Utenti e-commerce e comunicazione dei redditi

Il presente lavoro ha lo scopo di indagare le novità contenute nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 20 novembre 2023 (i cui termini sono stati prorogati con provvedimento n.22931 del 30 gennaio 2024) il quale, estendendo l’obbligo di comunicazione dei redditi realizzati anche per i gestori di piattaforme digitali che svolgono attività di e-commerce, contribuisce ad ampliare la gamma degli strumenti di cooperazione in possesso degli Stati membri dell’Unione per individuare e reprimere le condotte fraudolente, elusive ed evasive degli operatori economici.
L’assunto di partenza è il principio di territorialità quale paradigma per stabilire l’efficacia, o meno, della norma tributaria; quello di arrivo, invece, vuole essere la consapevole valutazione della dematerializzazione della ricchezza, tale da indurre l’Unione europea a riscrivere le regole della compartecipazione amministrativa in materia fiscale.

La norma tributaria nello spazio: la territorialità cd. “formale” e “materiale”

L’efficacia dell’obbligazione tributaria, e per l’effetto la subordinazione dei consociati al suo adempimento, si esprime all’interno di un dato territorio, pertanto il concetto di territorialità si rivela, contestualmente, quale presupposto per l’esercizio del potere impositivo da parte dello Stato e limite a tale legittimazione. L’una o l’altra accezione, infatti, sarà fruibile a seconda di quale nozione si decide di sottoporre ad analisi: quella di territorialità intesa quale fondamento imprescindibile per l’esercizio dei poteri dello Stato nei confronti di una specifica comunità di riferimento, ovvero una territorialità che assurge a demarcazione spaziale del potere, superata la quale l’esercizio del diritto impositivo si trasforma in violazione della territorialità di un altro Stato sovrano[1].
Più esattamente, nel corso del tempo le elaborazioni aventi ad oggetto il principio di territorialità hanno visto nascere varie teorie tutte protese a definire il contenuto del canone di cui sopra, ora qualificando la territorialità in termini formali, ora attribuendole connotazioni sostanziali.
Con l’espressione territorialità cd. in senso formale si fa riferimento alla validità e all’efficacia della legge tributaria nello spazio, oltreché alla delimitazione dell’esercizio dei poteri di attuazione del tributo; elementi strettamente connessi all’ambito territoriale all’interno del quale l’Ente esercita la sua sovranità.
A sua volta, alla territorialità formale sono state attribuite due accezioni differenti per intensità. Invero, mentre la territorialità formale – forte richiama l’esistenza di una potestà (in species impositiva) distinta rispetto ad altre forme di manifestazione di volontà dell’Ente; la territorialità formale – debole, invece, individua in questo elemento un limite all’esercizio della potestà medesima. Ne deriva che, se è vero che lo Stato possiede il potere di autodeterminarsi per lo svolgimento delle funzioni che è chiamato ad esercitare, potere che è anche di tipo impositivo, le scelte di quest’ultimo non risulteranno sproporzionate se circoscritte all’interno di perimetri territoriali (anche internazionali) che regolamentano l’esercizio dei pubblici poteri.
Venendo alla territorialità cd. materiale, invece, ci si riferisce alla determinazione dell’ambito spaziale del presupposto di imposta nel momento in cui viene ad esistenza la norma impositiva[2]. L’interpretazione del principio di territorialità materiale, inoltre, non si limita alla ricerca di un raccordo tra presupposto e territorio, ma assume particolare rilevanza quale demarcazione oggettiva nell’individuazione dei soggetti obbligati alla contribuzione in virtù del finanziamento delle molteplici forme che assume la spesa pubblica, così come richiesto dall’ordinamento e, più in grande, dalla Costituzione[3]. Se così è le scelte effettuate dal Legislatore dovranno rispettare due parametri: dal punto di vista oggettivo, l’obbligo tributario dovrà calibrarsi al principio di capacità contributiva; dal punto di vista soggettivo, invece, dovrà essere rispettata, in capo ai soggetti chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, l’appartenenza ad una data collettività, quale requisito minimo per pretendere il finanziamento della stessa. Ne deriva che se un tributo dovesse assumere a presupposto un fatto privo di qualsiasi collegamento con il nostro territorio risulterebbe, prima ancora che in difformità con i dettami del diritto internazionale, in contrasto con l’art. 53 Cost.
Tanto premesso in ordine alla necessità che l’imposizione di un determinato fatto economico si fondi sul collegamento ad uno specifico territorio, occorre individuare i criteri effettivamente idonei a creare il raccordo, al fine di stabilire se un soggetto appartiene, o meno, ad un dato territorio e se, per l’effetto, grava sullo stesso un dovere di contribuzione da particolareggiare nel quantum.
A tal riguardo, il nostro ordinamento distingue due tipologie di criteri di collegamento: quelli di natura personale e quelli di natura reale.
Utilizzando come parametro di analisi le imposte sui redditi (tralasciando volutamente le peculiarità che può assumere la territorialità in rapporto a specifiche imposte, quali l’imposta di registro, di bollo, l’Iva, l’Irap e l’imposta sulle successioni ecc…), se per un verso si guarda al canone di natura personale della residenza fiscale, in cui l’individuazione del presupposto di imposta avviene guardando allo stanziamento del soggetto in una specifica collettività; per altro, e quando il primo non opera, si è soliti richiamare il criterio reale del luogo di produzione del reddito, guardando al territorio in cui il Legislatore assume essersi realizzato il presupposto che giustifica la pretesa impositiva. Si tratta di metodi, dunque, che afferiscono alla struttura del tributo, in termini personali come possesso di un reddito complessivo e, in termini reali, guardando alla produzione di una data ricchezza.
Il diverso significato che può essere attribuito, rispettivamente, al criterio di residenza, ovvero al criterio di produzione di reddito, inoltre, può determinare problemi di doppia imposizione internazionale. In sostanza, la delimitazione degli ambiti di giurisdizione fiscale dei singoli Paesi, realizzata attraverso il ricorso ai medesimi criteri spesso, ed inevitabilmente, crea il rischio di realizzare una doppia imposizione.
Nello specifico, le principali cause che determinano il fenomeno della doppia imposizione internazionale spesso derivano dalla manifestazione di tre tipologie di conflitto:

