SPECIALE ESAME AVVOCATO 2015 – Collazione, dispensa e tutela dei legittimari: approfondimenti

Tra le tracce della prima prova scritta, relativa al parere civile, per l’esame da avvocato 2015, veniva richiesto di redigere parere motivato sulla collazione, la dispensa nonchè gli strumenti di tutela esperibili dai legittimari, nell’ipotesi in cui il defunto disponga dei propri beni oltre la porzione disponibile con delle donazioni fatte in vita.

Ecco la prima traccia della prima prova scritta (parere in diritto civile) dell’esame da avvocato 2015:

Tizio coniugato con due figli è deceduto ab intestato il 12.1.2015 lasciando un patrimonio costituito esclusivamente da un appartamento del valore di 90 mila euro situato in una località di montagna in cui con la famiglia era solito trascorrere vacanze estive. Poco prima di morire Tizio aveva effettuato due valide donazioni in denaro, la prima di 250 mila euro in favore del figlio Caio in data 5.1.2015 (con dispensa dalla collazione), la seconda di 60 mila euro in favore dell’amico Sempronio in data 10.1.2015.

L’altro figlio Mevio, subito dopo l’apertura della successione si è trasferito nel predetto appartamento avendo trovato lavoro nelle vicinanze, in data 10.3.2015 si reca da un legale per un consulto ritenendo che i propri diritti siano stati lesi dalle donazioni di cui sopra.

Assunte le vesti del legale di medio, il candidato illustri le questioni sottese al caso in esame ed individui le iniziative da assumere e gli strumenti di tutela esperibili

 

Partendo dal presupposto che, nelle prove scritte dell’esame da avvocato non esiste, in nessun caso, una soluzione univoca, ecco un utile approfondimento sui temi che la questione sottesa al parere impone di analizzare.

E’ opportuno premettere che tutta la disciplina della successione testamentaria è informata al principio secondo cui l’ordinamento tutela la posizione degli eredi più “vicini” al de cuius (coniuge, discendenti, ascendenti, ecc.) riservando a questi ultimi determinate porzioni del patrimonio dello stesso, anche contro la sua volontà.

Denominate “quote di riserva” o legittima, tali porzioni si patrimonio costituiscono una parte dell’eredità – c.d. “quota indisponibile” del patrimonio – della quale il testatore non può disporre, né a titolo di liberalità né mortis causa, poiché riservate ai legittimari o riservatari (Cass. n. 11737/2013; n. 13524/2006).

A tal fine l’art. 724 c.c. prevede l’istituto della c.d. collazione che è  l’atto col quale taluni soggetti che abbiano accettato l’eredità conferiscono nell’asse ereditario quanto hanno ricevuto dal defunto in vita per donazione.

La ratio di tale istituto va individuata proprio nell’uguaglianza di trattamento nella ripartizione del patrimonio ereditario a favore dei parenti più stretti del defunto: le donazioni fatte dal defunto quando era in vita possono infatti incidere, anche significativamente, tanto sul complesso dei beni lasciati dal defunto, tanto chiaramente sull’entità delle porzioni di beni spettanti a ciascuno degli eredi.

Di conseguenza, i beni donati in vita dal de cuius devono essere compresi o fatti conferire nella massa attiva del patrimonio ereditario, per essere poi divisi tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote di eredità.

Inoltre, la collazione è obbligatoria per legge salvo che il donatario, come previsto dall’art. 737 co. 1 c.c., ne sia stato dispensato dal donante tramite la c.d. dispensa dalla collazione: si tratta di un negozio giuridico unilaterale per il cui tramite il disponente esonera il donatario dall’obbligo di conferire ai coeredi ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione. Secondo l’opinione prevalente (e risalente) in giurisprudenza, la dispensa costituirebbe una clausola accessoria avente carattere non autonomo della liberalità principale (Cass. Civ. Sez. II, 2752/84), in quanto essa  non determina un incremento quantitativo della disposizione a favore del coerede, bensì una semplice agevolazione qualitativa.

La dottrina sposa, invece, una tesi contraria, in base alla quale la dispensa deve essere considerata, come anzidetto, un atto negoziale unilaterale autonomo, ancorché connotato da un collegamento negoziale con la liberalità principale contenuta nella donazione.

In ogni caso, sempre in virtù del principio generale di cui si è detto del divieto di lesione della quota di riserva, il secondo comma dell’art. 737 c.c. prevede che la dispensa dalla collazione non produce effetto, se non nei limiti della quota disponibile: in sostanza, la quota riservata agli (altri) legittimari, è intangibile.

Nell’ipotesi in cui il defunto disponga dei propri beni oltre la porzione disponibile con delle donazioni fatte in vita, il legislatore ha previsto una serie di disposizioni volte a tutelare gli interessi dei legittimari.

Rileva, in primis, l’azione di riduzione disciplinata dagli artt. 553 e ss. c.c., volta a far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti, inter vivos o mortis causa, che hanno prodotto la lesione della quota di riserva.

L’azione di riduzione consta di tre diverse azioni, in base alla fase e ai soggetti nei cui confronti viene eseguita:

– l’azione di riduzione in senso stretto, che ha lo scopo di far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre;

– l’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte, finalizzata in seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione in senso stretto a far recuperare ai legittimari quanto ancora presente nel patrimonio dei soggetti beneficiati;

– l’azione di restituzione contro i terzi acquirenti, con pari finalità recuperatorie della precedente ma esperibile nei confronti degli aventi causa dal soggetto beneficiato (irrilevante ai fini del parere).

Circa la natura giuridica dell’azione di riduzione, la giurisprudenza prevalente sostiene si tratti di

  1. azione di accertamento circa l’effettiva sussistenza di una lesione della quota di legittima;
  2. di natura personale in quanto proponibile solo contro i destinatari delle disposizioni del de cuius;
  3. avente effetti retroattivi, dal momento che intervenuta una pronuncia favorevole il trasferimento posto in essere dal de cuius si considera come mai avvenuto (cfr. Cass. n. 4130/2001).

Secondo la giurisprudenza, “il legittimario che propone azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore” (Cass. n. 13310/2002).

L’assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’attore di indicare l’esatto valore della massa ereditaria, è presupposto necessario per l’accertamento della lamentata lesione della quota legittima (Cass. n. 14473/2011; Cass. n. 4848/2012).

In ordine alla legittimazione, l’azione di riduzione può essere domandata solo dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa. Sul punto, occorre ricordare che, secondo l’orientamento prevalente, il legittimario, anteriormente al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, sia titolare solamente di un diritto potestativo nei confronti dei beneficiari delle disposizioni lesive e dei loro aventi causa: egli avrebbe quindi un “diritto al diritto” di acquistare la propria quota di eredità (Cass. n. 511/1995; n. 4024/1981).

Per completezza si rileva che, accanto all’azione di riduzione, il legislatore all’art. 533, 1° comma, c.c. ha previsto anche una diversa azione a tutela dell’eredità: la c.d. petizione ereditaria. Ai sensi dell’art 533 c.c., infatti, “l’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi”.

Tuttavia, a differenza dell’azione di riduzione, con la petizione di eredità oltre ad ottenere la condanna alla restituzione dei beni nei confronti di chi li possiede con titolo invalido o sine titulo, il giudice è chiamato ad accertare anche la qualità di erede in capo all’attore.

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