Tutela del Caregiver familiare: il rinvio pregiudiziale alla CGUE

La Sezione Lavoro, in base a quanto previsto dall’art. 276 del TFUE, ha sottoposto alla
Corte di Giustizia Ue una serie di questioni pregiudiziali relative all’interpretazione del
diritto europeo.
Le questioni riguardano la legittimazione del caregiver familiare di un minore affetto da
grave disabilità ad invocare la tutela antidiscriminatoria prevista dalla direttiva
2000/78/CE.

Corte di Cassazione- sez. lavoro- ord. n. 1788 dell’8-11-2023

La questione giuridica

La vicenda inizia con un ricorso presentato da una lavoratrice, che agisce come caregiver
familiare per il proprio figlio minore gravemente disabile, che richiede il riconoscimento
della discriminazione da parte del datore di lavoro, ATAC SpA, e la sua assegnazione a un
turno compatibile con le esigenze del figlio. La ricorrente sostiene che la mancata
flessibilità nell’assegnazione dei turni da parte dell’azienda abbia comportato  un trattamento discriminatorio, rifiutando di assegnarla stabilmente a un turno mattutino per aiutare il proprio figlio.
Inoltre, la lavoratrice denuncia la presunta disparità di trattamento nel contesto lavorativo.
Il giudice di prime cure e poi la Corte d’appello di Roma hanno rigettato il ricorso,
sostenendo che non era stata dimostrata l’esistenza di discriminazione e che il datore di
lavoro aveva adottato misure adeguate. Per questi motivi, la ricorrente ha presentato un
ricorso per cassazione, sostenendo la violazione del suo diritto alla tutela antidiscriminatoria e negando l’adozione di “ragionevoli accomodamenti”.

Le norme sovranazionali

Il procedimento in questione riguarda la legittimazione del caregiver familiare di un minore disabile, che denuncia una discriminazione indiretta nell’ambito lavorativo. Ci si chiede se il datore di lavoro del caregiver abbia l’obbligo, ai sensi della Direttiva 2000/78/CE di adottare soluzioni ragionevoli ed uniformi per garantire il rispetto del principio di parità di trattamento, analogamente a quanto previsto per le persone con disabilità dall’articolo 5 della stessa direttiva. Un punto centrale ha ad oggetto la corretta definizione di caregiver rilevante ai fini dell’applicazione della direttiva, con particolare attenzione all’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
All’articolo 2 della Direttiva 2000/78/CE si stabilisce la nozione di discriminazione, vietando qualsiasi trattamento meno favorevole basato su motivi specifici. L’articolo 5, invece, prevede soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto della parità di trattamento nei confronti dei disabili, a condizione che tali misure non impongano un onere finanziario sproporzionato al datore di lavoro. Altro parametro è costituito dalla sentenza della CGUE del 17 luglio 2008, causa C-303/06, Coleman, in cui è stato sottolineato che il divieto di discriminazione diretta o di molestie non è limitato alle sole persone disabili, estendendosi a coloro che subiscono trattamenti sfavorevoli connessi alla disabilità di un familiare.

Le norme nazionali

L’ordinanza ha, altresì, esaminato le disposizioni del diritto interno rilevanti che riguardano la presunta discriminazione sul lavoro del caregiver familiare di un minore gravemente disabile. In particolare, tra le norme oggetto di parametro compare l’Art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 216 del 2003: questa norma intitolata “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro,” sottolinea il principio di parità di trattamento. Quest’ultima vieta discriminazioni dirette o indirette basate su religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. La discriminazione diretta si verifica quando una persona è trattata meno favorevolmente in situazioni analoghe, mentre quella indiretta può derivare da disposizioni apparentemente neutre che pongono determinate categorie di persone in uno svantaggio specifico.
Un’altra disposizione normativa suscettibile di violazione è l’art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216 del 2003 che stabilisce l’adozione di accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro per garantire la piena eguaglianza delle persone con disabilità. Tale disposizione è ispirata alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata nel 2009.  Tanto i datori di lavoro pubblici che quelli privati devono adottare misure adeguate atte a garantire la parità di trattamento.
Infine, l’art. 25, comma 2 bis, del d.lgs. n. 198 del 2006 (il Codice delle pari opportunità), introdotto dalla legge n. 162 del 2021 che incrementa la tutela contro la discriminazione.

Il percorso argomentativo della Sezione Lavoro

L’ordinanza della Sezione Lavoro argomenta in base alla definizione del caregiver familiare, identificato in Italia come la persona responsabile dell’assistenza a un familiare dipendente, disabile o anziano, che assume un ruolo fondamentale nell’ambito domestico. Nonostante l’importanza della figura del caregiver familiare di un soggetto disabile, quest’ultimo non gode, nell’ordinamento nazionale, di una tutela generale contro discriminazioni e molestie sul luogo di lavoro. Infatti, le disposizioni normative riconoscono solo alcuni benefici fiscali e previdenziali.
La Corte d’appello di Roma, citando la sentenza della Grande Camera della CGUE del 17 luglio 2008, “Coleman”, ha chiarito che il caregiver familiare abbia il diritto di avvalersi delle disposizioni nazionali di protezione contro le discriminazioni lavorative, estendendo, di fatto, la sfera di applicazione della direttiva 2000/78/CE ai soggetti legati alle persone con disabilità.
La Sezione Lavoro ha considerato in modo minuzioso la sentenza Coleman. In particolare, tale sentenza afferma che la direttiva 2000/78 e le sue norme, in particolare gli articoli 1 e 2, devono essere interpretati nel senso che il divieto di discriminazione diretta non è limitato alle sole persone che siano disabili. L’aspetto centrale è che questa sentenza si riferisce espressamente solo ai casi di discriminazione diretta, sembrando così limitare l’applicazione della direttiva 2000/78/CE ai caregiver di disabili che lamentino una discriminazione indiretta sul luogo di lavoro. Il punto 39 della sentenza Coleman ha sottolineato che la direttiva 2000/78 contiene disposizioni applicabili esclusivamente alle persone disabili. Tuttavia, questo aspetto potrebbe essere interpretato nel senso di escludere il diritto del caregiver a richiedere al datore di lavoro misure adeguato di contrasto per le discriminazioni indirette nel luogo di lavoro derivante dalle cure fornite al disabile stesso. L’ordinanza ritiene che sia possibile anche un’interpretazione estensiva della direttiva 2000/78/CE: non è un caso che  la direttiva mira a stabilire soluzioni ragionevoli per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra cui la disabilità, l’occupazione e le condizioni lavorative. La Sezione Lavoro, in particolare, ritiene ragionevole un’interpretazione europea conforme alla ratifica dell’Unione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Questa Convenzione, infatti, non attribuisce rilievo alla distinzione tra discriminazione diretta e indiretta per quanto riguarda la tutela antidiscriminatoria dei disabili.

Questioni Sollevate

In definitiva, tramite l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, la Sezione Lavoro chiede alla CGUE di pronunciarsi sulla legittimazione del caregiver familiare a invocare la tutela andiscriminatoria prevista dalla Direttiva 2000/78/CE, con particolare rilievo all’interpretazione conforme della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità; si chiede, in caso di risposta affermativa della prima questione l’ obbligo del datore di lavoro di adottare misure adeguate che  garantiscano il rispetto del principio della parità di trattamento per il caregiver. Infine, la definizione di caregiver rilevante: nel caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, emerge la necessità di definire correttamente l’ambito applicativo del caregiver in base a quanto previsto dalla direttiva 2000/78/CE.

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