  1. Conflitto: residenza-fonte > quando una situazione di fatto viene assunta a presupposto dei tributi in uno Stato sulla base di un criterio soggettivo e, nell’altro Stato, sulla base di un criterio oggettivo.
  2. Conflitto: residenza-residenza > quando lo stesso soggetto viene considerato residente in più Stati,
  3. Conflitto: fonte-fonte > quando una medesima fonte di reddito viene localizzata in più Stati, indipendentemente dalla residenza del soggetto, perché assume rilievo sulla base di un diverso criterio di collegamento.

Focalizzato il problema, e limitando l’indagine alla doppia imposizione internazionale di tipo giuridico[4], è opportuno sottolineare che esistono specifici meccanismi, attivati dai singoli Stati, finalizzati alla eliminazione della duplicazione del prelievo[5].
Più in particolare, i meccanismi attraverso cui correggere il rischio di doppia imposizione possono essere unilaterali, quando regolamentati solo dagli ordinamenti interni, ovvero bilaterali/multilaterali, tutte le volte in cui costituiscono il corpo di specifici trattati.
Sul punto, il nostro ordinamento riconduce nell’alveo dei meccanismi unilaterali sia il credito per le imposte pagate all’estero ex art. 165 TUIR[6] sia l’istituto dell’esenzione ex art. 168-ter TUIR[7]. Tuttavia, al netto della prassi maggiormente invalsa nelle dinamiche internazionali, gli strumenti a cui ricorrono gli Stati per arginare il rischio della doppia imposizione sono di natura pattizia (quali ad esempio le convenzioni) e finalizzati alla chiara ripartizione della potestà impositiva tra soggetti parimenti legittimati. Nello specifico, si tratta di accordi internazionali a contenuto eterogeneo, considerato che gli stessi possono contenere, rispettivamente: norme di definizione, norme di ripartizione, procedure amichevoli di risoluzione di eventuali conflitti interpretativi/applicativi delle convenzioni medesime, disposizioni di non discriminazione, norme che disciplinano lo scambio di informazioni tra Stati.
In ogni caso, e in relazione ad ogni epifania dello strumento pattizio, va precisato che la finalità di questi trattati non si riduce alla mera eliminazione della doppia imposizione, bensì involge aspirazioni più ampie: evitare la doppia “non” imposizione internazionale, ridurre la costituzione in essere di condotte elusive ed evasive aventi dimensioni transfrontaliere; favorire gli scambi economici e commerciali tra Stati virtuosi; e per quel che interessa la presente disamina,  incoraggiare lo scambio di informazioni per promuovere un’imposizione equa ed efficace in tutto il mercato unico e la riscossione di tutte le imposte là dove sono dovute.

