Transazione e rinuncia all’azione di nullità di un contratto illecito

in Giuricivile, 2019 , 3 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. II civ., sentenza 18/10/2018, n. 26168

La pronuncia della Cassazione Civile in commento ha il pregio di cristallizzare un principio di fondamentale importanza nel panorama civilistico dei contratti e di porre fine ai contrasti giurisprudenziali che, a tal proposito, si sono avvicendati negli anni.

La materia oggetto della sentenza attiene al rapporto intercorrente tra l’istituto della transazione, in particolare riferita alla rinuncia a far valere una nullità contrattuale, e l’imponenza della nullità stessa che emerge a prescindere da qualsivoglia volontà delle parti private.

La massima della Cassazione, infatti, afferma che “non può ammettersi una rinuncia a far valere la nullità negoziale, in quanto l’effetto invalidante assoluto deriva direttamente dalla legge e non è disponibile dai privati”.

Al fine di comprendere le ragioni che hanno condotto la giurisprudenza di legittimità a pronunciare tale principio di diritto è necessario ripercorrere, brevemente, la vicenda da cui trae origine la sentenza, nonché esaminare gli istituti civilistici della transazione e della nullità contrattuale che costituiscono il perno della pronuncia.

Il fatto

Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione riguarda la vicenda di alcuni coeredi, i quali avevano convenuto in giudizio l’altra coerede, il marito di quest’ultima e altri soggetti, chiedendo che venisse accertata la simulazione di un atto di compravendita, in realtà dissimulante una donazione in favore dei convenuti, con il quale la de cuius aveva venduto un immobile ad una società (costituita dagli stessi convenuti).

Peraltro, gli attori nel medesimo giudizio chiedevano che venisse dichiarata nulla, in quanto contenente un patto commissorio, una transazione, successiva di qualche anno rispetto alla vendita, stipulata tra la de cuius e i convenuti, con cui era stata conclusa, “a tacitazione di ogni reciproca pretesa, azione e diritto”, una causa avente ad oggetto anche la citata vendita.

Entrambe le domande venivano respinte dai giudici di merito. Quanto alla domanda di petizione ereditaria, la stessa veniva, infatti, rigettata, considerato che il bene immobile era già uscito dal patrimonio ereditario a fronte della vendita.

Inoltre, l’azione rivolta ad accertare la simulazione della vendita era stata ritenuta preclusa agli attori a causa della rinuncia agli atti del precedente giudizio da parte della de cuius. Quest’ultima, infatti, con la transazione sopra citata aveva rinunciato all’azione sia rispetto alla simulazione del pagamento del prezzo, sia in relazione al patto commissorio. La rinuncia agli atti del precedente giudizio, secondo la Corte di Appello, era, dunque, da considerarsi estesa anche all’azione di nullità della compravendita.

In sostanza, si assiste alla presenza di:

  • un atto di compravendita nullo col quale si cela una vera e propria donazione;
  • un atto di transazione, anch’esso nullo, poiché contenente una rinuncia a far valere la nullità del contratto di compravendita.

La transazione: natura e rilevanza giuridica

In base a quanto previsto dall’art. 1965 c.c., la transazione configura una particolare tipologia contrattuale, in ragione della quale le parti pongono fine ad una lita già cominciata o prevengono l’insorgere di una futura lite, tramite uno scambio di reciproche concessioni.

Presupposto fondamentale, dunque, per l’esistenza di tale contratto è l’esistenza di una res dubia idonea ad aver provocato o a poter provocare in futuro un contrasto tra due o più soggetti, i quali, scelgono, a garanzia dei loro diritti, di sottoscrivere un accordo di transazione.

L’art. 1966 c.c., tuttavia, impone che i diritti oggetto di transazione siano diritti pienamente disponibili dalle parti e le cui sorti, quindi, siano rimesse alla libera volontà dei sottoscriventi l’accordo, in caso contrario la sottoscrizione sarà dichiarata nulla.

Ebbene, il legislatore ha, altresì, precisato all’art. 1972 c.c. che, oltre alla libera disponibilità dei diritti coinvolti, è necessario che la transazione non contenga un oggetto nullo; si ritiene, a tal proposito, nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ove per illiceità si intende “titolo nullo per illiceità della causa, del motivo comune ad entrambe le parti e non quando si tratta di contratto nullo per mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c.”[1]; omettendo, pertanto, di disciplinare le sorti della transazione avente ad oggetto un contratto affetto da altre forme di invalidità.

