Vittoria in primo grado con eccezioni disattese o assorbite: necessario l’appello incidentale per evitare acquiescenza ex art. 329 c.p.c.?

Con l’ordinanza interlocutoria n. 4058 del 1° marzo 2016, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione, su cui vi è contrasto, se la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, per evitare l’acquiescenza ex art. 329 c.p.c. in caso di gravame da parte del soccombente, abbia l’onere di proporre appello incidentale sulle eccezioni implicitamente o espressamente non accolte nella sentenza di primo grado oppure se sia sufficiente la loro riproposizione nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

In altre parole, la questione processuale è quella di stabilire, a fronte non già del semplice assorbimento o della mancata disamina, ma dell’espresso rigetto di un’eccezione della parte, e peraltro di un’eccezione in senso stretto (quale quella di prescrizione nel giudizio in esame), se la parte – risultata per il resto totalmente vittoriosa – qualora sia interessata ad una nuova disamina da parte del giudice di appello, debba proporre appello incidentale ovvero possa limitarsi alla mera riproposizione della questione ex art. 346 c.p.c., come sembra essere avvenuto nel caso di specie.

Sul punto, sussiste in effetti un datato contrasto: da una parte c’è chi ha sostenuto che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello: non sarebbe infatti applicabile il principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione, nè potrebbe applicarsi l’art. 346 c.p.c. (riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso) a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali troverebbe semmai applicazione la previsione dell’art. 329, co. 2, c.p.c., per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza (ordinanza 16 ottobre 2008 n. 25246).

Di segno opposto è invece l’altro orientamento, anch’esso delle Sezioni Unite, secondo il quale “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione “le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado“, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. 26 novembre 2010 n. 24021).

Considerata dunque la sussistenza di una questione di massima di particolare importanza, la Corte ha ritenuto sussistente l’opportunità di richiedere al Primo Presidente di valutare, ai sensi dell’art. 374 co. 2 c.p.c., se disporre l’intervento delle Sezioni Unite.

Leggi il testo integrale: Corte di Cassazione, sez. II civile, ordinanza n. 4058 del 1° marzo 2016

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