Direttiva (UE) 2021/514 del Consiglio del 22 marzo 2021 recante modifica della Direttiva 2011/16/UE relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale

Tra gli strumenti ideati dalla politica coordinata dell’Unione europea in materia fiscale, lo scambio di informazioni tra Stati ha rappresentato l’istituto più efficace non solo per assicurare la riscossione delle imposte, ma per accrescere la consapevolezza della dimensione unitaria nei contribuenti, rafforzare gli investimenti e potenziare la concorrenza.
Così, nell’ambito della cooperazione euro-unitaria e nella consapevolezza dell’incremento delle operazioni realizzate su piattaforme elettroniche (cd. E-commerce) [8], quest’ultime capaci di generare e movimentare ingenti flussi di ricchezza, l’Unione ha invitato gli Stati membri a rafforzare lo scambio di informazioni, al fine di agevolare l’individuazione e, di conseguenza, la repressione di frodi, evasioni ed elusioni fiscali.
Ancora, specifica il Consiglio d’Europa, data la natura e la flessibilità delle piattaforme digitali, l’obbligo di comunicazione dei ricavi realizzati con queste attività non interessa solo i gestori di piattaforme residenti all’interno dell’Unione, ma anche i gestori di piattaforme che svolgono attività commerciali nell’Unione ma che non sono residenti ai fini fiscali, né sono costituiti o gestiti, né hanno una stabile organizzazione in uno Stato membro (cd. gestori di piattaforme straniere); e ciò, al precipuo scopo di garantire la parità di condizioni tra tutte le piattaforme digitali, impedendo manifestazioni concorrenziali sleali.
Gli obiettivi di cui sopra, dunque, hanno trovato condivisa concretizzazione nella Direttiva 2021/514/UE del Consiglio recante ulteriori modifiche della Direttiva 2011/16/UE del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale.
Più in particolare, la Direttiva 2011/16/UE, nel corso degli ultimi anni, è stata più volte modificata attraverso l’ampliamento degli obblighi di comunicazione riferiti: allo scambio automatico di informazioni in relazione ai conti finanziari-Direttiva 2014/107/UE; ai ruling preventivi transfrontalieri e agli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento-Direttiva 2015/2376/UE; al contrasto alle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva-Direttiva 2016/881/UE; all’accesso da parte delle autorità fiscale alle informazioni in materia di antiriciclaggio-Direttiva 2016/2258/UE; ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di comunicazione-Direttiva 2020/876/UE.
Nel solco della precedente, dunque, anche la Direttiva 2021/514/UE, attuata nel nostro ordinamento per mezzo del D.lgs. 32/2023[9], si è mossa verso una duplice direzione, ossia: da un lato, perfezionare il quadro normativo già esistente, attraverso l’estensione e il rafforzamento delle disposizioni concernenti le molteplici forme di scambio; e dall’altro, ampliando le l’ambito di operatività dello scambio automatico ed obbligatorio per i gestori di piattaforme digitali.
Nel dettaglio, in relazione al primo profilo, la Direttiva oggetto di recepimento, ha inteso codificare la norma di prevedibile pertinenza delle informazioni (cd. foreseeable relevance), delineare nell’ambito di un quadro giuridico chiaro le richieste collettive concernenti un gruppo di contribuenti,estendere lo scambio automatico obbligatorio di informazioni alla categoria delle royalties, ampliare il novero delle informazioni da trasmettere, nonché regolamentare l’esecuzione dei controlli congiunti (joint audits).
In relazione poi al secondo profilo di intervento, la Direttiva persegue lo scopo di contrastare le pratiche evasive ed elusive facilitate dalla digitalizzazione degli scambi economici mediante l’introduzione di obblighi di monitoraggio e comunicazione posti a carico dei gestori di piattaforme online. La digitalizzazione dell’economia, infatti, ha registrato una rapida crescita sì che la dimensione transfrontaliera dei servizi offerti tramite i gestori di piattaforme ha reso estremamente difficile per le amministrazioni fiscali degli Stati membri l’acquisizione delle informazioni sufficienti per valutare e controllare correttamente i ricavi realizzati dagli operatori attraverso il web, soprattutto quando i proventi transitano attraverso piattaforme digitali stabilite in giurisdizioni estere.
Pertanto, l’introduzione di un obbligo di comunicazione standardizzata da parte dei gestori delle piattaforme digitali e il conseguente scambio di informazioni tra gli Stati interviene per consentire alle amministrazioni fiscali di acquisire i dati in esame, ricostruendo i corretti volumi d’affari che si generano sulle piattaforme medesime.

