Tutela dei diritti fondamentali: interazione tra controllo costituzionale e conformità al diritto UE

Il dialogo tra il controllo di costituzionalità delle leggi, eseguito dalla Corte costituzionale, e la verifica della compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione Europea, affidata ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia dell’UE, è un insieme di strumenti complementari che mirano a salvaguardare i diritti fondamentali. Questa prospettiva è stata ribadita nella recente sentenza n. 15 del 2024, pronunciata dalla Corte Costituzionale, che ha affrontato una controversia tra la Regione Friuli-Venezia Giulia e il Tribunale di Udine riguardo a una questione di legittimità costituzionale. Il Giudice delle Leggi ha precisato che, in situazioni di discriminazione, il giudice ordinario può intervenire modificando un regolamento per prevenire casi di disparità di trattamento. Tuttavia, se la discriminazione ha origine diretta dalla legge stessa, il giudice deve sollevare una questione di legittimità costituzionale per evitare che si adottino norme regolamentari in conflitto con una legge consolidata. Questo principio vale anche quando la legislazione nazionale entra in contrasto con il diritto dell’Unione Europea. La Corte costituzionale ha sottolineato che, nei casi di discriminazione, l’efficacia diretta del diritto dell’UE viene garantita quando il giudice riconosce che il comportamento discriminatorio deriva da norme incompatibili con il diritto dell’UE e ne ordina la cessazione. Nei casi in cui sia necessario modificare norme regolamentari discriminatorie, viene attivato un meccanismo interno all’ordinamento nazionale per rimuovere efficacemente la discriminazione. Questo insieme di strumenti, ciascuno con le proprie caratteristiche, mira a proteggere i diritti fondamentali, evidenziando l’importanza della collaborazione tra le diverse istituzioni giurisdizionali.

Corte costituzionale-sent. 15 del 12-02-2024

La vicenda

La questione sollevata dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia nei confronti del Tribunale di Udine evidenzia un complesso rapporto tra le competenze legislative regionali e la giurisdizione del giudice del lavoro. La Regione contesta l’emissione di un’ordinanza da parte del Tribunale che richiede la modifica di un proprio regolamento, sostenendo che solo il legislatore nazionale ha il diritto di adottare norme antidiscriminatorie in conformità con la Costituzione Italiana e lo statuto speciale che disciplina l’autonomia delle regioni a statuto speciale. Questo intervento del Tribunale viene considerato dalla Regione come un’ingerenza nella sfera di competenza legislativa regionale. In aggiunta, la Regione solleva la questione della conformità delle norme regionali contestate con la legislazione sovranazionale, in particolare con la direttiva 2003/109/CE che stabilisce i diritti dei cittadini di paesi terzi che risiedono a lungo termine in uno Stato membro dell’Unione Europea. Dunque, la controversia non si limita alla semplice applicazione delle norme antidiscriminatorie, ma riguarda anche l’interpretazione e l’adeguamento delle leggi regionali alle disposizioni europee e costituzionali.
La risoluzione della controversia richiede un’analisi delle competenze legislative e giurisdizionali delle parti coinvolte, considerando i principi di autonomia regionale, il primato della Costituzione e l’armonizzazione con la normativa europea.
La questione preliminare riguarda la fusione dei due procedimenti in corso. Infatti, entrambi i casi trattano la possibilità per il giudice ordinario di richiedere la modifica di norme regolamentari ritenute discriminatorie nell’ambito delle azioni antidiscriminatorie previste dall’articolo 28 del d.lgs. n. 150 del 2011.
La Regione Friuli-Venezia Giulia solleva obiezioni sulla validità di questa possibilità, suggerendo che l’ordine di modifica dovrebbe essere emesso solo dopo che sia stata sollevata e accolta una questione di legittimità costituzionale sulla norma legislativa in questione. Allo stesso modo, il Tribunale di Udine, nell’ambito di un procedimento incidentale, adotta una prospettiva simile sollevando una questione di legittimità costituzionale sulla norma presupposta dalla normativa regolamentare.
Vista la connessione tra i due procedimenti, il giudice delle leggi ha deciso in merito ad un’unica trattazione mediante un unico procedimento.
Inoltre, riguardo alla questione dell’ammissibilità dell’intervento di terzi, si conferma la precedente decisione di ammettere l’intervento dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) nel giudizio relativo al conflitto di attribuzione tra enti. Sebbene di norma non sia consentito l’intervento di soggetti non direttamente coinvolti nel conflitto, la giurisprudenza ha chiarito che in certi casi in cui le situazioni soggettive di terzi sono immediatamente coinvolte dall’esito del conflitto, l’intervento può essere consentito.

