendo conto della coincidenza fra i profili funzionali e contenutistici dell’appello incidentale con quelli dell’appello principale, che si deve procedere all’individuazione del discrimine dal diverso istituto della c.d. riproposizione, regolato dall’art. 346 c.p.c.: al concetto della riproposizione deve infatti ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata e, quindi, di ciò che è connaturato al concetto di impugnazione. In altre parole, il legislatore ha introdotto la riproposizione per poter prospettare al giudice di appello domande ed eccezioni soltanto “riproposte” in quanto da quel giudice “non accolte”, ma senza che egli le abbia considerate espressamente o implicitamente nella sua motivazione, senza che le valutazioni su di esse abbiano potuto determinare il contenuto della decisione e dunque senza che l’omissione della decisione su di esse abbia determinato la decisione. Ipotesi che, se esistenti, avrebbero richiesto l’argomentazione di una critica alla decisione impugnata e, dunque, di un appello incidentale.

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato che non può in nessun modo parlarsi di “riforma” di una decisione che non vi era stata, in ragione dell’assorbimento della domanda di garanzia e di rivalsa. Invero, dopo la riforma della decisione sulla domanda principale, è tornata ad essere necessaria una decisione sulla domanda di garanzia e di rivalsa, che non si era verificata in primo grado non per errore del primo giudice, sottoponibile come tale a critica, “bensì per mancato avveramento oggettivo della stessa condizione cui la cognizione della domanda de qua era sottoposta“.

Ne consegue che la determinazione di tale dovere in capo al giudice d’appello, non supponendo una critica alla decisione di primo grado e, dunque, esorbitando dal profilo dell’impugnazione incidentale, deve allora intendersi affidata all’istituto della c.d. mera riproposizione della domanda di cui all’art. 346 c.p.c., trattandosi solo della conferma dell’interesse ad ottenere la decisione sulla domanda di garanzia e di rivalsa sempre condizionatamente all’eventuale accoglimento dell’appello principale e, dunque, al riconoscimento della fondatezza della domanda principale.

In conclusione, le Sezioni Unite, a composizione del contrasto, hanno dunque enunciato il seguente principio di diritto:

Nel caso di chiamata in garanzia, qualora il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda principale e non abbia deciso sulla domanda di chiamata in garanzia e sulle sue implicazioni (rivalsa), in quanto la decisione su di essa era stata condizionata all’accoglimento della domanda principale e non era stata chiesta né dal convenuto preteso garantito né dal preteso garante indipendentemente dal tenore della decisione sulla domanda principale, ove l’attore appelli la decisione di rigetto della domanda principale (impugnazione da rivolgersi necessariamente contro il convenuto ed il terzo), ai fini della devoluzione al giudice d’appello della cognizione della domanda di garanzia per il caso di accoglimento dell’appello e di riconoscimento della fondatezza della domanda principale, non è necessaria la proposizione da parte del convenuto appellato di un appello incidentale, ma è sufficiente la mera riproposizione della domanda di garanzia ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, SS. UU. civili, sentenza n. 7700 del 19 aprile 2016

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