Agenzia delle Entrate: provvedimenti attuativi del D.lgs. 32/2023

Dalla necessità di monitorare i redditi prodotti ed incassati dalle vendite online, in conformità con l’obbligo di comunicazione dei dati previsto nell’ambito della Direttiva UE Dac7, adottata dall’Italia con D.lgs. n. 32/2023, l’Agenzia delle Entrate con provvedimento n. 406671 del 20 novembre 2023 definiva regole e procedure per adempiere, entro il 31 gennaio 2024, all’onere di comunicazione in esame con ciò aprendo allo scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali dei Paesi membri.
Tuttavia, a seguito delle diverse istanze sollevate sia da gestori residenti che non residenti, in ordine alle difficoltà tecniche ed interpretative per adempiere all’obbligo di comunicazione in esame, con provvedimento n. 22931 del 30 gennaio 2024 l’Agenzia delle Entrate è intervenute sul termine in oggetto prorogando la scadenza della comunicazione entro il 15 febbraio 2024.
Ancora, richiamando quanto contenuto nel provvedimento n.406671/2023, il provvedimento n.22931/2024 precisa:

  • Gestori di piattaforma obbligati alla comunicazione ed esonerati

Sono soggetti obbligati i gestori di piattaforma individuati dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numero 1, del D.lgs. n. 32/2023, che non sono qualificati come gestori di piattaforma esclusi ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c) del medesimo decreto, nonché gli FPO, come definiti alla lettera e);
Se vi sono più gestori di piattaforma con obbligo di comunicazione in relazione alle medesime informazioni, ciascuno di essi è esonerato da tale obbligo se può provare che le stesse sono state comunicate da un altro gestore di piattaforma con obbligo di comunicazione. Il gestore esonerato effettua in ogni caso una “Comunicazione di assenza di dati da comunicare”.

  • Scelta dello Stato Membro ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 32/2023

I gestori di piattaforma con obbligo di comunicazione individuati dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numero 1, del D.lgs. n.32/2023 e qualificabili come tali in almeno un altro Stato Membro informano l’Agenzia delle entrate della scelta relativa allo Stato Membro nel quale decidono di adempiere all’obbligo di comunicazione.
Ai fini dell’esercizio della scelta di cui al punto precedente, i gestori di piattaforma con obbligo di comunicazione si avvalgono delle funzionalità ad essi rese disponibili tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, fornendo i seguenti dati:

  1.  Denominazione;
  2.  Codice fiscale;
  3. Stati membri di residenza, ovvero gli ulteriori Stati membri
  4. NIF negli Stati membri di cui al punto precedente, se presente;
  5.  Domicilio fiscale individuato ai sensi dell’art. 58 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;
  6. Stato Membro nel quale si è deciso di adempiere all’obbligo di comunicazione;
  7.  Dichiarazione di aver provveduto a informare di tale scelta le Autorità Competenti degli altri Stati membri interessati.
  • Obbligo di comunicazione

I gestori obbligati alla comunicazione trasmettono le seguenti informazioni:

a)il codice fiscale, ovvero l’IIN, del soggetto che effettua la comunicazione;

b)l’indirizzo di posta elettronica del soggetto che effettua la comunicazione;

c) le informazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo. Ai fini dell’individuazione di dette informazioni si applicano le ulteriori definizioni contenute nel decreto legislativo;

d) il codice fiscale italiano, ove presente, dei venditori oggetto di comunicazione cui si riferiscono le informazioni richiamate nella lettera c).

Conclude il provvedimento, in ordine allo scambio delle informazioni, che i dati reperiti sono comunicati dall’Agenzia delle entrate alle altre Autorità Competenti degli Stati membri di residenza dei venditori oggetto di comunicazione e, qualora tali venditori forniscano servizi di locazione di beni immobili, alle Autorità competenti degli Stati membri in cui i beni immobili sono situati, entro i due mesi successivi alla fine del periodo di comunicazione cui le stesse si riferiscono. Infine, viene resa esplicita la possibilità di effettuare le comunicazioni direttamente o tramite i soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.