Questioni preliminari

In aggiunta, sia il Tribunale di Udine che il procedimento incidentale hanno dato luogo a eccezioni di inammissibilità e altre questioni preliminari sollevate dalle parti e dall’interveniente. Durante il procedimento, l’ASGIl (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) solleva l’argomento riguardante la presunta mancanza di interesse nel ricorso da parte della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia. ASGI sostiene che la Regione ha abrogato le norme regolamentari contestate già prima della presentazione del ricorso, dimostrando così la mancanza di interesse nel proseguire con la disputa. Inoltre, ASGI solleva una disputa riguardante l’esercizio del potere giurisdizionale da parte del Tribunale di Udine. Sostiene che la Regione neghi la competenza del giudice ordinario nel richiedere la modifica di un regolamento, considerando ciò un errore giudiziale piuttosto che una questione di competenza.
D’altra parte, la Regione Autonoma ribadisce che il Tribunale di Udine avrebbe superato i suoi poteri giurisdizionali nel richiedere la modifica di un atto regolamentare, contrariamente alla legge regionale vigente. Ciò implica la volontà della Regione di negare l’esistenza stessa del potere esercitato dal tribunale, non considerandolo solo un errore giudiziale, ma piuttosto una controversia sulla legittimità costituzionale del potere esercitato.
In conclusione, il conflitto si presenta come una garanzia delle attribuzioni costituzionali e non come un semplice controllo dell’attività giurisdizionale, confermando la necessità di risolvere la questione riguardante l’attribuzione dei poteri.
Innanzitutto, si esclude che l’abrogazione delle disposizioni del regolamento regionale  66 del 2020, previamente stabilite come discriminatorie dal Tribunale di Udine e oggetto dell’ordinanza di rimessione, possa determinare l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale o richiedere la restituzione degli atti al giudice a quo. È importante sottolineare che tale abrogazione è intervenuta dopo l’emissione dell’ordinanza di rimessione, quindi non può costituire un ostacolo all’esame delle questioni sollevate.
Inoltre, l’abrogazione delle citate norme regolamentari non incide in modo sostanziale sulle questioni di legittimità costituzionale, poiché non modifica l’oggetto dei dubbi di costituzionalità né gli argomenti utilizzati dal giudice a quo.

L’ordine delle questioni di legittimità

la Regione autonoma ha contestato l’ammissibilità delle questioni sollevate per presunta contraddittorietà, ma tale obiezione non sembra avere fondamento, così come non risultano convincenti le argomentazioni delle parti private riguardo all’ordine delle questioni.
Il Tribunale di Udine ha chiaramente sollevato le questioni di legittimità costituzionale. Inizialmente, ha affrontato le questioni riguardanti la disposizione che impone agli stranieri un onere documentale diverso rispetto ai cittadini italiani e dell’UE.  Inoltre, il giudice ha formulato le questioni riguardanti il requisito della non disponibilità in via subordinata, indicando che sarebbero state esaminate solo nel caso in cui le questioni principali fossero considerate non fondate.
In conclusione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Udine appaiono pertinenti alla controversia in esame. L’ordine di presentazione delle questioni non compromette la validità del giudizio né la sua capacità di risolvere in modo completo le questioni sottoposte alla Corte.

