TFR e Indennità di incentivo all’esodo al coniuge divorziato: l’analisi delle Sezioni Unite

L’articolo 12-bis della l. n. 898 del 1970 riguarda il diritto del coniuge titolare dell’assegno divorzile a una percentuale dell’indennità di fine rapporto in caso di cessazione del rapporto di lavoro. La Corte Suprema ha chiarito che questa disposizione si applica a tutte le indennità proporzionali alla durata del lavoro e all’entità della retribuzione corrisposta, escludendo l’indennità di incentivo all’esodo. In sostanza, l’articolo 12-bis garantisce al coniuge beneficiario dell’assegno divorzile una quota dell’indennità di fine rapporto correlata al lavoro svolto durante il matrimonio, escludendo l’incentivo all’esodo da questa previsione.

Corte di cassazione-Sez. Un. Civ.-Sent. n. 6229 del 07-03-2024

La questione

Nel caso di specie, si è discusso il diritto di un ex coniuge alla quota d’indennità di fine rapporto in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, come previsto dall’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970. In particolare, la Corte d’appello di Milano ha stabilito un assegno mensile a favore della ex moglie, mentre il Tribunale ha riconosciuto un importo totale considerando la quota relativa al trattamento di fine rapporto e una somma da corrispondere all’ex marito.
La Corte d’appello di Milano, nel novembre 2019, ha confermato il diritto riconosciuto in primo grado all’ex coniuge sulla quota del trattamento di fine rapporto e escluso il diritto alla quota dell’incentivo all’esodo.
Con un’ordinanza del maggio 2023, la Corte Suprema di Cassazione ha rimesso gli atti per valutare se fossero presenti le condizioni per la rimessione del giudizio alle Sezioni Unite, a causa di orientamenti contrastanti sulla spettanza della quota sull’incentivo all’esodo.

I motivi di ricorso

Il primo motivo di denuncia verteva sulla violazione dell’art. 12-bis della legge n. 898/1970, in combinato disposto con gli articoli 2 e 29 Cost. La ricorrente contestava il presunto discostamento del giudice d’appello da una precedente pronuncia della Corte di Cassazione e l’interpretazione restrittiva dell’art. 12-bis da parte della Corte distrettuale, che avrebbe escluso l’applicabilità dell’indennità di fine rapporto come l’incentivo all’esodo, sostenendo che tale disposizione dovrebbe abbracciare ogni indennità retributiva correlata all’apporto indiretto del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, derivante dalla conclusione del rapporto di lavoro durante il matrimonio.
Il secondo motivo di censura si concentrava invece sulla violazione dell’art. 12-bis della l. n. 898/1970 in combinato disposto con gli articoli 17 e 19 del T.U. delle Imposte sui Redditi, evidenziando che il trattamento di fine rapporto e l’incentivo all’esodo sono entrambi soggetti a tassazione separata, indicando una precisa scelta legislativa per valorizzare entrambe le indennità.
Infine, con il ricorso incidentale condizionato si contestava la presunta violazione dell’art. 12-bis della legge n. 898/1970, sostenendo che la norma non si applicherebbe nel caso in cui il rapporto di lavoro inizi durante la separazione dei coniugi, poiché mira a promuovere la solidarietà tra i coniugi durante il matrimonio e a compensare il contributo personale ed economico al patrimonio dell’altro coniuge.

Le argomentazioni delle Sezioni Unite

La giurisprudenza ha stabilito che la quota dell’indennità di fine rapporto spettante al coniuge titolare dell’assegno divorzile non comprende l’indennità di incentivo all’esodo, poiché riguarda solo le erogazioni proporzionate alla durata del rapporto e all’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore.
La Suprema Corte ha congiuntamente esaminato i due motivi del ricorso principale in quanto tra di loro correlati.
La norma in esame, ovvero l’Art. 12-bis della legge sul divorzio, affronta il diritto del coniuge a una percentuale dell’indennità di fine rapporto in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Questa norma stabilisce che il coniuge non passato a nuove nozze e titolare di un assegno ha diritto a una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità matura successivamente alla sentenza. In particolare, la percentuale è del 40% per cento dell’indennità totale relativa agli anni in cui il rapporto di lavoro coincide con il matrimonio.

L’incentivo all’esodo

Il centro nevralgico della questione riguarda la definizione della normativa dell’Art. 12-bis, dove è necessario concentrarsi sull’indennità di fine rapporto erogata al coniuge che deve corrispondere l’assegno di divorzio. La discussione verte, in particolare, sul dubbio se l’incentivo all’esodo possa rientrare o meno nel concetto di indennità espresso dalla norma citata.
Un arresto della Corte Suprema ha in effetti confermato che tali somme non sarebbero eccezionali ma costituirebbero reddito di lavoro dipendente, poiché sono finalizzate a remunerare il lavoratore per la risoluzione anticipata del rapporto.
Una pronuncia di segno totalmente opposto ha invece sottolineato che l’indennità menzionata nell’Art. 12-bis si riferirebbe esclusivamente a quella correlata alla durata e all’entità della retribuzione nel rapporto di lavoro, distinguendola dall’incentivo all’anticipato collocamento in quiescenza.
Siffatte interpretazioni hanno dunque causato il contrasto sulla portata dell’indennità di fine rapporto e sul suo rapporto con altre forme di compensazione legate alla risoluzione anticipata dei rapporti di lavoro, affrontato dalle Sezioni Unite con la pronuncia in esame.