Note

[1] Le radici del principio di territorialità vanno ricondotte al periodo che vede la dissoluzione della società medioevale e l’emergere di quella organizzazione assolutamente nuova rispetto al passato, ossia lo Stato. La nascita dello Stato, infatti, viene fatta risalire al momento in cui un numero relativamente ampio di individui, cementato non più da vincoli di sangue, ma da quello della volontaria e stabile convivenza in un dato territorio, decide di costituire un governo capace di imprimere coercibilità alle decisioni comuni. In questa dimensione, dunque, il principio di territorialità equivale a dichiarazione di esistenza dello Stato medesimo: nasce con esso, costituisce rappresentazione di un potere sovrano ed è visceralmente connesso con la componente fisica di un dato territorio, all’interno del quale ne circoscrive l’esercizio del potere.

[2] MELIS, Manuale di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2023, p. 132: “Il vincolo. Adesso rivolto in sede di “posizione” della norma impositiva (e non più all’Amministrazione finanziaria in sede di attuazione della pretesa tributaria), si attenua rispetto alla territorialità in senso formale a motivo della pressoché acquisita irrilevanza del profilo strettamente territoriale, trattandosi dell’esercizio del potere normativo.

[3] Art. 53, Cost. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Più in particolare il dovere di concorrere a sostenere la spesa pubblica costituisce espressione di un generale dovere di solidarietà (Art. 2, Cost.), cioè dell’obbligo di contribuire ad assicurare l’eguaglianza (Art. 3, Cost.) partecipando, secondo il canone di progressività, alla realizzazione di un sistema in grado di prevedere la più ampia fruizione di servizi, anche per i meno abbienti.  

[4] Si parla di doppia imposizione giuridica quando lo stesso reddito è tassato più volte nei confronti dello stesso soggetto; di contro, la doppia imposizione economica si realizza quando lo stesso reddito è tassato più volte in capo a soggetti diversi.

[5] Agenzia delle Entrate, Convenzioni contro le doppie imposizioni – L’Italia ha stipulato con numerosi Paesi esteri, comunitari e non, Convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio.  Le stesse stabiliscono come deve essere ripartito il potere impositivo fra i due Stati contraenti, regolamentando il trattamento fiscale delle singole categorie di reddito. Tali accordi prevedono, a seconda delle tipologie interessate, la possibilità che entrambi gli Stati prelevino un’imposta sullo stesso reddito (tassazione concorrente), oppure talvolta la tassazione esclusiva da parte di uno Stato.

[6] Art. 165 TUIR: “Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.”

[7] Art. 168-ter TUIR (introdotto con D.lgs. n.147/2015) cd. Opzione Branch Exemption: essa attribuisce la facoltà, alle imprese residenti nel territorio dello Stato, di optare per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero.

[8] Il riferimento involge il mondo dell’E-commerce che, avvalendosi di piattaforme e/o portali elettronici, facilita la vendita e/o l’acquisto a distanza di beni. Si tratta di un’attività che negli ultimi anni ha certamente vissuto una forte espansione, tanto da poter distinguere almeno tre tipologie prevalenti di E-commerce: il modello B2C (struttura più diffusa), il modello C2C ed il modello B2B.

[9] Decreto legislativo 1Marzo 2023, n.32 – Oggetto ed ambito di applicazione: 1. Il presente decreto nei Capi da I a IV disciplina lo scambio automatico obbligatorio delle informazioni di cui all’articolo 11, raccolte dai gestori di piattaforme con l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’articolo 10, tra l’Agenzia delle entrate e le autorità competenti degli Stati membri dell’Unione europea nonché delle giurisdizioni non appartenenti all’Unione europea che hanno sottoscritto un accordo di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g). 2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabile le disposizioni che disciplinano le procedure di adeguata verifica in materia fiscale e gli altri obblighi posti a carico dei gestori di piattaforma con riferimento agli accordi qualificanti effettivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g), nonché, le modalità e i termini con cui l’Agenzia delle entrate invia le informazioni di cui all’articolo 11 alle autorità competenti delle giurisdizioni estere che hanno sottoscritto un accordo qualificante effettivo di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g).

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