Riflessioni su giurisdizione e legittimità costituzionale

La Regione autonoma ha sollevato un’eccezione di inammissibilità riguardo alle questioni di legittimità costituzionale relative alla modifica del regolamento regionale, affermando che il giudice a quo non ha fornito una motivazione sufficiente riguardo alla sua competenza per richiedere tale modifica.
Tuttavia, l’ordinanza di remissione fornisce una dettagliata spiegazione, facendo riferimento ad ampi estratti di precedenti ordinanze emesse dal Tribunale di Udine in casi simili e illustrando le motivazioni alla base della richiesta di modifica del regolamento regionale. Inoltre, il Tribunale ha chiarito che intende esercitare il proprio potere di richiedere la modifica del regolamento solo se la presunta illegittimità costituzionale della disposizione legislativa contestata fosse stata stabilita.
La difesa della Regione autonoma ha sollevato anche l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale, facendo riferimento all’articolo 14 della CEDU, e sostenendo che il Tribunale di Udine non abbia specificato quale disposizione della CEDU sarebbe stata violata.
Tuttavia, questa eccezione si basa su un’interpretazione erronea dell’ordinanza di rimessione. Il Tribunale di Udine non ha sollevato autonomamente una questione di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 14 della CEDU, ma ha utilizzato questa disposizione solo a fini argomentativi per sostenere la presunta discriminazione basata sulla nazionalità, violando così l’articolo 3 Cost.
Infine, la Regione autonoma ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale relative all’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale, sostenendo che le critiche riguardanti gli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione sono disomogenee.
Tuttavia, queste obiezioni non sono necessariamente in contrasto: la violazione dell’articolo 3 potrebbe riguardare una disparità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari, mentre la violazione dell’articolo 117, primo comma, Cost. potrebbe riguardare una potenziale violazione delle norme europee che garantiscono la parità di trattamento tra cittadini stranieri soggiornanti a lungo termine e cittadini dell’UE.

La delimitazione delle Q.L.C.

Durante il procedimento in questione, il giudice a quo ha posto interrogativi sostanziali riguardanti l’interpretazione e l’applicazione delle norme regionali in materia di politiche abitative, in particolare per quanto riguarda gli oneri documentali imposti ai cittadini stranieri residenti a lungo termine.
La difesa della Regione autonoma ha sollevato l’obiezione che il giudice che rimette avrebbe posto domande sia sulla validità intrinseca dell’onere documentale, che potrebbe portare alla caducazione dell’intera disposizione, sia sulla sua applicabilità ai cittadini stranieri residenti a lungo termine, suggerendo che solo questi ultimi dovrebbero essere esclusi dall’ambito di applicazione della disposizione contestata.
Tuttavia, questa obiezione si basa su una interpretazione distorta dell’ordinanza di rimessione, la quale deve essere considerata nel suo contesto motivazionale. Fin dall’inizio, il Tribunale di Udine ha chiaramente indicato che la controversia riguarda cittadini extracomunitari titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo. Inoltre, il giudice rimettente ha già riconosciuto il diritto dei ricorrenti di essere inclusi nelle graduatorie per il contributo all’abbattimento del canone di locazione senza richiedere ulteriore documentazione rispetto ai cittadini italiani e dell’UE. Ciò è avvenuto perché non ha applicato le disposizioni regionali contestate, ritenute non conformi alla normativa europea che assicura parità di trattamento.
La legge regionale attuale limita l’accesso alle misure di sostegno solo ai cittadini extra-UE titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo o di altri permessi specificati dalla legislazione nazionale. Di conseguenza, il Tribunale di Udine non intende abolire completamente la disposizione in questione, ma piuttosto dichiarare la sua parte che impone agli stranieri residenti a lungo termine oneri documentali diversi da quelli richiesti ai cittadini italiani e dell’UE come illegittima dal punto di vista costituzionale.
In sintesi, le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono coerenti con la situazione dei cittadini extra-UE residenti a lungo termine e mirano a garantire che le disposizioni regionali siano conformi alla normativa nazionale ed europea in materia di parità di trattamento