Natura dell’assegno divorzile

I giudici di legittimità proseguono poi con la trattazione della modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto secondo il testo novellato dall’art. 2120 c.c. che si basa sui compensi erogati al lavoratore nel corso del tempo. Questo nuovo metodo di calcolo ha trasformato il trattamento in una forma di retribuzione differita, legata allo sviluppo della carriera. La giurisprudenza attuale conferma che il trattamento di fine rapporto ha natura retributiva e sinallagmatica, definendolo come un istituto di retribuzione differita. In dottrina, si evidenzia come questa natura retributiva abbia portato all’introduzione della disciplina dell’art. 12-bis, poiché attribuire una quota di questo trattamento al coniuge in caso di divorzio risulta coerente con le finalità assistenziali e compensative dell’assegno divorzile.
L’assegno divorzile e la sua funzione assistenziale e perequativa-compensativa, derivante dal principio di solidarietà sancito dalla Costituzione, si concentra sull’equilibrio economico tra coniugi. L’assegno deve considerare le condizioni economico-patrimoniali dei coniugi per garantire l’autosufficienza economica e riconoscere un livello reddituale adeguato al contributo fornito alla vita familiare, inclusi sacrifici professionali ed economici. In presenza di squilibri derivanti da sacrifici per il bene familiare, è essenziale valutare l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente.
La legge n. 898 del 1970, in particolare l’art. 12-bis, mira a garantire un equo trattamento economico al coniuge che ha diritto all’assegno di divorzio. Questa disposizione considera la retribuzione differita accantonata durante il matrimonio e diventata esigibile dopo la sua cessazione, evitando squilibri patrimoniali ingiustificati tra i coniugi. La pensione di reversibilità, legata al matrimonio e alla solidarietà tra i coniugi, rappresenta un ulteriore sostegno economico autonomo rispetto all’assegno di divorzio.
I giudici di legittimità hanno proseguito nell’argomentazione relativa ai lavori parlamentari della l. n. 74/1987 confermando che l’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 contempla una dimensione solidaristica coerente con le finalità assistenziali e perequative-compensative dell’assegno di divorzio.
La dottrina ha evidenziato che l’art. 12-bis della l. n. 898 del 1970 presenta un elemento assistenziale verso il coniuge economicamente più debole e un elemento compensativo legato al contributo personale ed economico offerto da entrambi i coniugi alla formazione del patrimonio comune. Questo contributo spiega le aspettative legate agli accantonamenti sulla retribuzione durante il matrimonio, che si trasformano in indennità di fine rapporto al momento della cessazione del lavoro.
Inoltre, la Corte costituzionale, in merito alla conformità dell’art. 12-bis alla Costituzione, ha sottolineato, in più occasioni, la componente compensativa dell’assegno chiarendo che la funzione compensativa dell’art. 12-bis si combina con quella assistenziale, creando una funzione tale da riequilibrare le disparità economico-patrimoniali derivanti dalle decisioni prese durante la vita familiare.
Il disegno legislativo dell’art. 12-bis della legge sul divorzio prevede che il coniuge titolare dell’assegno di divorzio, che non si è risposato, abbia diritto a una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità matura successivamente alla sentenza. Questa percentuale è del 40% per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro coincideva con il matrimonio.
L’obiettivo di questa disposizione è garantire un equo trattamento economico al coniuge che ha diritto all’assegno di divorzio, considerando anche la retribuzione differita accantonata durante il matrimonio e divenuta esigibile dopo la sua cessazione. Questo meccanismo mira a evitare uno squilibrio ingiustificato tra le posizioni patrimoniali dei coniugi, assicurando che la quota della retribuzione differita venga riconosciuta al coniuge che ha sostenuto il sacrificio economico.
Inoltre, la pensione di reversibilità, che spetta al coniuge superstite o ad altri congiunti dopo la morte di un soggetto coperto da assicurazione sociale, rappresenta un ulteriore sostegno economico legato al matrimonio e alla solidarietà tra i coniugi. Questa pensione è considerata un diritto autonomo rispetto all’assegno di divorzio e viene riconosciuta direttamente dalla legge, condizionata alla titolarità dell’assegno di divorzio.

