Con la sentenza n. 5594 del 22 marzo 2016, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di luci e vedute, se e quando una veduta illegittima possa essere trasformata in luce.
Sul punto, sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui nel caso di apertura di veduta abusiva, l’offerta di rimuovere la violazione mediante trasformazione della medesima in luce non può essere disattesa dal giudice: questo perché tale trasformazione – comunque sempre praticabile ai sensi dell’art. 903 c.c. e con le caratteristiche di cui al precedente art. 901 c.c. – si risolve in eliminazione della veduta abusiva, con conseguente restaurazione del diritto del vicino da essa leso (Cass. n. 1511/82).
La Suprema Corte ha tuttavia specificato la portata di tale principio: dato per presupposto che, ai sensi dell’art. 903 c.c., le luci si aprono sul “muro” comune o non “contiguo al fondo altrui”, la facoltà di trasformare una veduta in luce presuppone che anche questa debba essere aperta lungo il medesimo muro preesistente, in mancanza del quale non può darsi trasformazione dell’una apertura nell’altra. Sarebbe infatti contraddittorio rispetto agli artt. 901 e 903 c.c., ipotizzare che “la veduta esercitata da un balcone posto a distanza inferiore a quella di cui all’art. 905, cpv. c.c., possa essere eliminata e trasformata in luce, previo tamponamento su tre lati del balcone stesso“, cioè creando ex novo dei muri che, a loro volta, integrerebbero gli estremi di una costruzione da tenere a distanza ancora maggiore.
In altre parole, secondo la Corte di legittimità, la reintegrazione di un diritto leso non può essere attuata provocando una lesione di tipo diverso.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva ordinato la rimozione di un balcone posto a distanza inferiore a quella stabilita dall’art. 905, c.c.. Ma la Corte d’Appello, a parziale modifica, aveva condannato a trasformare, in luogo che ad eliminare, il balcone mediante opere ed accorgimenti idonei ad impedire l’esercizio della servitù di veduta: con la logica conseguenza che per sanare la veduta illegittimamente aperta, la sentenza impugnata avrebbe consentito la realizzazione di una nuova costruzione, in aperta violazione delle suddette norme che prescrivono una distanza maggiore rispetto a quella che sarebbe possibile rispettare.
Sulla scorta di quanto affermato, la Corte ha pertanto cassato la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello e pronunciando il seguente principio di diritto:
La facoltà di trasformare una veduta illegittima in luce, quale si desume dall’art. 903 c.c., presuppone che anche questa debba essere aperta lungo il medesimo muro preesistente, in mancanza del quale non può darsi trasformazione dell’una apertura nell’altra. È pertanto da escludere che la veduta esercitata da un balcone posto a distanza inferiore a quella di cui all’art. 905, cpv. c.c., possa essere eliminata e trasformata in luce previo tamponamento su tre lati del balcone stesso, cioè creando ex novo dei muri che, a loro volta, integrerebbero gli estremi di una costruzione da tenere a distanza ancora maggiore, in quanto la reintegrazione di un diritto leso non può essere attuata provocando una lesione di tipo diverso.
Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza n. 5594 del 22 marzo 2016