Il giudizio antidiscriminatorio e i poteri del giudice ordinario

La cornice normativa riguardante l’azione legale contro la discriminazione, delineata sia dal decreto legislativo n. 286 del 1998 che dall’articolo 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, è dirimente per la questione. Queste disposizioni conferiscono al giudice ordinario strumenti specifici per contrastare la discriminazione in ogni sua forma, garantendo così l’applicazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 Cost. L’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 conferisce al giudice il potere di ordinare la cessazione di comportamenti discriminatori e di adottare ogni altra misura necessaria per eliminare gli effetti della discriminazione. Questa disposizione è completata dall’articolo 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale stabilisce che il giudice, con la sentenza che pone fine al processo, può condannare il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio, incluso l’adozione di misure nei confronti della P.A.
Questa normativa progettata per promuovere l’uguaglianza di trattamento e per punire le discriminazioni ingiustificate, attribuisce al giudice ordinario il potere di adottare misure volte a prevenire e contrastare comportamenti discriminatori. Inoltre, il giudice ha la facoltà di ordinare l’elaborazione di un piano volto alla rimozione delle discriminazioni al fine di impedirne la ricorrenza.
La normativa riguardante l’azione civile contro la discriminazione assegna al giudice ordinario un ruolo di primaria importanza nel garantire l’uguaglianza di trattamento e nel punire comportamenti discriminatori.
Sebbene egli non abbia il potere di annullare gli atti amministrativi, il giudice può emettere sentenze di condanna nei confronti della P.A. per atti discriminatori, ordinando la loro rimozione. Questo sistema di protezione, senza escludere l’intervento del giudice amministrativo, conferisce al giudice ordinario un’efficace e immediata autorità di monitoraggio per l’esercizio del potere amministrativo.
Inizialmente, il giudice ordinario svolge un’indagine per verificare l’esistenza di discriminazione e ha il potere di condannare il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale. Può anche ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio e adottare misure per eliminarne gli effetti. Inoltre, oltre a questi rimedi, il giudice può prescrivere l’elaborazione di un piano per rimuovere le discriminazioni, al fine di prevenirne la ricorrenza in futuro. Questo intervento preventivo del giudice influisce sulle cause che generano discriminazioni, impedendo la ripetizione di comportamenti discriminatori.
Tale sistema protettivo è ideato al fine di fornire una risposta efficace alle discriminazioni, coinvolgendo non solo le parti direttamente coinvolte, ma anche associazioni e organismi autorizzati ad agire per combattere le discriminazioni.

Il potere del G.O. nella rimozione di norme discriminatorie

Il Tribunale di Udine, trovando alcune norme regionali in conflitto con il diritto dell’Unione Europea, ha optato per la non applicazione. Inoltre, ha emesso un ordine affinché la Regione autonoma modifichi un articolo del suo regolamento, stabilendo anche sanzioni nel caso in cui tale ordine non venga rispettato.
La controversia riguarda, con più precisione, questo secondo aspetto dell’ordinanza contestata. La Regione autonoma contesta la competenza del Tribunale di Udine nel richiedere la modifica di un articolo del suo regolamento, sostenendo che ciò superi i suoi poteri. Tuttavia, tale contestazione non sembra essere giustificata. Nel contesto del procedimento antidiscriminatorio contemplato dall’articolo 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, il giudice ordinario ha la facoltà di ordinare la cessazione di comportamenti discriminatori, inclusi quelli regolamentari, e di adottare misure per rimuoverne gli effetti.
La ragione alla base di questa disposizione legislativa è quella di consentire al giudice ordinario di intervenire in modo efficace contro le discriminazioni, anche quando queste hanno origine da norme regolamentari. Di conseguenza, la contestazione avanzata dalla Regione autonoma sembra ignorare il potere conferito al giudice ordinario dall’articolo 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, il quale include la facoltà di eliminare norme discriminatorie al fine di garantire una tutela completa ed efficace contro le discriminazioni.

La contestazione della regione Friuli-Venezia Giulia

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia argomenta che il potere del giudice ordinario di imporre la rimozione di una norma regolamentare non si applica quando questa replica sostanzialmente una norma legislativa. Secondo questo orientamento, il Tribunale di Udine avrebbe superato la sua giurisdizione ordinando alla Regione di esercitare i suoi poteri normativi regolamentari in contrasto con la legge, violando così il principio di legalità e la supremazia della legge regionale sul regolamento regionale.
Il ricorrente richiede quindi, come alternativa, che si stabilisca che il Tribunale di Udine non era competente per emettere l’ordinanza impugnata senza prima ottenere una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale n. 1 del 2016 da parte della Corte costituzionale.

