Sopravvenienze attive giudiziali e obbligo di contraddittorio preventivo

L’imputazione delle sopravvenienze attive è una operazione dirimente nella determinazione del reddito d’impresa, specie quando tali componenti positivi derivano da un riconoscimento giudiziale. Il principio di competenza fiscale impone di individuare l’esercizio in cui il credito diviene fiscalmente rilevante. Con l’ordinanza n. 11917/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), la Corte di Cassazione interviene proprio su questo punto, precisando che la sopravvenienza attiva accertata in sede giudiziale deve essere dichiarata ai fini delle imposte sui redditi nell’anno in cui avviene l’accertamento. La pronuncia è rilevante anche sotto il profilo procedurale, in particolare per quanto riguarda le modalità di accertamento e l’obbligo del contraddittorio preventivo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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Come cancellare i debiti fiscali

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Leonarda D’Alonzo
Avvocato, già Giudice Onorario presso il tribunale di Ferrara e Giudice dell’Esecuzione in esecuzioni mobiliari, esecuzioni esattoriali mobiliari e immobiliari e opposizione all’esecuzione nella fase cautelare.

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Leonarda D’Alonzo, 2025, Maggioli Editore
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Il caso

Ad una società di persone (s.a.s.) viene notificato un avviso di accertamento per l’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per l’anno d’imposta 2009. Tali componenti positive di reddito derivavano dalla restituzione di interessi anatocistici da parte di un istituto bancario, a seguito di una sentenza del Tribunale di prime cure, successivamente confermata dalla Corte d’Appello. La società contribuente aveva scelto di imputare il residuo credito, nell’anno in cui la sentenza d’appello era passata in giudicato, ritenendo tale momento decisivo per la consolidazione del diritto. Al contrario, l’Agenzia delle Entrate lo considerava di competenza nell’anno di deposito della sentenza di secondo grado.

Ciò premesso, le Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale avevano aderito alla tesi sostenuta in giudizio dalla società, individuando l’anno di passaggio in giudicato della sentenza, valorizzando l’aspetto della definitività del titolo. Il giudice tributario di secondo grado aveva, altresì, rilevato una presunta violazione del contraddittorio preventivo da parte dell’ufficio impositore.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi principali:

  1. Errata individuazione dell’anno di competenza della sopravvenienza attiva, da imputarsi al 2009, anno di deposito della sentenza d’appello, e non al 2010.
  2. Insussistenza della lamentata violazione del contraddittorio preventivo, avendo l’Amministrazione inviato un questionario informativo prima dell’emissione dell’atto, ritenuto sufficiente in quel contesto.
  3. Errata statuizione sulle spese di giudizio dei gradi precedenti.

Imputazione della sopravvenienza attiva

La Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.

Sull’imputazione della sopravvenienza attiva, la Suprema Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 109, comma 1, del TUIR i ricavi, gli altri proventi e le rimanenze concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia, se l’esistenza non è certa o l’ammontare non è determinabile, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Per le sopravvenienze attive, questo si traduce nell’imponibilità nell’esercizio in cui il diritto al provento acquista certezza giuridica e il relativo ammontare diviene obiettivamente determinabile. Nel caso specifico di crediti scaturenti da un contenzioso giudiziale, tale momento, secondo la Corte, coincide con il deposito della sentenza che accerta l’esistenza del credito e ne definisce con precisione l’importo.

Il passaggio in giudicato della sentenza, sebbene conferisca stabilità al dictum, non è considerato rilevante ai fini della competenza fiscale. Questo perché l’eventuale riforma della sentenza nei successivi gradi di giudizio non inficia la certezza e la determinabilità acquisite precedentemente, ma può generare sopravvenienze passive (o minori sopravvenienze attive) da imputare all’esercizio in cui tale riforma avviene.

La Corte ha, tuttavia, precisato un ulteriore requisito: è necessario che non vi siano ostacoli giuridici al conseguimento della posta attiva. Ne discende che se l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna, che costituisce il titolo per la riscossione del credito, è stata sospesa dal giudice la sopravvenienza attiva non può considerarsi fiscalmente realizzata fino alla cessazione della sospensione o alla conferma della sua esecutività. L’esecutività del titolo giudiziale diventa, quindi, un discrimine essenziale.

Il principio di diritto

Sul punto la Corte ha espresso il seguente principio di diritto:

“In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito o dal disconoscimento di un debito preesistente in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e sempreché l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa”.

Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva depositato la sentenza il 25 giugno 2009, rendendola immediatamente esecutiva per legge, senza che ne fosse stata disposta la sospensione dell’efficacia. Pertanto, si doveva correttamente imputare la sopravvenienza attiva all’esercizio 2009.

La presunta violazione del contraddittorio preventivo

Per quanto concerne la presunta violazione del contraddittorio preventivo, il Supremo Collegio ha rigettato il motivo di ricorso incidentale della società. La Corte ha richiamato il consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 24823/2015), secondo cui, per i tributi “non armonizzati” nell’ordinamento nazionale non vi è un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo endoprocedimentale.

La normativa europea, inclusa la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 41, diritto ad una buona amministrazione, che include il diritto di essere ascoltato), impone tale obbligo principalmente per i tributi armonizzati. Per gli altri, si applica la normativa interna, che prevede tale obbligo solo in ipotesi tassative, come ad esempio quelle disciplinate dall’art. 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente (Legge n. 212/2000) a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali svolte presso i locali del contribuente.

Nel caso di specie, non trattandosi di accertamento scaturito da tali attività ispettive né rientrando in altre previsioni normative specifiche che imponessero il contraddittorio a pena di nullità, e avendo l’Agenzia comunque inviato un questionario, la Corte ha escluso la sussistenza della violazione.

Conclusioni

La Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, ha rilevato che una sopravvenienza attiva derivante da un accertamento giudiziale deve essere imputata ai fini delle imposte dirette nell’anno di deposito della sentenza che ne riconosce l’esistenza e ne determina l’ammontare, a condizione imprescindibile che tale sentenza sia esecutiva e la sua efficacia non sia stata sospesa. È in questo specifico momento che il credito acquisisce il grado di certezza ed obiettiva determinabilità richiesto dall’art. 109 del TUIR ai fini della sua rilevanza fiscale, e non al successivo momento del passaggio in giudicato. In secondo luogo, la pronuncia conferma l’orientamento restrittivo riguardo all’obbligo di contraddittorio preventivo per i tributi non armonizzati: tale obbligo non è generalizzato e la sua violazione non comporta l’invalidità dell’atto impositivo, a meno che non sia espressamente sanzionata con la nullità da una specifica disposizione di legge applicabile al caso concreto.

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