Il ragionamento delle Sezioni Unite

Partendo dal presupposto secondo il quale l’indennità di incentivo all’esodo è estranea alla nozione di indennità di fine rapporto in quanto non costituisce una retribuzione differita, secondo le Sezioni Unite, non è necessario includere il coniuge che riceve l’assegno di divorzio nell’ottenimento di questa indennità. Questo tipo di indennità non è infatti legata ad entità economiche accumulate durante il matrimonio e diventate esigibili al termine del rapporto lavorativo; si tratta piuttosto di un beneficio derivante da un accordo successivo con cui si compensa il coniuge lavoratore per aver acconsentito alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.In sintesi, queste distinzioni evidenziano che le indennità previdenziali e assicurative, così come l’indennità di incentivo all’esodo, non rientrano nel concetto di indennità di fine rapporto e non sono soggette alla stessa logica redistributiva e compensativa prevista per le indennità legate al lavoro svolto durante il matrimonio.
In base a quanto esposto, la spettanza al coniuge divorziato della quota del 40% dell’indennità in questione risulta essere impossibile da configurare. Se un accordo relativo all’incentivo all’esodo viene stipulato o ha effetto durante il matrimonio e prima della presentazione della domanda di divorzio, il diritto a tale quota verrebbe escluso anche se l’incentivo fosse equiparato all’indennità di fine rapporto. Questo perché l’interpretazione dell’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970 implica che il diritto alla quota sorga solo se l’indennità dovuta all’altro coniuge matura al momento della presentazione della domanda di divorzio o successivamente ad essa.
Nel caso in cui il diritto all’incentivo all’esodo maturi dopo la presentazione della domanda di divorzio, non spetterebbe nulla per questo motivo all’avente diritto all’assegno, poiché l’indennità in questione è destinata a operare nel futuro e non nel passato. In questa situazione, potrebbe essere oggetto di discussione il ruolo effettivo dell’indennità erogata nel contesto dell’accertamento giudiziale per quantificare l’assegno divorzile o ai fini di una revisione prevista dalla legge n. 898 del 1970.
Il rilievo formulato dalla Cassazione il 12 luglio 2016, n. 14171, riguardante l’incentivo all’esodo secondo la giurisprudenza tributaria, non sembra persuasivo alla luce delle considerazioni precedenti. L’articolo 49, comma 1, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (t.u.i.r.) definisce i redditi di lavoro dipendente come quelli derivanti da rapporti di lavoro subordinato, compresi anche il lavoro a domicilio qualificato come dipendente secondo le norme del lavoro. Il comma iniziale dell’articolo 51 t.u.i.r. stabilisce che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori percepiti durante l’anno fiscale in relazione al rapporto di lavoro, comprese le erogazioni liberali.
Dall’altra parte, l’articolo 17 (precedentemente articolo 16), comma 1, lett. a), t.u.i.r. prevede la tassazione separata per il trattamento di fine rapporto previsto dall’articolo 2120 c.c., le indennità equipollenti alla durata dei rapporti di lavoro dipendente e altre indennità percepite in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, inclusa l’indennità di preavviso. La Corte Suprema ha confermato che le somme aggiuntive corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate costituiscono reddito di lavoro dipendente e sono soggette a tassazione separata come “altre indennità e somme” percepite in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro.
L’incentivo all’esodo, ai fini dell’imposizione fiscale, rappresenta un corrispettivo erogato al lavoratore in cambio della sua accettazione alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, configurandosi come una remunerazione legata al rapporto di lavoro. Pertanto, le somme pagate a questo titolo devono essere soggette a tassazione separata, se sussistono i presupposti convenzionali. Questo principio è stato confermato da varie sentenze della Cassazione, (cfr. sent. n. 25193 del 24 agosto 2022, sent. n. 5545 del 26 febbraio 2019, sent. n. 17986 del 24 luglio 2013 e sent. n. 14821 del 27 giugno 2007.
In sostanza, il trattamento fiscale dell’indennità in questione non influisce sulla sua qualificazione dal punto di vista civilistico. Ciò che conta per escludere l’applicabilità della disciplina dell’art. 12-bis all’incentivo all’esodo è che l’indennità in questione non rientri tra quelle che si accumulano alla data di cessazione del rapporto lavorativo e che siano determinate in base alla durata e all’importo della retribuzione corrisposta. Inoltre, nell’interpretare l’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, è importante enfatizzare che l’approccio seguito dalla giurisprudenza tributaria riguardo all’incentivo all’esodo potrebbe non essere giustificato dai principi fondamentali.
Per l’effetto, i giudici ritengono essenziale l’identificazione dell’interesse tutelato dalla norma da interpretare al fine di valutare il grado di tutela senza trascurare la lettera e lo natura della disposizione stessa, evitando, in questo modo, una distorsione del significato normativo dell’art. 12 delle preleggi.
I confini dell’interpretazione sistematica sono stati delineati dalla Corte suprema, sottolineando che l’intenzione del legislatore deve essere individuata principalmente nel testo della norma specifica in esame, considerando solo in modo subordinato e complementare le finalità generali di un contesto normativo più ampio in cui quella norma è inserita. (cfr.sent. n. 3359 del 16 ottobre 1975, sent. n. 12905 del 26 marzo 2009 e sent. n. 9700 del 21 maggio 2004).

Il principio di diritto delle Sezioni Unite

In definitiva, le Sezioni Unite hanno quindi formulato il seguente principio di diritto:
L’indennità di fine rapporto spettante al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non risposatosi, secondo l’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, riguarda solo le indennità determinate in proporzione alla durata del rapporto di lavoro e all’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore, escludendo quindi l’indennità di incentivo all’esodo regolata per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro”.

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