Restrizioni al potere d’intervento del G.O. sulle norme regolamentari

In simili situazioni, il giudice ordinario è vincolato nell’ordinare modifiche a norme regolamentari che riproducano disposizioni legislative. Questo perché tale azione potrebbe portare la P.A. a emanare atti regolamentari contrari alla legge attuale. Pertanto, l’esercizio di tale potere è condizionato all’approvazione da parte della Corte costituzionale di una questione di legittimità costituzionale riguardante la norma legislativa che il giudice ritiene essere la causa della natura discriminatoria del regolamento.
La natura peculiare del giudizio antidiscriminatorio rimane sostanzialmente invariata quando il giudice ordinario identifica che le norme legislative e regolamentari entrano in conflitto anche con disposizioni del diritto unionale che hanno efficacia diretta, richiedendo l’applicazione immediata. Il principio di primazia del diritto dell’Unione europea impone al giudice nazionale, quando constata l’incompatibilità della normativa nazionale con quella europea, di applicare immediatamente quest’ultima.
Nel caso portato dinanzi al Tribunale di Udine, il giudice ha ritenuto che l’obbligo imposto ai ricorrenti di presentare una dichiarazione sostitutiva per attestare l’assenza di immobili fosse discriminatorio e contrario all’articolo 11 della direttiva 2003/109/CE. Di conseguenza, il giudice ha applicato la normativa europea, ordinando di valutare la richiesta dei ricorrenti come se avessero fornito la documentazione richiesta per i cittadini dell’Unione europea.
L’ordine di rimuovere l’articolo 12, comma 3-bis, del regolamento regionale, il quale sostanzialmente replica una legge regionale, rappresenta un piano per eliminare le discriminazioni riscontrate e prevenire il loro ripetersi in futuro. In conclusione, per la Regione,  il Tribunale di Udine avrebbe dovuto sollevare una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale prima di ordinare la rimozione dell’articolo 12, comma 3-bis, del regolamento regionale.

Valutazione dell’ammissibilità delle Q.L.C.

La decisione di accogliere il ricorso sulla base dei principi di legalità e del criterio gerarchico che regola i rapporti tra legge e regolamento regionali implica che le questioni sollevate riguardanti gli articoli 4, 5 e 6 dello statuto speciale, così come altri articoli della Costituzione e della legge costituzionale n. 3 del 2001, siano implicitamente risolte.
La valutazione di legittimità costituzionale introdotta incidentalmente dall’ordinanza del Tribunale di Udine conferma la considerazione in merito al conflitto di attribuzione. È importante chiarire ulteriormente perché non vi siano dubbi sull’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, nonostante il giudice a quo abbia già riconosciuto che la direttiva 2003/109/CE soddisfi tutti i requisiti per produrre effetti diretti.
Il giudice ha già agito conformemente alla direttiva, garantendo ai ricorrenti il loro diritto e non applicando norme contrastanti. Questo intervento è stato compiuto al fine di porre fine alla condotta discriminatoria della pubblica amministrazione e di permettere ai ricorrenti di presentare la stessa documentazione richiesta per cittadini italiani e dell’UE al fine di ottenere il contributo per l’abbattimento del canone di locazione.