Nel caso oggetto d’esame da parte della Corte di Cassazione si è in presenza di una particolare forma di nullità non prevista nell’ipotesi disciplinata dall’art.1972 c.c. ed afferente al controverso istituto della simulazione; secondo l’opinione prevalente della dottrina la nullità del contratto simulato troverebbe fondamento nella mancanza di volontà di contenuto; la simulazione, dunque, sarebbe uno dei casi nei quali la dichiarazione non produce l’effetto indicato perché non vi è una volontà corrispondente alla dichiarazione.[2]

Assodata, dunque, la tesi che sostiene la nullità del contratto simulato e tralasciando quella parte della dottrina, seppur copiosa, che ritiene più appropriato parlare al riguardo di inefficacia e non di nullità (sostenendo che la simulazione non integra una vera e propria irregolarità del contratto), si deve considerare il contratto di compravendita stipulato tra il de cuius e i convenuti un contratto nullo, poiché è tale sono in apparenza. Esso, infatti, è stato concluso con l’intento da parte del de cuius di donare l’immobile ai convenuti e, quindi, sottrarre tale bene patrimonio ereditario.

Emerge, in tal modo, che il contratto dissimulato, cioè realmente voluto dalle parti, è una donazione e, pertanto, la rinuncia a far valere qualsiasi contrasto sorto in merito allo stesso configura un vero e proprio patto commissorio, espressamente vietato dall’art. 1963 c.c.

In ragione di ciò, la Corte di Cassazione si è interrogata sulla incidenza che tale nullità contrattuale potesse avere sull’accordo di transazione, avente come oggetto la volontà delle parti di rinunciare ad eccepire qualsivoglia nullità afferente al contratto di compravendita tra le stesse stipulato in precedenza.

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte smentisce la Corte territoriale, affermando che non è possibile una rinuncia a far valere la nullità negoziale, in quanto l’effetto invalidante assoluto deriva dalla legge e, pertanto, non può essere oggetto di disposizione da parte dei privati.

Secondo tale valutazione, dunque, alle parti non è rimessa alcuna facoltà volta ad espungere la possibilità di eccepire la nullità contrattuale, atteso che nel diritto civile la nullità ha una portata assoluta e quindi, oltre ad essere rilevata dalle parti contraenti, essa può essere sollevata da chiunque vi abbia interesse senza alcun limite temporale.

La Corte afferma che “… essendo la nullità negoziale un rimedio posto a tutela anche di interessi pubblici, se l’atto processuale dispositivo di una parte dovesse intendersi in grado non soltanto di rinunziare all’azione, ma anche ai diritti conseguenti alla declaratoria di nullità, nel senso di precludere definitivamente anche ogni futuro intervento giudiziale, rimarrebbe travolta anche la ratio che è sottesa alla rilevabilità d’ufficio della nullità stessa, come in generale di tutte le eccezioni in senso lato, rilevabilità funzionale ad una concezione del processo che ‘trae linfa applicativa proprio nel valore di giustizia della decisione’ (così, d’altro canto, Cass. Sez. U, 12/12/2014, n. 26242), e attenta all’essenza della categoria della nullità, che ‘risiede nella tutela di interessi generali, di valori fondamentali o che comunque trascendono quelli del singolo’ (così Cass. Sez. U, 04/09/2012, n. 1482.”

Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, dunque, è possibile cristallizzare l’assunto che la nullità contrattuale, in ragione della sua assolutezza e per la preminenza degli interessi tutelati dalla stessa, non può in alcun modo essere rimessa alla libera disponibilità delle parti.

Così come il legislatore, ai sensi dell’art. 1423 c.c., non ammette alcuna forma di convalida del contratto nullo, altresì, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che nemmeno un accordo di transazione è idoneo a scalfire la rilevabilità e quindi l’incidenza giuridica della nullità stessa.


[1] Cass. Civile n.2413/2016

[2] BIANCA “Diritto civile” Vol. 3 Il Contratto, pag. 670

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