La complementarietà tra il controllo di legittimità Costituzionale e il primato del diritto UE

Una volta accertata la discriminazione, oltre al primato del diritto dell’UE, viene attivato uno strumento di rimedio interno per evitare la ripetizione della stessa discriminazione. Infatti, l’articolo 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011 consente la coesistenza tra la non applicazione della normativa interna incompatibile con il diritto dell’Unione europea e il controllo di legittimità costituzionale, sia in relazione a parametri interni che sovranazionali, comportando l’eliminazione di tali norme dall’ordinamento con effetti vincolanti per tutti.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa interna aggiunge un livello di garanzia al primato del diritto dell’Unione europea, garantendo certezza e uniformità nell’applicazione delle leggi. In situazioni in cui la normativa interna continua ad essere utilizzata nonostante l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea, la questione di legittimità costituzionale offre la possibilità di rimuovere tali norme dall’ordinamento, con la forza vincolante delle sentenze di accoglimento.
Prima di procedere con l’attuazione del diritto dell’Unione europea, è fondamentale che il giudice ordinario rifletta accuratamente sul significato normativo del diritto dell’UE e sulla sua coerenza con il diritto interno. Il principio del primato del diritto dell’Unione deriva dall’uguaglianza degli Stati membri di fronte ai Trattati, che esclude la possibilità di privilegiare in via unilaterale una disposizione di uno Stato membro rispetto all’ordine giuridico dell’Unione.
La Corte di giustizia dell’Unione europea svolge un ruolo chiave nel garantire l’applicazione coerente e uniforme del diritto dell’UE. Attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 del TFUE, la Corte fornisce interpretazioni, collaborando direttamente con i giudici nazionali incaricati dell’applicazione conforme al diritto europeo.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, i giudici nazionali non sono tenuti a fare ricorso al rinvio pregiudiziale in determinate situazioni. Queste includono casi in cui la questione non è pertinente, quando la Corte ha già interpretato la disposizione di diritto dell’Unione, o quando l’interpretazione corretta è evidente da non lasciare spazio a dubbi ragionevoli.
Considerando il contesto in questione, è fondato sollevare la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2016. Il Tribunale di Udine ha correttamente valutato che la disposizione contestata sia illegittima nella parte in cui stabilisce modalità diverse per la presentazione della documentazione da parte dei cittadini extra-UE soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini italiani e dell’UE, violando così i principi di uguaglianza sanciti dagli articoli 3 e 117 Cost.
La disposizione soggetta a scrutinio di legittimità costituzionale ha dimostrato di imporre un onere documentale irragionevole e pretestuoso. In particolare, l’obbligo di dimostrare il possesso di un alloggio adeguato nel paese di origine o provenienza non è rilevante  come indicatore della situazione patrimoniale del richiedente.Inoltre, l’onere documentale contestato risulta in contrasto con l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE, che sottolinea l’obbligo degli Stati membri di rispettare i diritti fondamentali, inclusi quelli relativi all’assistenza sociale e abitativa, al fine di garantire un’esistenza dignitosa a coloro che non dispongono di risorse sufficienti.
Il decreto legislativo n. 3 del 2007 ha trasposto la direttiva 2003/109/CE senza limitare la parità di trattamento alle sole prestazioni essenziali, come autorizzato dall’articolo 11, paragrafo 4, della stessa direttiva. La legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2016, nel contesto delle sue politiche abitative, include il sostegno alle locazioni, considerato essenziale ai sensi della direttiva. Tale sostegno mira a fornire un alloggio dignitoso a coloro che non dispongono di sufficienti risorse, come sottolineato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Tuttavia, la disposizione censurata impone ai cittadini di paesi terzi titolari di permesso di lungo soggiorno oneri documentali diversi da quelli previsti per cittadini italiani e dell’UE, violando così il principio di uguaglianza di trattamento richiesto dalla direttiva. Di conseguenza, l’articolo 29, comma 1-bis, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2016, nella sua parte contestata, è stato dichiarato illegittimo dal punto di vista costituzionale.

Conclusioni

Per questi motivi, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1-bis, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2016, nella parte relativa alle modalità di presentazione della documentazione richiesta per dimostrare la non disponibilità di altri alloggi da parte dei cittadini extra UE soggiornanti di lungo periodo. Inoltre, la Corte ha stabilito che il Tribunale ordinario di Udine, in qualità di giudice del lavoro, non aveva competenza per ordinare la rimozione di un articolo del decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia senza prima aver sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo della legge regionale contestato. Di conseguenza, è stata annullata l’ordinanza del Tribunale di Udine relativamente ai punti contestati.

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